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  Anno VIII numero 12 – dicembre 1999

  

 CURIOSITÀ STORICHE

La depressione nei tempi antichi
La melanconia religiosa dei puritani inglesi

di VALMONT

Il Seicento inglese fu caratterizzato da forti sommovimenti politici e religiosi. Sotto le bandiere della religione riformata e guidati da Cromwell, i Puritani portarono al potere una nuova classe dirigente e misero a morte il proprio re, Albrecht Durer: Melanconia I, 1514troppo restio a cedere parte del suo potere. E tutto ciò più di cento anni prima dei rivoluzionari francesi. Ma la grande esplosione di rinnovata religiosità aveva tra i suoi pericoli quello della melanconia religiosa, un grave malessere psichico che poteva prendere soggetti animati da grande fervore spirituale, raggiungendo il suo acme quando essi cominciavano a dubitare fortemente della salvezza della propria anima. Questa forma speciale di melanconia non fu appannaggio solo dei puritani inglesi; un secolo dopo, a metà del Settecento, l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, oltre a un significativo accenno alla voce generale mélancholie, conteneva una voce specifica sull’argomento, dal titolo mélancholie religieuse. Però, se ci soffermiamo a parlare di loro, è perché manifestano in maniera evidente i segni della depressione dei nostri giorni.
A questa forma di melanconia si riferisce essenzialmente il brano citato più avanti, scritto da Richard Baxter (1615-1691), un pastore d’anime inglese, piuttosto non conformista a detta degli storici, che racconta di essere stato obbligato a improvvisarsi medico per necessità, poiché nella sua zona non ve ne erano affatto. Una volta diventato famoso in tutta l’Inghilterra per la sua sapienza, «rimase sconcertato dalla moltitudine di persone melanconiche che venivano da ogni parte per incontrarlo, e che preferivano ricorrere a lui piuttosto che a medici di professione». Ecco quello che egli scrive a proposito di questi melanconici in un brano che riportiamo, con qualche snellimento atto a facilitarne la lettura:
«I soggetti melanconici sono in generale paurosi all’eccesso. La loro fantasia si agita in maniera da aumentare la sensazione della gravità del loro peccato, assieme a quella del loro pericolo e della loro infelicità. A questo si aggiunge una grande tristezza; alcuni piangono senza sapere perché, e alcuni pensano che debba essere così; e se gli capitasse di sorridere o di parlare con felicità, il loro cuore li rimprovererebbe di ciò, come se avessero fatto qualcosa di inopportuno. Accusano in continuazione se stessi, trasformando tutto in materia di propria colpa, sia esso qualcosa che sentano o leggano, o vedano, o pensino; qualunque cosa facciano si agitano contro se stessi, allo stesso modo con cui gli individui dal carattere litigioso fanno con il loro prossimo. Temono sempre di essere stati abbandonati da Dio e che sia troppo tardi per pentirsi o ricevere perdono. Non capita mai che leggano o  sappiano di qualche caso miserevole senza che si convincano che questo sia il loro caso. E pensano sempre che nessuno sia nello stato in cui essi si trovano; in poche settimane ho ricevuto una gran quantità di persone che vivevano esattamente nella stessa situazione, e tutte affermavano che nessuno stava come loro. Sono incapaci di gioire di qualsiasi cosa; non riescono a concepire, a pensare o a credere a niente che possa essere loro di conforto. Sono sempre scontenti e insoddisfatti di se stessi; si comportano con gli altri proprio come esseri permalosi e corrucciati, sospettosi di chiunque vedano bisbigliare. Sono molto riluttanti a compiere il lavoro che gli spetta e, dediti all’ozio, o giacciono nel loro letto o stanno improduttivamente a sedere. [Ricompare qui quell’atteggiamento di pigrizia che nel mondo medievale gli osservatori esterni designavano come proprio degli accidiosi, di cui si è parlato nell’articolo precedente su  Notizie in… Controluce, ottobre 1999. NdA.]
I loro pensieri sono per lo più riguardanti se stessi; in questo sono simili alla pietra della macina, che consuma se stessa quando non ha più frumento. I loro pensieri vertono sempre sui loro crucci; quando hanno pensato qualcosa di storto, tornano a ripensarci di nuovo. Girano incessantemente sui loro scrupoli e quindi capita che siano pieni di superstizioni. [Un altro autore dell’epoca, il vescovo Jeremy Taylor (1613-1667), così scrive a proposito degli scrupoli, momento nevrotico ossessivo di queste sue pecorelle dall’animo contorto: «Se si tratta di celibi, essi sanno che ogni tentazione è un fuoco che gli apostoli hanno certamente detto di evitare, aggiungendo però che piuttosto di soffrire è meglio congiungersi in matrimonio; ma, se essi pensano di sposarsi, non osano per paura di essere annoverati fra chi trascura la gloria del Signore, poiché pensano che essa sia meglio promossa non toccando alcuna donna. Una volta sposati hanno timore di adempiere ai loro doveri, per paura che ciò possa essere in fondo un cedimento, che li renderebbe sospetti di carnalità, eppure non osano ometterli, per paura di non essere nel giusto; e nondimeno temono che il solo pensare che ciò non sia una cosa pulita sia di per sé un peccato, e sospettano che, se non avessero questo timore, ciò sarebbe il segno evidente che essi aderiscono più alla natura che allo spirito. Pur non avendo commesso peccato si pentono, e accusano se stessi senza che ci sia né forma né sostanza; la loro virtù li fa tremebondi, e nella loro innocenza sono pieni di paura; se da una parte in nessuna maniera commetterebbero peccato, dall’altra non sanno come evitarlo.» NdA.]
Hanno perso la facoltà di governare i loro pensieri con la ragione; e così, se li convincete ad abbandonare questi loro pensieri, sorgenti di angustie e senza costrutto, e a dedicarsi a qualche altro soggetto, o a prendersi una tregua, non sono capaci di obbedirvi. Non possono pensare ad altro che a quello che stanno pensando, non diversamente da chi, tormentato dal mal di denti, non riesce a pensare ad altro che al suo dolore. [Questo fissarsi su un solo punto da parte dei melanconici, oltre ad essere spesso una caratteristica dei moderni depressi, è sottolineato anche nella voce mélancholie della già citata Enciclopédie: «MELANCONIA, (in medicina), melancolia è un nome composto da mélaina, nero e cholé, bile, di cui Ippocrate si è servito per designare una malattia che egli ha creduto essere prodotta dalla bile nera ed il cui carattere generale e distintivo è un delirio particolare, che gira espressamente attorno a uno o due soggetti, senza febbre né furore, cosa questa in cui differisce dalla mania e dalla frenesia. Questo delirio è sovente accompagnato da un’insormontabile tristezza, da umore cupo, da misantropia e da una decisa tendenza alla solitudine.» NdA.]
Il gran tormento delle loro paure porta il loro pensiero a ciò che temono, alla stessa maniera di chi, desiderando fortemente dormire, è sicuro di restare insonne, poiché la sua paura e il suo desiderio lo tengono sveglio.
Molta parte della cura consiste nell’entrare nelle loro grazie e nell’evitare tutte le cose spiacevoli. Se si conosce una qualsiasi cosa lecita che possa piacere loro nei discorsi, nella compagnia, nell’abbigliamento e per tutto quanto riguarda la camera in cui giacciono o l’assistenza che viene loro data, fategliela avere. Se conoscete qualcosa da cui siano infastiditi, rimuovetela. Non parlo dei dementi che devono essere dominati con la forza, ma dei tristi e dei melanconici: se li portate a una condizione  piacevole, allora potete guarirli.
Per quanto vi è possibile, distraeteli dai pensieri che li affliggono; teneteli occupati con altri discorsi o altri affari; volgetevi a sorpresa verso di loro e interrompete le loro meditazioni; portateli fuori da ciò, purché lo facciate come farebbe un amorevole importuno: se soffrono a restare soli, portategli compagnia o conduceteli dove ce n’è; in special modo non tollerate che se ne stiano in ozio, ma procurate loro un’occupazione che scuota il corpo e tenga occupata la mente. Sarebbe proficuo se poteste occuparli a consolare altri che siano afflitti da dolori anche più grandi: poiché ciò farebbe capire loro che il proprio non è un caso speciale, ed è come se parlassero a se stessi quando parlano ad altri. [Qualche storico ha voluto ravvisare in questa frase un primo embrione di terapia di gruppo. NdA.]
Il  migliore diversivo sarebbe quello di farli incontrare con qualcuno che professi un’errata convinzione a cui essi siano profondamente avversi, facendoli entrare in disputa con lui; poiché nel momento in cui essi confutano quelle idee, cercando di convincerlo, i loro pensieri vengono allontanati dalle loro afflizioni. Forrest racconta come un suo paziente affetto da melanconia, e che era papista, venisse guarito quando la Riforma si diffuse nel paese, semplicemente per l’agitazione di disputare contro. Una migliore causa potrebbe far meglio alla bisogna. [Queste raccomandazioni di tipo psicoterapeutico sono state sempre presenti nel trattamento della melanconia, fin dall’antichità classica. Ad esempio, Sorano di Efeso, medico greco vissuto nella prima metà del II secolo dopo Cristo, raccomandava che il malinconico venisse condotto ad assistere a spettacoli allegri, e forzava i convalescenti a cimentarsi nell’arte oratoria, davanti ad una platea di familiari e amici compiacentemente entusiasti. NdA.]
Se gli altri mezzi non dovessero funzionare, non tralasciate le cure mediche; e, sebbene loro siano contrari, perché pensano che il male risieda solo nella mente, e che la medicina non possa curare l’anima, bisogna persuaderli o forzarli. L’anima e il corpo sono associati nella malattia e nella cura in una maniera che lascia stupefatti, ma, poiché l’esperienza ci dice che questo fatto può giocare a nostro favore, abbiamo tutte le ragioni per agire così. [La teoria dell’umore melanconico (la bile nera) come fluido fisico rispondeva alla necessità di affermare la stretta interdipendenza tra l’anima e il corpo. Se situazioni di tristezza e paura generavano la bile nera, a sua volta un eccesso di questa conduceva a uno stato di tristezza e timore. Per questo, specie quando gli interventi psicoterapeutici avevano fallito, si ricorreva a drastiche cure fisiche. NdA.]
Ho conosciuto una gentildonna afflitta da una profonda melanconia che per tanto tempo non ha voluto avere cure mediche né ha mai voluto sentirne parlare; e non tollerava che suo marito uscisse dalla stanza; mentre egli finì col morire per il dispiacere e a causa di queste limitazioni, lei fu guarita con medicine cacciatele a forza in gola con un tubo. [Il rifiuto del ricorso al medico è ancora oggi tipico dei depressi; però, come vedremo trattando delle cure fisiche dell’epoca, la dama in questione non aveva tutti i torti a starne lontana. NdA.]                      (continua)


 

  

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