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Anno VII num 5/6 __________________ Pagina 5 - I Nostri paesi


Anno VII numero 5/6 - maggio/giugno 1998 - pagina 4


I NOSTRI PAESI


MONTE COMPATRI

La "non cura" del centro storico

Se ami Monte Compatri fai il "Giro dell'Oca"

Il lettore di Controluce, non segue questo giornale solo per curiosità, ma anche perché gli piace scoprire e riscoprire l'atmosfera, i ricordi e i costumi del suo e degli altri paesi. Se stai leggendo questa pagina, vieni con me e, senza fretta, segui il percorso dei miei pensieri e dei miei passi, e come si fa col "Gioco dell'Oca", casella per casella, arriverai alla meta.

Per arrivare al centro storico a piedi partendo dalla piazza, si potrebbe passare per via Carlo Felici o via Placido Martini, ma visto il traffico delle automobili, e le serrande abbassate di molti negozi ormai chiusi, rischieremmo di deprimerci subito, allora scegliamo senz'altro via Mario Intreccialagli;

"Al monumento gira a sinistra e comincia a salire" - Subito sulla destra troviamo una piazzetta che una volta doveva essere graziosa e dove, sempre una volta, c'era il mercato della frutta, ma poichè ora è solo un parcheggio passiamo oltre: "Vai dritto e continua la passeggiata" - Trovandoci avvolti dai vicoli e dai palazzi, l'atmosfera si fa subito più tranquilla, familiare; i portoni sormontati dagli archi di sperone, i gradini che salgono dolcemente, poi lo slargo che dà su Vicolo Chiuso, con il suo silenzio, fanno pensare a stanze e corridoi di una grande casa. La salita si fa più dura, ed arriviamo ad un punto dove una serie di cantine schierate accompagnano i sampietrini ed un muretto che, salendo alla nostra destra, si raccolgono in uno spiazzo dove c'è un albero di "rubino". Le foglioline verdi di quest'albero con il loro movimento appena accennato, lieve come il battito delle ciglia di una donna, ci fanno apprezzare una leggera brezza:

"Siediti sul muretto: puoi riposare e sentirti romantico" - Dopo aver respirato e riposato, riprendiamo il cammino più vispi, al termine della salita incrociamo via Carlo Felici, vediamo l'arco che segna l'inizio di via Marco Mastrofini, e quasi istintivamente ci infiliamo dentro ed andiamo avanti. Qui i palazzi ci sembrano più vecchi degli altri, ma un osservatore attento, invece, capisce che sono più antichi; alzando gli occhi, vediamo sul fianco di una casa una targa dedicata a "Marco Mastrofini, filosofo, teologo, filologo" ; quella è la sua casa natia, lui è un uomo di cultura, un erudito, un monticiano importante, ma pochi lo sanno. Proprio di fronte, un palazzo che sembra reduce da un bombardamento, invece è vittima dell'ignoranza, dell'incuria, dell'incopetenza, una volta era una scuola, ora è un pozzo pieno di tristezza. Scendendo, si andrebbe ad incrociare via Degli Artisti, l'arco e la scalinata di via Della Cordonata, con angoli e scorci meravigliosi, ma essendo in netto contra

sto con l'abbandono della scuola e la svalutazione della casa-monumento, dell'esimio Mastrofini, c'è una penalità:

"Alt! Puoi vergognarti ma non puoi andare avanti, torna indietro" - Torniamo sui nostri passi ed arriviamo a piazza della Repubblica, "Belvedere". Il panorama di Roma e del colle di san Silvestro sono belli, l'aria pulita invita a gonfiare i polmoni, appoggiando la schiena alla ringhiera colpiscono, la fontana, con i fiotti d'acqua dal "rumore dissetante", i gatti, beati nell'ozio assoluto, l'imponenza del Duomo. Gli alberi secolari, dal tronco ed i rami enormi e nodosi, sembrano le mani e le dita rugose e segnate di un nonno, che le tende perché il nipotino vi si appenda per giocare:

"Se sali sugli alberi e torni bambino, puoi saltare due caselle ed andare a Piazza del Duomo" - Lo facciamo e allora voliamo su via S.F. Gabrini, sullo storico e abbandonato Palazzo Altemps, sfioriamo la Torre e planiamo sotto l'arco, che era il cancello dell'antica Monte Compatri. Siamo a Piazza del Duomo. Troviamo il portone della chiesa aperto ed entriamo, il fresco e l'ampiezza delle volte ci provocano un brivido ed un sussulto; è bella, monumentale, voluta da Scipione Borghese, arricchita da dipinti ed altari laterali, non c'è nessuno, se vuoi puoi pregare, o solo pensare a Dio; sento dei passi dietro di me, mi volto ma non c'è nessuno: che strano, mi era sembrato che mio padre mi seguisse.

Usciamo e ci infiliamo nei vicoli stretti, pieni di profumi, di rumori, fiori e giardinetti spuntano dagli angoli più impensati, i muri sembrano pulsare di vita, il rumore delle scarpe sui sampietrini ci fa compagnia; sento dei passi davanti a me, ma non vedo nessuno, che strano, mi era sembrato di seguire mio padre. Come d'incanto si apre davanti a noi piazza Manfredo Fanti, "la piazzetta". Il muretto a ferro di cavallo abbraccia le panchine e gli alberi, al centro la fontana di sperone, intorno le case:

"Siediti, guardati attorno e pensa" - Ci sediamo, e guardandoci intorno ci sembra di rivedere noi ed i nostri amici, intenti nei giochi di bambini spensierati, la piazza è luogo di ritrovo della gente di Ghetto nei pomeriggi e nelle sere calde e ventilate d'estate, mentre d'inverno, col freddo e la luce tenue e suggestiva dei lampioni, si crea un'atmosfera d'attesa, silenziosa, e tutto sembra un pezzo immobile di un grande presepe. Torniamo a salire dolcemente, passiamo per vicolo Chiarelli, che somiglia ad una "Calle di Venezia", sbuchiamo ancora sotto l'arco, ed iniziamo a riscendere verso la piazza.

"Bravo! Hai raggiunto la meta!" - Ma non avete capito qual'era la meta? - Il traguardo da raggiungere è: -Vivere Ghetto per non farlo morire.-

I valori e le radici di ogni paese, stanno nel suo centro storico, anche se lo sviluppo ed il progresso tendono a portare i pensieri e le attenzioni in altre direzioni. Il corpo e le membra di Monte Compatri sono la piazza, le frazioni, gli aggregati di case nati in periferia come la Cucca, ma il cuore e il cervello stanno nel Centro Storico. La madre che ha partorito i monticiani, la base, il punto di riferimento è Ghetto.

Se non ha una storia alle spalle un paese è solo un mucchio di case senza senso. Non si arriva sulla Luna se non si studiano le tabelline, non si può parlare e scrivere se si dimentica l'alfabeto. La cultura e la storia del centro storico debbono essere curati e sempre rivalutati, senza di essi non si hanno le basi sulle quali appoggiarsi per spiccare il volo. I vari paesini medioevali come quelli umbri, ad esempio, ci insegnano che il centro storico è il trampolino di lancio per il turismo e l'economia di tutto il paese, cose che a Monte Compatri si sono perse. Sarebbe facile allora sparlare di amministrazione ed amministratori, ma come sempre improduttivo; mentre trovo più giusto risvegliare, stimolare la coscienza della gente, per questo invito a fare il "Gioco dell'Oca" a percorrere i vicoli del paese per guardare ed apprezzare i tesori, per constatare i bisogni, e poi parlarne con la gente, contribuire a tenerlo pulito. Bisogna riconoscere la "cultura del Paese", e per farlo bisogna

vivere, conoscere, frequentare il suo centro storico. La gente di Ghetto, opportunamente stimolata, ha dimostrato di saper dare molto, come è stato in occasione del Palio dei Borghi, dove tutti hanno lavorato, si sono ritrovati tra tavolate e bicchieri di vino, famiglie intere, proprio perché l'ambiente lo permetteva, le mura degli antichi palazzi sono imbevute di certi valori che partono dal cuore del paese per arrivare a tutti. I monticiani che amano Monte Compatri debbono scuotersi dal torpore, e per farlo debbono fare "il Gioco dell'Oca", seguire un percorso e cominciare a muovere le gambe, camminando nel paese, a muovere le mani, per indicare ciò che gli occhi vedono, a parlare, per esprimere quello che la testa pensa.

Così si trova il coraggio per le iniziative giuste e cresce anche la lucidità per scegliere chi ci deve rappresentare.

Per raccogliere i frutti la pianta si cura dalle radici, per questo bisogna amare e curare il nostro centro storico , creare una coscienza comune senza rifugiarsi in critiche sterili fatte sottovoce, sono sicuro che sia questa l'unica strada che porti Monte Compatri verso un futuro migliore: - Dice "Vabbè ma a te chi te l'ha detto?" - " Me l'hanno detto i vicoli de Ghetto!".

Riccardo Simonetti