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Anno VII num 5/6 __________________ Pagina 22 - Archeologia


Anno VII numero 5/6 - maggio/giugno 1998 - pagina 21


ATTUALITA' E CULTURA


 

La critica semiologica in Italia

L’evoluzione di una disciplina umanistica

Nell’ambito degli insegnamenti di Letteratura italiana della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, il 3 e il 4 aprile, la Sala delle conferenze della Romanina ha ospitato un Convegno, intitolato Letteratura, semiotica e didattica. L’obiettivo principale di queste due giornate di lavori è stato fare il punto sul rapporto tra semiotica e letteratura, riferendosi principalmente al momento della comunicazione didattica. I relatori hanno delineato i contorni storici di questa disciplina, le prospettive attuali della critica italiana e della narratologia francese.

La critica a base semiotica ha avuto il suo ingresso in Italia dalla fine del regime fascista e dall’attenuazione del predominio crociano nella filosofia e nella letteratura. Successivamente all’attività di traduzione e all’elaborazione originale delle idee arrivate dall’estero, si sono formate due correnti all’inizio contrapposte, una insistente sulla critica verbale l’altra sulle inter-relazioni letteratura-società. Ad esse sono seguite la critica strutturalistica di Barthes e di Lévi-Strauss, quella strutturalistica-semiologica della scuola di Praga e di Jakobson, la riscoperta del formalismo russo e della narratologia di Propp (subito ripresa e trasformata da Torodov e Bremond), gli stimoli di Lotman e della scuola di Tartu e la rivalutazione di Bachtin.

Le tradizioni di studio da tempo attive in Italia, quali la linguistica storica, la filologia romanza, la storia della lingua italiana – legate ai nomi di Benvenuto Terracini, Giacomo Devoto e Gianfranco Contini (che avevano assimilato le teorie di Humboldt, Ascoli, Saussure, Jakobson, Bally, Spitzer) –, hanno consentito l’elaborazione teorica delle nuove metodologie. Ne sono derivati i primi esempi di critica strutturalistica, semiologica e formalista (Avalle, Rosiello, Segre), che hanno dimostrato l’autonomia con cui tale operazione sia avvenuta.

Il riconoscimento delle nuove metodologie ha avuto la sua consacrazione in Italia con la creazione di riviste quali “Strumenti critici” (1966), “Lingua e stile” (1967) e con la fondazione nel 1970 dell’Associazione Italiana di studi semiotici, cui si è affiancato il Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica di Urbino.

Uno dei principi fondamentali comuni ai semiologi italiani è l’attenzione alla storia. Ogni procedimento ha pertanto una sua storicità e la lingua può essere interpretata solo dopo aver tenuto conto dei suoi sviluppi, delle sue stratificazioni, dei suoi registri, dei rapporti con le altre lingue e dialetti. Anche l’analisi narratologica e lo studio dell’intertestualità hanno avuto sviluppi storiografici: la prima nel confronto tra le strutture narrative comparate dei testi e delle loro fonti, l’altra rinnovando l’impostazione dei raffronti. A ciò è legato l’interesse per il testo, considerato un prodotto linguistico a più dimensioni, nel quale vengono sintetizzate tendenze culturali e punti di vista, tradizioni e innovazioni culturali e via dicendo. Il discorso relativo allo studio della genesi del testo, che in passato si fermava alla critica delle varianti, appare ampliato se si considera che le nuove metodologie hanno introdotto il confronto fra redazioni multiple, e tra microtesti uniti a formare un macrotesto, nei rapporti con le redazioni precedenti. Il testo risulta inoltre inserito in uno schema comunicativo, tale che il rapporto emittente-testo-destinatario conferisca rilievo all’autore, che ha formulato il testo e garantisce la sua potenzialità significativa, e al destinatario, che lo interpreta con inevitabili distorsioni, che egli tende chiaramente a limitare.

Cesare Segre, in un articolo intitolato La critica semiologica in Italia e pubblicato da “L’Immaginazione” di Lecce, nell’agosto/settembre 1995, pone in evidenza la questione circa la crisi che investe oggi la critica semiologica, una crisi che può essere estesa a tutta la critica. Sono necessarie nuove idee, nuovi stimoli che incoraggino una dottrina che ha già ricevuto numerose aperture verso la letteratura, investendo tutti i campi classici del lavoro letterario, dalla linguistica alle differenti pratiche della critica letteraria. La speranza è che i nuovi germi emersi anche da questo Convegno non si esauriscano, come non si consumi il prestigio della letteratura, che appare sempre più in calo tra le molte e rumorose offerte del mondo attuale.

Francesca Vannucchi


La città di Roma celebra Giacomo Leopardi

Un fiorire di manifestazioni nel bicentenario della sua nascita

In occasione del secondo centenario della nascita di uno dei più grandi scrittori italiani, Giacomo Leopardi, molteplici sono state le manifestazioni promosse dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, su proposta e in stretta collaborazione con il Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università di Roma “La Sapienza”. Articolato dallo scorso gennaio fino a giugno, il calendario è apparso ricco di eventi e il favore del pubblico ha dimostrato il successo di questa proposta culturale. I principali temi della poesia e della prosa dello scrittore di Recanati sono stati oggetto di discussioni in una serie di conferenze tenutesi presso la Facoltà di Lettere de “La Sapienza”, che hanno visto l’intervento dei più insigni studiosi leopardisti italiani. L’ultima di questo ciclo si è tenuta il 30 aprile scorso. La Biblioteca Universitaria Alessandrina ha invece allestito la mostra bibliografica dell’importante Fondo leopardiano, curata dal conservatore bibliotecario Gianni Rita. In seno a questo progetto è stato presentato il Catalogo del Fondo, elaborato dagli studiosi del Dipartimento di Italianistica e da un gruppo di bibliotecari dell’Alessandrina. Inoltre, è stato illustrato il contributo che negli ultimi anni alcuni ricercatori, operanti presso biblioteche e archivi italiani, hanno offerto agli studi leopardiani. Anche il Museo Napoleonico dal mese di maggio ha ospitato una mostra monografica, organizzata da Luigi Trenti, con la collaborazione di un gruppo di studiosi e di Maria Elisa Tittoni, direttrice del Museo. Oggetto di questa rassegna è stata l’esperienza romana del poeta, insieme alle edizioni delle sue opere pubblicate in questa città, con riferimenti a quei personaggi e ai fermenti culturali attivi all’epoca del suo soggiorno nella Capitale. Su questa linea di valorizzazione e divulgazione dell’opera artistica leopardiana, la compositrice Giovanna Marini, in collaborazione con la Scuola popolare di musica di Testaccio di Roma, ha portato in scena, al Teatro Argentina, il “Coro dei morti”, l’“Ultimo canto di Saffo” e il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, musicati per l’occasione. Presso i giardini dell’Accademia di Francia a Roma, a Villa Medici, il 29 e 30 maggio, Carmelo Bene ha eseguito letture di canti ed altri testi leopardiani su musiche del maestro Cesare Luporini. Anche Luca Ronconi ha apportato il suo contributo a questo progetto: al Teatro di Roma, infatti, ha organizzato un laboratorio dedicato alle “Operette Morali”, che concluderà la sua attività nel mese di giugno con uno spettacolo al Teatro dell’Angelo.

Il 4 maggio, nella sala della Promoteca in Campidoglio, un gruppo di poeti italiani e stranieri si è espresso intorno all’opera leopardiana, offrendo altresì al pubblico letture e dichiarazioni di poetica. La medesima Sala, l’Aula I del Dipartimento di Fisica “Guglielmo Marconi” dell’Università “La Sapienza” e la Sala conferenze dell’Accademia dei Lincei, il 14-15-16 maggio, hanno ospitato un Convegno, intitolato Leopardi e il pensiero scientifico, curato da Giorgio Stabile, che ha visto l’alternarsi di illustri relatori, da Giuliano Toraldo di Francia, che ha aperto i lavori, al poeta Mario Luzi, che ha segnato con il suo intervento l’atto conclusivo delle tre giornate.

Francesca Vannucchi


L’atelier di Canova aperto al pubblico

L’Associazione Città Nascosta e quella di Via del Babuino hanno promosso per due domeniche di maggio, il 10 e il 17, gratuitamente, un’originale iniziativa che ha portato alla scoperta di una delle tante perle ancora nascoste a Roma. Dalla fontana di via del Babuino, dalle ore 10 alle ore 14, ogni venti minuti, si sono succedute passeggiate guidate, che hanno avuto il loro culmine con la visita di un antico atelier, riaperto al pubblico dopo oltre cento anni. In questo studio hanno lavorato prima Antonio Canova, all’inizio del suo soggiorno romano, e successivamente quattro generazioni di artisti romani, i Tadolini, che hanno coperto un arco temporale che va dai primi anni dell’Ottocento agli anni Sessanta del Novecento (Adamo, allievo di Canova, il figlio Scipione, il nipote Giulio ed il pronipote Enrico). Per l’occasione i negozi della strada sono rimasti aperti e il pubblico ha inoltre goduto, durante il percorso, delle suggestioni di un appropriato accompagnamento musicale. Il museo ha esposto una serie di curiosità come le antiche vasche che contenevano il gesso utilizzato per modellare i bozzetti, oppure gli strumenti per la lavorazione delle sculture; ritratti di Papi, di Re, di Capi di Stato; particolari anatomici, oggetti insoliti e animali, tutti esibiti come in un vero studio di artista. Le sale dell’atelier hanno permesso ai visitatori di calarsi in un’atmosfera ormai passata, ricca di quegli irresistibili incanti che l’arte continua a donare all’uomo con assoluta generosità.

Per avere informazioni riguardo le molteplici iniziative promosse dall’Associazione Città Nascosta telefonare al numero 3218987.

Francesca Vannucchi