Anno VII
num 5/6 __________________ Pagina 18 - Il racconto
Anno VII numero 5/6 - maggio/giugno 1998
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ITINERARI CULTURALI
Ardea medievale
Ed i suoi tesori nascosti
Già al tempo di Virgilio della bellicosa città dei Rutuli era rimasta poca cosa
tanto che il poeta nel lib. VII dellEneide ebbe ad osservare: Grande resta il
nome di Ardea ma la sua fortuna è passata (...et nunc magnum manet Ardea nomen sed
fortuna fuit...). Della capitale del regno di Turno, il mitico avversario di Enea, non
rimanevano che la leggenda, i tanti templi - quelli dellacropoli, della
Civitavecchia, del monte della Noce, ecc. - e gli enormi àggeri che circondavano
labitato: certo sarebbe rimasto stravolto e deluso nel ritrovarla nelle condizioni
in cui versa oggigiorno.
Ma nonostante la decadenza denunciata da Virgilio, Ardea continuò ad avere la sua
importanza anche nellepoca imperiale come testimoniano i restauri messi in atto ai
suoi santuari ed ai suoi monumenti e la nascita delle tante ville patrizie nel suo
territorio. Un ingente patrimonio che verrà abbandonato nei secoli successivi quando il
territorio, saccheggiato e devastato dalle tante scorrerie, sarà spopolato dalla carestia
e dalla malaria.
Agli inizi del Mille Ardea non era che un semplice castrum, arroccatosi
nellacropoli dellantica città riutilizzandone limpianto e le possenti
mura di difesa: uno di quegli innumerevoli fortilizi di cui era disseminata la solenne
Campagna Romana ed i cui resti coronano tuttora le dolci sommità delle alture.
E del 14 marzo del 1081 la bolla di papa Gregorio VII che prendeva sotto la sua
protezione labbazia benedettina di s. Paolo fuori le Mure e gli confermava tutti i
suoi beni e privilegi: tra i tanti possedimenti elencati, anche la metà del
...castrum Ardeae cum rocca sua et turre maiore.... Un mezzo secolo dopo - nel
1130 - lantipapa Anacleto II cedette Ardea per intero allAbbazia romana: nella
bolla non si cita più il castrum Ardeae ma la Civitas Ardeatina, segno evidente che
lagglomerato con la sua rocca e la torre grande era assurto a comunità vera e
propria. Ed ai monaci di S. Paolo, che allora dominavano vasti territori del Lazio,
dobbiamo la costruzione, o esattamente la riedificazione, di due monumenti più
significativi della piccola località: la chiesa di s. Pietro e quella di s. Marina. La
prima - eretta nel cuore dellabitato medievale, con lutilizzo dei materiali di
spoglio del vicino tempio - consiste in una costruzione dal sapore romanico-lombardo del
sec. XII terminante ad abside con nellinterno le tre navate scandite da arcate a
tutto sesto su pilastri. Del probabile campanile che laffiancava non rimane più
memoria, forse rovinato negli innumerevoli crolli. Ledificio, posto su una
propaggine dellacropoli, sembra controbilanciare laltra prominenza su cui è
costruito il castello, separata dalla prima da una strada incassata come solcata nel tufo
rossastro.
La chiesa durante i secoli, causa le tante devastazioni e abbandoni, ha subito
parecchie manomissioni e numerosi interventi di restauro, tra gli ultimi quelli del 1940
in cui vennero riedificate labside circolare e la navatella destra,
questultima già andata in rovina nel Seicento. La semplice facciata, tutta
costruita in conci di tufo, ha nellingresso due stipiti di marmo bianco del II sec.
d.C., venuti alla luce durante i restauri, decorati da girali dacanto inframmezzati
da fiori, uccelli e...lumache. Nella penombra dellinterno, resti di affreschi del
Sec. XV, per lo più devozionali, tra cui: s. Onofrio eremita; s. Cristoforo, invocato
come protettore dei viandanti; un poco popolare s. Ansano che sorregge con la mano lo
stomaco; s. Leonardo di Noblac o di Limoges con gli immancabili ceppi dei prigionieri.
Dietro laltare un bel crocifisso ligneo del sec. XVI, mentre sulla parete una tela
di matrice caravaggesca. raffigurante s. Pietro, probabilmente già posta sullaltare
maggiore prima dellodierna sistemazione. Tra gli arredi moderni gli immancabili
manufatti artistici di Manzù che scelse Ardea come sua patria dadozione: il fonte
battesimale ed il tabernacolo della navata di destra. Lopera schietta e possente
dello scultore bergamasco ben si amalgama con la sincera semplicità di un interno scevro
degli inutili fronzoli .
Appena fuori dellabitato, presso lodierno cimitero, addossata alla rupe
della Civitavecchia, unaltra costruzione medievale di Ardea, la malridotta e
dimenticata chiesa di s. Marina. Ledificio, al pari della parrocchiale, è una
realizzazione del tardo sec. XII, come si trae dalla tecnica muraria della struttura e
dallepigrafe dellarchitrave del portale che cita Cencio Savelli (1191) in quel
tempo Camerario, Cancelliere, della città di Roma e che sarà poi papa col nome di Onorio
III dal 1196:
CECI. EXCELCE. R. CANCELL. VRBIS OBTVLIT HANC PORTAM VIRGO MARINA TIBI.
La chiesa era preceduta da un piccolo nartece e di cui non rimangono che le arcate
perpendicolari al muro di facciata ed alcune tracce pittoriche. Allinterno si accede
tramite il portale in marmo rimaneggiato, come tutta la costruzione, nei secoli
successivi: gli stipiti sono sostenuti da leoni stilofori di cui ci è ignota
loriginale provenienza. Larchitrave è decorato da tre clipei o formelle
incavate con le figure di un abbate a sinistra, di s. Marina vestita da monaco, al centro,
ed a destra del padre della santa, anche questo in abiti monacali. La decorazione
scultorea semplice e sicura denuncia quella di matrice monastica che fu una valida
concorrente allallora nascente arte cosmatesca.
Linterno della chiesa, a navata unica presenta sulle devastate pareti qualche
brano superstite della passata veste pittorica che la adornava. Sullaltare coperto
da un ciborio piramidale sorretto da due colonne di granito grigio cè - o
cera sino a qualche anno fa - un bel crocifisso di ferro battuto del Settecento.
Dietro laltare un ingresso arcuato immette ad una cella tricora scavata nel tufo: si
tratta questultima di un ninfeo pagano del II sec. d.C. venerato per la cella ove
visse in eremitaggio, secondo tradizione, s. Marina dopo che, vissuta sotto le false
spoglie del... monaco Marino, fu accusata ingiustamente di aver commesso un abuso e
scacciata dal monastero. La volta di questa cella, ora ridotta a sacrario pubblico, è
decorata da rosoni e stucchi mentre nella nicchia centrale campeggia leffigie
seicentesca della Titolare. Ed a proposito di s. Marina è da ricordare, oltre la leggenda
su accennata, anche la sentita devozione che ne nutrivano gli ardeatini tanto che
navevano assunto leffigie a sigillo della Comunità. Unanaloga immagine
della Santa in bassorilievo di marmo adornava - sino al recente e scellerato trafugamento
- un fontanile edificato nel 1615 da due Massari ardeatini, Antonio Rosati e Giuseppe Di
Giovanni; sotto il simulacro, già precedentemente decapitato dal tiro sacrilego di un
cacciatore, lepigrafe latina traducibile in:
O divina Marina con i tuoi meriti rendi propizia
A tutti i malati questa fonte di acqua miracolosa.
Ed è qui il caso di aggiungere che Marina era uno degli innumerevoli appellativi dato
a Venere, una delle divinità più venerate nellantica Ardea: il culto della santa
cristiana ne potrebbe essere - insieme con quella di Giuturna, divinità delle fonti e
sorgenti - una reminiscenza ed una continuazione in un mondo povero e desolato poco restio
a dimenticare le millenarie tradizioni. Proprio davanti ai fossati delle mura, verso la
strada che conduce ai Castelli, nella località Il Campetto, unaltra
nascosta testimonianza medievale di Ardea: lipogeo cristiano scavato nel tufo. La
cripta, scoperta nel 1965, è un antico tempietto pagano del II sec a.C. - forse in
origine dedicato al culto delle acque - tramutato nel sec. XII. in oratorio cristiano e
consta di un ambiente rettangolare 3 x 3,70 con volta a botte h. 2,60 con dei piccoli vani
accessori ed un pavimento in opus signinum; raggiungibile tramite una scala di 18 gradini
- di cui 13 ancora a posto . Nella volta dello scosceso access
o, la superstite decorazione romana in finti ciottoli di malta variamente colorati e
applicati sul tufo. Al termine, a sinistra, un piccolo ambiente con un pozzo mentre
nellabsidiola ricavata nella parete di fondo una Madonna in trono con il Bambino tra
due figure femminili di cui quella sinistra contrassegnata dalla scritta: Eulogia
(Benedizione). Ai lati, in un ornato di elementi fitomorfi, le raffigurazioni di due santi
diaconi (Lorenzo e Stefano?) di cui quello a destra, daspetto giovanile e con il
capo nimbato, sorreggente una capsella; della figura di destra rimaneva - allora quando le
vidi - soltanto la testa.
Sullarco, largo 90 cm., lAgnus Dei, racchiuso in un clipeo di cinque cerchi
concentrici: dal costato del mistico Agnello scaturisce sangue che viene raccolto in un
calice gemmato.
Nella parete di destra dellarco un s. Giovanni Battista indossante una mantellina
tigrata, versione questa un po bizzarra della tradizionale pelle di capra. Sulla
parete opposta infine il Cristo Pantocrator (h. 17 cm.) che benedice alla maniera greca e
con la sinistra stringe i quattro libri dei Vangeli tenuti insieme da un unico fermaglio.
Nella parete di sinistra dellipogeo, al di sopra di un rozzo sedile in roccia, la
raffigurazione di due santi cavalieri (Ss. Demetrio e Giorgio?) che armati di lancia
uccidono la raffigurazione del Male. Questultima raffigurazione - analoga a quella
della cripta di s. Biagio a s. Vito dei Normanni in provincia di Brindisi - e la versione
del citato Agnus Dei fanno collocare la decorazione cristiana delloratorio
nellambito di quei cenobi di tradizione greco-occidentale ancora così fiorenti nel
sec. XII attorno a Roma.
Qualche cenno merita il castello di Ardea passato dai monaci di s. Paolo ai Colonnesi
(1421) e da Marcantonio Colonna, il trionfatore di Lepanto, venduto, nel 1564, ai Cesarini
per 105.000 fiorini doro che lo trasformarono successivamente nella signorile
residenza a due piani dominata da una torricella cilindrica, così come si può vedere in
una tempera del Palazzo Sforza Cesarini di Genzano. Alla costruzione, analoga per forma
e...purtroppo per stato di abbandono alla villa Cesarini di Lanuvio, si accedeva tramite
un ponte in muratura che scavalcando un fossato cieco - ora colmo di macerie - lo
congiungeva al resto del paese. Ledificio, bombardato durante lultima guerra,
fu incautamente finito di demolire del piano superiore - mentre bastava poco per
restaurarlo - ed ora giace negletto e dimenticato alla mercé di chiunque.
Ultimamente si ventilava lipotesi di ricostruirlo. Perché non farlo? Si
rivaluterebbe un angolo dimenticato di una cittadina inconscia dei suoi tesori e si
bonificherebbe, altresì, lennesimo scempio dovuto allindifferenza ed
allabbandono.
Alberto Crielesi
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