CURIOSITÀ STORICHE
La depressione nei tempi antichi
La melanconia religiosa dei puritani inglesi
di VALMONT
Il Seicento inglese fu caratterizzato da forti sommovimenti politici e
religiosi. Sotto le bandiere della religione riformata e guidati da Cromwell, i Puritani
portarono al potere una nuova classe dirigente e misero a morte il proprio re, troppo restio a cedere parte del suo potere. E
tutto ciò più di cento anni prima dei rivoluzionari francesi. Ma la grande esplosione di
rinnovata religiosità aveva tra i suoi pericoli quello della melanconia religiosa, un
grave malessere psichico che poteva prendere soggetti animati da grande fervore
spirituale, raggiungendo il suo acme quando essi cominciavano a dubitare fortemente della
salvezza della propria anima. Questa forma speciale di melanconia non fu appannaggio solo
dei puritani inglesi; un secolo dopo, a metà del Settecento, lEncyclopédie di
Diderot e dAlembert, oltre a un significativo accenno alla voce generale
mélancholie, conteneva una voce specifica sullargomento, dal titolo mélancholie
religieuse. Però, se ci soffermiamo a parlare di loro, è perché manifestano in maniera
evidente i segni della depressione dei nostri giorni.
A questa forma di melanconia si riferisce essenzialmente il brano citato più avanti,
scritto da Richard Baxter (1615-1691), un pastore danime inglese, piuttosto non
conformista a detta degli storici, che racconta di essere stato obbligato a improvvisarsi
medico per necessità, poiché nella sua zona non ve ne erano affatto. Una volta diventato
famoso in tutta lInghilterra per la sua sapienza, «rimase sconcertato dalla
moltitudine di persone melanconiche che venivano da ogni parte per incontrarlo, e che
preferivano ricorrere a lui piuttosto che a medici di professione». Ecco quello che egli
scrive a proposito di questi melanconici in un brano che riportiamo, con qualche
snellimento atto a facilitarne la lettura:
«I soggetti melanconici sono in generale paurosi alleccesso. La loro fantasia si
agita in maniera da aumentare la sensazione della gravità del loro peccato, assieme a
quella del loro pericolo e della loro infelicità. A questo si aggiunge una grande
tristezza; alcuni piangono senza sapere perché, e alcuni pensano che debba essere così;
e se gli capitasse di sorridere o di parlare con felicità, il loro cuore li
rimprovererebbe di ciò, come se avessero fatto qualcosa di inopportuno. Accusano in
continuazione se stessi, trasformando tutto in materia di propria colpa, sia esso qualcosa
che sentano o leggano, o vedano, o pensino; qualunque cosa facciano si agitano contro se
stessi, allo stesso modo con cui gli individui dal carattere litigioso fanno con il loro
prossimo. Temono sempre di essere stati abbandonati da Dio e che sia troppo tardi per
pentirsi o ricevere perdono. Non capita mai che leggano o sappiano di qualche caso
miserevole senza che si convincano che questo sia il loro caso. E pensano sempre che
nessuno sia nello stato in cui essi si trovano; in poche settimane ho ricevuto una gran
quantità di persone che vivevano esattamente nella stessa situazione, e tutte affermavano
che nessuno stava come loro. Sono incapaci di gioire di qualsiasi cosa; non riescono a
concepire, a pensare o a credere a niente che possa essere loro di conforto. Sono sempre
scontenti e insoddisfatti di se stessi; si comportano con gli altri proprio come esseri
permalosi e corrucciati, sospettosi di chiunque vedano bisbigliare. Sono molto riluttanti
a compiere il lavoro che gli spetta e, dediti allozio, o giacciono nel loro letto o
stanno improduttivamente a sedere. [Ricompare qui quellatteggiamento di pigrizia che
nel mondo medievale gli osservatori esterni designavano come proprio degli accidiosi, di
cui si è parlato nellarticolo precedente su Notizie in
Controluce,
ottobre 1999. NdA.]
I loro pensieri sono per lo più riguardanti se stessi; in questo sono simili alla pietra
della macina, che consuma se stessa quando non ha più frumento. I loro pensieri vertono
sempre sui loro crucci; quando hanno pensato qualcosa di storto, tornano a ripensarci di
nuovo. Girano incessantemente sui loro scrupoli e quindi capita che siano pieni di
superstizioni. [Un altro autore dellepoca, il vescovo Jeremy Taylor (1613-1667),
così scrive a proposito degli scrupoli, momento nevrotico ossessivo di queste sue
pecorelle dallanimo contorto: «Se si tratta di celibi, essi sanno che ogni
tentazione è un fuoco che gli apostoli hanno certamente detto di evitare, aggiungendo
però che piuttosto di soffrire è meglio congiungersi in matrimonio; ma, se essi pensano
di sposarsi, non osano per paura di essere annoverati fra chi trascura la gloria del
Signore, poiché pensano che essa sia meglio promossa non toccando alcuna donna. Una volta
sposati hanno timore di adempiere ai loro doveri, per paura che ciò possa essere in fondo
un cedimento, che li renderebbe sospetti di carnalità, eppure non osano ometterli, per
paura di non essere nel giusto; e nondimeno temono che il solo pensare che ciò non sia
una cosa pulita sia di per sé un peccato, e sospettano che, se non avessero questo
timore, ciò sarebbe il segno evidente che essi aderiscono più alla natura che allo
spirito. Pur non avendo commesso peccato si pentono, e accusano se stessi senza che ci sia
né forma né sostanza; la loro virtù li fa tremebondi, e nella loro innocenza sono pieni
di paura; se da una parte in nessuna maniera commetterebbero peccato, dallaltra non
sanno come evitarlo.» NdA.]
Hanno perso la facoltà di governare i loro pensieri con la ragione; e così, se li
convincete ad abbandonare questi loro pensieri, sorgenti di angustie e senza costrutto, e
a dedicarsi a qualche altro soggetto, o a prendersi una tregua, non sono capaci di
obbedirvi. Non possono pensare ad altro che a quello che stanno pensando, non diversamente
da chi, tormentato dal mal di denti, non riesce a pensare ad altro che al suo dolore.
[Questo fissarsi su un solo punto da parte dei melanconici, oltre ad essere spesso una
caratteristica dei moderni depressi, è sottolineato anche nella voce mélancholie della
già citata Enciclopédie: «MELANCONIA, (in medicina), melancolia è un nome composto da
mélaina, nero e cholé, bile, di cui Ippocrate si è servito per designare una malattia
che egli ha creduto essere prodotta dalla bile nera ed il cui carattere generale e
distintivo è un delirio particolare, che gira espressamente attorno a uno o due soggetti,
senza febbre né furore, cosa questa in cui differisce dalla mania e dalla frenesia.
Questo delirio è sovente accompagnato da uninsormontabile tristezza, da umore cupo,
da misantropia e da una decisa tendenza alla solitudine.» NdA.]
Il gran tormento delle loro paure porta il loro pensiero a ciò che temono, alla stessa
maniera di chi, desiderando fortemente dormire, è sicuro di restare insonne, poiché la
sua paura e il suo desiderio lo tengono sveglio.
Molta parte della cura consiste nellentrare nelle loro grazie e nellevitare
tutte le cose spiacevoli. Se si conosce una qualsiasi cosa lecita che possa piacere loro
nei discorsi, nella compagnia, nellabbigliamento e per tutto quanto riguarda la
camera in cui giacciono o lassistenza che viene loro data, fategliela avere. Se
conoscete qualcosa da cui siano infastiditi, rimuovetela. Non parlo dei dementi che devono
essere dominati con la forza, ma dei tristi e dei melanconici: se li portate a una
condizione piacevole, allora potete guarirli.
Per quanto vi è possibile, distraeteli dai pensieri che li affliggono; teneteli occupati
con altri discorsi o altri affari; volgetevi a sorpresa verso di loro e interrompete le
loro meditazioni; portateli fuori da ciò, purché lo facciate come farebbe un amorevole
importuno: se soffrono a restare soli, portategli compagnia o conduceteli dove ce
nè; in special modo non tollerate che se ne stiano in ozio, ma procurate loro
unoccupazione che scuota il corpo e tenga occupata la mente. Sarebbe proficuo se
poteste occuparli a consolare altri che siano afflitti da dolori anche più grandi:
poiché ciò farebbe capire loro che il proprio non è un caso speciale, ed è come se
parlassero a se stessi quando parlano ad altri. [Qualche storico ha voluto ravvisare in
questa frase un primo embrione di terapia di gruppo. NdA.]
Il migliore diversivo sarebbe quello di farli incontrare con qualcuno che professi
unerrata convinzione a cui essi siano profondamente avversi, facendoli entrare in
disputa con lui; poiché nel momento in cui essi confutano quelle idee, cercando di
convincerlo, i loro pensieri vengono allontanati dalle loro afflizioni. Forrest racconta
come un suo paziente affetto da melanconia, e che era papista, venisse guarito quando la
Riforma si diffuse nel paese, semplicemente per lagitazione di disputare contro. Una
migliore causa potrebbe far meglio alla bisogna. [Queste raccomandazioni di tipo
psicoterapeutico sono state sempre presenti nel trattamento della melanconia, fin
dallantichità classica. Ad esempio, Sorano di Efeso, medico greco vissuto nella
prima metà del II secolo dopo Cristo, raccomandava che il malinconico venisse condotto ad
assistere a spettacoli allegri, e forzava i convalescenti a cimentarsi nellarte
oratoria, davanti ad una platea di familiari e amici compiacentemente entusiasti. NdA.]
Se gli altri mezzi non dovessero funzionare, non tralasciate le cure mediche; e, sebbene
loro siano contrari, perché pensano che il male risieda solo nella mente, e che la
medicina non possa curare lanima, bisogna persuaderli o forzarli. Lanima e il
corpo sono associati nella malattia e nella cura in una maniera che lascia stupefatti, ma,
poiché lesperienza ci dice che questo fatto può giocare a nostro favore, abbiamo
tutte le ragioni per agire così. [La teoria dellumore melanconico (la bile nera)
come fluido fisico rispondeva alla necessità di affermare la stretta interdipendenza tra
lanima e il corpo. Se situazioni di tristezza e paura generavano la bile nera, a sua
volta un eccesso di questa conduceva a uno stato di tristezza e timore. Per questo, specie
quando gli interventi psicoterapeutici avevano fallito, si ricorreva a drastiche cure
fisiche. NdA.]
Ho conosciuto una gentildonna afflitta da una profonda melanconia che per tanto tempo non
ha voluto avere cure mediche né ha mai voluto sentirne parlare; e non tollerava che suo
marito uscisse dalla stanza; mentre egli finì col morire per il dispiacere e a causa di
queste limitazioni, lei fu guarita con medicine cacciatele a forza in gola con un tubo.
[Il rifiuto del ricorso al medico è ancora oggi tipico dei depressi; però, come vedremo
trattando delle cure fisiche dellepoca, la dama in questione non aveva tutti i torti
a starne lontana. NdA.]
(continua)
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