|
STORIA
La grande strategia dell'Impero Romano
Stati "clienti" e eserciti mobili, da Augusto a Nerone
(seconda parte)
Continua con questa seconda parte la sintesi dell'apparato militare
romano tra il I e il III secolo d.C. tratta dall'libro "La grande strategia
dell'impero romano" di Edward N. Luttwak - Biblioteca universale Rizzoli
La diplomazia romana, specialmente sotto Tiberio, creò una
"frontiera invisibile" di rapporti di clientela con le popolazioni primitive
oltre il Reno e il Danubio". Privi della base culturale che una cultura materiale
più avanzata e il pensiero greco avevano fornito all'Oriente, questi clienti non erano
efficienti come quelli dell'Anatolia o delle altre regioni dell'Est. In particolare i
rapporti diplomatici erano meno stabili, sia perché era poco stabile il potere di coloro
che trattavano con Roma, sia perché questi popoli con abitudini migratorie avevano una
risorsa che mancava agli stati territoriali dell'Oriente, cioè potevano emigrare lontano
dalla portata del potere imperiale.
I territori di questi popoli "clienti" non potevano essere annoverati
nell'ambito della zona di sicurezza imperiale, né erano destinati ad una annessione
finale, come lo erano invece gli stati "clienti" d'Oriente. A volte sottomessi e
perciò obbedienti, a volte invece ostili e ribelli, questi popoli e questi regni tribali
"clienti" rendevano necessario un controllo costante, mediante tutte le tecniche
diplomatiche di Roma, dai sussidi alle spedizioni punitive. Le nozioni che i Romani
avevano dei legami di clientela con i popoli stranieri e il loro concetto dei rapporti fra
l'impero e i suoi "clienti" si basavano sui tradizionali rapporti fra patronus e
cliens tipici della vita romana, e cioè benefici concessi in cambio di servigi resi da
parte del protetto.
Altro contributo degli stati e dei popoli "clienti" di Roma consisteva nel
reclutamento di truppe locali, da affiancare all'esercito romano impegnato in una campagna
militare.
Queste truppe rientravano nella categoria romana degli auxilia, cioè cavalleria e
fanteria leggera. In effetti, parti cospicue dell'organico di forze ausiliarie affiancate
all'esercito imperiale nascevano come contingenti di leva arruolati fra le tribù, e
venivano poi inserite nell'ordinamento regolare, o nelle truppe di una stato
"cliente" a loro volta incorporate dall'esercito romano quando il loro stato
veniva assorbito dall'impero.
Queste truppe non erano forze aggiuntive ma complementari al potere militare romano, e
questa complementarità era per Roma fondamentale ai fini del mantenimento della sua
economia di forze. Infatti questo sistema presupponeva un impero egemonico più che
territoriale, come era stato l'impero nato dalla Repubblica, e come invece cessò di
essere alla fine il principato.
I rapporti con le popolazioni "clienti " erano diversi se erano popolazioni
d'Oriente o dell'Europa continentale, dove la principale differenza fra questi due gruppi
era di tipo culturale.
I sovrani orientali e i loro sudditi non avevano bisogno di vedere realmente le legioni
romane in marcia contro le loro città, per obbedire agli ordini di Roma, perché potevano
immaginarsi quali sarebbero state le conseguenze della loro disobbedienza.
Al contrario, nei sistemi politici meno avanzati dell'Europa, la prudenza dei ben
informati non impediva necessariamente a tutti coloro che ne erano capaci di agire contro
gli interessi romani. Dal momento che l'opera di persuasione forzata esercitata dalla
potenza militare romana poteva realizzarsi solo attraverso la valutazione espressa dagli
altri, il carattere primitivo delle popolazioni dell'Europa continentale poteva vanificare
quest'opera di persuasione o per lo meno limitarne l'efficacia, di conseguenza l'effettivo
controllo politico esercitato dalla forza militare dell'impero si riduceva notevolmente,
nella misura in cui i processi di persuasione venivano vanificati dall'incapacità o dal
rifiuto di queste popolazioni di piegarsi alle esigenze romane. In generale si può dire
che il potere militare romano, se da una parte si trasformava spontaneamente in potere
politico a contatto con i sistemi di governo orientali, dall'altra quando veniva impiegato
contro le primitive popolazioni dell'Europa, era usato soprattutto come dimostrazione di
forza. Le vittorie dei romani portarono soprattutto un ampliamento del controllo
diplomatico che Roma esercitava mediante il sistema delle clientele e verso la fine della
Repubblica le nuove forze venute alla luce nella vita politica romana portarono nuovi
indirizzi politici e il ritmo dell'espansionismo territoriale aumentò notevolmente
raggiungendo il massimo sotto Augusto.
La composizione del contingente militare augusteo era sufficiente non solo per difendere
l'impero, ma anche per fini espansionistici, dato che in qualsiasi momento si poteva
riunire un vasto esercito, ritirando anche se con certi rischi, le truppe schierate lungo
i confini. Finora si era pensato che lo scopo di Augusto fosse quello di creare una
frontiera sul fronte Amburgo-Praga-Vienna, più recentemente invece, è stata avanzata
l'ipotesi che Augusto non si fosse posto tale limite, ma che stesse inseguendo il sogno
già concepito da Alessandro (e da Roma stessa) di conquistare il mondo intero.
Del resto è stato osservato che le conoscenze geografiche dei romani erano ad un livello
così basso, che poteva sembrare possibile perfino la conquista della Cina.
a cura di Marco Brannetti
RELIGIONE
L'Induismo
...soltanto verso il III secolo a.C. l'induismo assunse la
sua struttura definitiva
La fase più antica dell'induismo risale alla metà del II millennio a.
C., ebbe origine in India. Diverse stirpi si sovrapposero, si mescolarono apportando le
loro credenze religiose e fondendosi con quelle precedenti dando vita in questo modo a
numerose sette ispirate in primo luogo alla religione indù. Soltanto verso il III secolo
a. C. l'induismo assunse la sua struttura definitiva. Alla religione induista si
appartiene per diritto di nascita; non è prevista la conversione individuale di estranei.
Un aspetto dell'induismo che per secoli ha ostacolato lo sviluppo sociale è il sistema
delle caste, cioè la divisione della società in gruppi chiusi, cui gli individui
appartengono per nascita e che ne determinano ereditariamente lo stato sociale. I membri
di ogni casta si sposano solo tra loro ed esercitano lo stesso mestiere di padre in
figlio. Il sistema delle caste è collegato alla tradizionale divisione della società
indiana in quattro classi eterne: sacerdoti, guerrieri, mercanti ed artigiani, contadini
ed operai. Giustificate dalla credenza secondo cui la vita umana può avere diversi
livelli di "purezza", le caste sono migliaia e sono organizzate in una rigida
gerarchia. Al di fuori di questa suddivisione sono collocati gli "intoccabili"
gli "impuri" (paria). Queste persone sono emarginate e sono costrette a vivere
in miseri tuguri, non possono accedere al pozzo comune per evitare la contaminazione e
quindi nella maggior parte dei casi non usufruiscono dell'acqua potabile. Come abbiamo
già ricordato in precedenza, fu proprio la differenza tra le caste che ostacolò la
diffusione del buddhismo in India; infatti Buddha aveva annullato ogni sorta di
differenziazione sociale. Riti e norme di vita. La preghiera, i digiuni, i riti, in
particolare quelli privati, e i "sacramenti" che segnano le tappe fondamentali
della vita indù trasformano in senso sacrale l'esistenza individuale e sociale
dell'India. La preghiera, vocale e mentale, è basata su invocazioni di formule sacre
(mantra) spesso ripetute su rosari o cantate in forma litanica. Di tutti i mantra il più
famoso è il fonema OM (scomponibile nelle tre lettere a, u, m), cui è stato attribuito
grande valore in ambito mistico-filosofico. Il culto privato comprende, oltre alla
abluzione del corpo, una serie di preghiere. Assai diffuso è il culto delle immagini
sacre, la cui adorazione comporta la nozione religiosa di "presenza reale",
poiché la divinità realmente discende ed abita l'immagine venerata. Le cerimonie
collettive nei templi avvengono in occasione delle adorazioni e sono accompagnate da
offerte di fiori, incenso, frutta e burro fuso, alimento per il fuoco sacro.
I sacrifici cruenti (limitati a immolazioni di capre e pollame) sono riservati al culto
della dea Kalì o di altre divinità femminili venerate nei villaggi.
Uno dei principi basilari dell'induismo è la dottrina della reincarnazione (metempsicosi
o trasmigrazione della anime), secondo la quale l'individuo è destinato morire e a
rinascere più volte fino a quando avrà raggiunto un grado di purezza tale da
consentirgli un'esistenza puramente spirituale oppure il dissolvimento nel tutto
(nirvana).
Maria Rosaria Minotti
|
|