LETTERATURA
Dickinson, una donna vissuta a metà dellOttocento
di NICOLA D'UGO
Vè una letteratura daccordo, che mobilitandosi dalle
urgenze dellindividuo va a ricercare un linguaggio comune. Si tratta di
unurgenza, anzitutto di un umore individuale, che viene convogliato in
unazione lo scrivere, lesercizio della quale richiama a sé, evoca
in sé, attraverso quello che comunemente chiamiamo formazione e sensibilità,
unespressione fatta di scenari linguistici, di modi di dire, di luoghi interiori che
subito vengono acciuffati dallautore nella propria mente. Questi acciuffamenti
interiori possono essere in qualche modo rispettosi
di un discorso comune, tesi a una dicitura che integri la scrittura poetica in uno
scenario regolato da altri e con gli altri, che tiene conto della sua collocazione
ambientale, della tendenza della letteratura contemporanea, del suo assumere una
conformazione riconoscibile come efficace a entrare a pieno titolo in quello che viene
chiamato «agone letterario», ossia il luogo di confronto e di scontro delle scritture di
una determinata epoca. La scrittura di Emily Dickinson, una donna vissuta a metà
dellOttocento, è particolarmente affascinante per due motivi. Anzitutto perché la
sua opera appare meno inquinata dalle mode letterarie, dagli agoni che caratterizzano in
genere le preoccupazioni dei poeti. Poi per la stretta tangenza del suono e
dellidea, dellimmagine e della sua espressione in parole. Al punto che, nei
suoi riguardi, si è parlato di charm e riddle (incantesimo e indovinello) a
un tale grado che torna inadeguato qualsiasi tentativo di traduzione.
Tutto ciò che è entrato a far parte della memoria individuale di Dickinson può quindi
fuoriuscire come un magma proprio, che ha una sua coerenza non nellampio disegno
delle opere epiche, ossia costruite secondo un ordine delle parti, ma nellesercizio
di una espressività che cerca di essere coerente anzitutto alle proprie sensazioni. Il
che in letteratura è una rarità. Normalmente si tende a seguire i grandi autori, quelli
che si considerano tali ovviamente, e a rifinirli o a contrastarli attraverso una
scrittura «nuova», che lasci un segno alla socialità linguistica, a scapito della
propria soggettività e, specialmente, della propria unità spirituale. La fortuna della
Dickinson è tale da fare scuola ormai da più di mezzo secolo, quasi il tempo che ci ha
messo ad essere ampiamente riconosciuta nella sua integrità, ad essere pubblicata non
secondo i canoni editoriali del suo tempo e dei decenni successivi, ma secondo la
scrittura originale ritrovata solo dopo la sua morte.
Nel momento in cui si è andati riconoscendo la portata del suo linguaggio poetico, si è
potuta superare nellanimo dei curatori qualsiasi anomalia grammaticale della
scrittura di Dickinson. Si è potuta cioè mettere da parte quella socializzazione
linguistica, quella omologazione a modelli vigenti con cui deve scontrarsi, in necessità
della artificiosa compattezza culturale dei sistemi editoriali e culturali, qualsiasi
opera originale non vi appartenga per costituzione. Società e arte trovano in questo un
perenne scontro, non solo sul terreno tecnico della scrittura, ma anche su quello delle
proposte di scenari originali che la società non sa raccogliere in sé. Questo riguarda
evidentemente la critica, già prima di qualsiasi applicazione dello strumento critico,
prima cioè di qualsiasi consapevolezza. È, anche in questo caso, un atto umorale che
pare indirizzare il critico a una repulsione o a un accostamento ulteriore dellopera
che si trova fra le mani. Egli può ritenere di trovarsi fra le mani, dopo la lettura di
poche sillabe, un autore incolto, dilettantesco, oppure un parolaio, o anche uno
spericolato sperimentatore, il seguace di una scuola ecc. In questo caso il rischio del
critico è quello di una repulsione verso lopera prima ancora di averla letta, o una
catalogazione dellautore entro un suo ordine mentale di memoria. Egli può
considerare una perdita di tempo la prosecuzione della lettura di un autore ignoto, non
meno di quando da ragazzino con fatica apprendeva le nozioni che il sistema culturale di
cui faceva parte gli presentava come i modelli detti «letteratura». Le anomalie formali
della punteggiatura e degli accapo, di una o più parole «scritte male», sono alcuni dei
metri di giudizio del critico, quali spie improprie del valore artistico di un autore. È
bene allora osservare con cautela anzitutto quelle anomalie umorali che sono in noi, nel
momento in cui ci sentiamo disponibili a criticare unopera letteraria. Riconoscere
oggi che Emily Dickinson è un grande poeta è un atto piuttosto diffuso e prevalentemente
dovuto allautorevolezza che la circonda e allinfluenza che ha esercitato su
quella che ci hanno detto essere la «letteratura». Il difficile diviene applicarci in
quellaltra letteratura che va formandosi nel nostro tempo, la letteratura ignota,
per cui dobbiamo saper aggiornare le nostre configurazioni mentali senza dimenticarci
della loro costituzione. Il rischio, in questultimo caso, è quello di rimanere
ancorati a un passato che sentivamo come nuovo o di trattare come vecchia la novità, la
freschezza e lurgenza dichiarativa di quel passato.
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