SATIRA
Parla come magni!
Simpatico monito romanesco diretto a persona che si avventura in un
linguaggio troppo sofisticato rispetto al suo semplice modo di vivere. Linvito ad
adoperare una parlata on line (ullallà che so modernu!) con le proprie abitudini
alimentari è figlio del tempo in cui i mulini erano bianchi, i contadini li facevano
neri, le caste erano caste (e pure); mentre il signore parlava e mangiava francese, il
popolano parlava e mangiava «burinu». E guai a saltare le corsie!
Oggi che i mulini sono affumicati dallo smog, linvito di che trattasi non potrebbe
essere raccolto nemmeno da
Pico della Mirandola!
Se io parlassi come magno, dovrei adoperare un esperanto composto degli idiomi appresso
indicati: un pizzico di malese, come le posate in acciaio e plastica, resistenti alla
lavastoviglie, che mi accingo ad adoperare. Una spruzzata di giapponese, come il sushi del
mio antipasto. Una dose di
De che?!?
Nel piatto cè merluzzo del Baltico.
Al momento non so:
A) Che cavolo di lingua si parla nel Baltico.
B) Se tale mare bagna una o più nazioni.
C) Se tali nazioni parlano la stessa lingua.
D) Se la caduta del muro di Berlino ha sconvolto o meno la geografia politica bagnata dal
mare «de quo».
E) In quali maledette acque territoriali hanno pescato il mio merluzzo?
E se linsalata russa è condita con olio spagnolo, sottaceti portoghesi e mais
texano? Aiutooooooo! (Urlo di Munch).
Guardo la mia lasagna precotta, scongelata, uscita indenne e fumante dalla microtempesta
delle microonde: è bella, policroma
avvolta nel mistero!
E le domande mi sgorgano spontanee: lasagna, chi sei? Di cosa sei fatta? Chi ti ha fatto?
Dove? Quando? Come?
Capitan Findus mi sorride mentre affonda più volte il berretto blu nel mare e lo svuota
nella sabbia, mollando frattanto qualche calcione ai rompiglioncini che gli caciàrano
intorno.
«Cosa fai Capitan Findus?» gli chiedo stupefatto.
«Non lo vedi? Sto svuotando il mare!».
«Ma capitano! Mi par che tu usi uno strumento inadeguato: e quando affitti?»
«E come puoi tu, con la tua piccola mente, pensare di penetrare il mistero della
mia lasagna? Sei tu forse nutrizionista, biologo, cuoco organoletticista, ingegnere,
esperto di refrigerazione, di trasporto, di distribuzione, di marketing? Cosa ti vai a
chiedere come, dove, quando? Vuoi forse una relazione tecnica di milleottocento pagine, di
cui non capiresti una mazza? Non ti resta che la fede: credi fermamente nella mia
lasagna
e magnetela subbito, se no te se fredda!»
«Ed io, raccogliendo linvito del tuo capitano, o lasagna, me te magno. E mentre me
te magno, te recito fervidamente sta preghiera:
O lasagna che sei nel piatto, sia santificato il tuo nome; io credo ardentemente che sei
bona, genuina, fatta bene, che nun me fai male, che nun me te metti sullo stomaco. E
benedetto sia
il viaggio tuo nella panza mia
dallingurgitatio fino alla
defecatio. AMEN.»
Francesco Barbone
Attenti al vocabolario!
Più precisamente: quando eseguite una traduzione, controllate comunque
con il vocabolario la parola da tradurre, anche se il vocabolo vi sembra noto.
Un mio compagno di scuola, ogni volta che, alle prese con la versione dal latino, si
imbatteva nellavverbio Igitur, che vuol dire «dunque», traduceva invariabilmente:
«Si va!», incurante dei rimproveri del professore.
In terza media, al sottoscritto, latinista emergente, capitò di tradurre una scenetta
campagnola dove, in un cortile, «
mures discurrebant». Disdegnando il
vocabolario, tradussi di slancio: «
i topi discorrevano» . Unocchiata al
glorioso Campanini e Carboni mi avrebbe avvertito che discurrebant voleva dire «correvano
di qua e di là». Anzi ora che ci penso, si può affermare che la parola discorrere viene
recepita in italiano in senso traslato, cioè: «correre con le parole da un argomento
allaltro».
Il professore però mi fece pesare molto lerrore e mi additò al ludibrio dei
compagni, ai quali non parve vero di avere preso in castagna il piccolo erede di Cicerone.
Lira di Achille, studiata di fresco, mi ribollì nelle vene e lampia aula del
Mamiani risuonò della mia vocina incazzata.
«Ma per la miseriaccia, in queste favole parlano tutti: lupi, agnelli, asini, leoni,
volpi, corvi! Che ne sapevo io che gli unici muti erano i topi?»
Francesco Barbone
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