LETTERATURA
Nuova poesia italica in Marcoaldi
«E la vita vedi alle volte
lo ripaga: "Sveglia ragazzo
andiamo. È tempo di salpare".»
Franco Marcoaldi, Celibi al limbo
di NICOLA D'UGO
In Celibi al limbo (1995), Franco Marcoaldi ci offre una poesia
autoironica, talvolta amara, schivando con larguzia buffonesca ogni pretesa di
lirismo serioso, di letteratura alta, di sperimentalismo estroso, come vorrebbe invece la
più nota poesia del secondo Novecento. Ciò che mi ha colpito di questo autore è il gioco simpatico e imperfetto
delle rime, come fiori o stelle che sbocciano nella testa lungo il fiume della sensazione.
Una sensazione che sa tenersi, o meglio perdersi e ritornare, in un contesto
riconoscibile, in unItalia fatta di amici, illusioni, canzonature, attese e
delusioni. La poesia, con Marcoaldi, sembra ritornare a questo contesto contemporaneo, di
cui ci avevano già raccontato altri linguaggi, anzitutto quello cinematografico di
Moretti e quello fumettistico di Pazienza. LItalia di Marcoaldi non è un orto
montaliano, in cui lesistenza si consuma e si brucia la vita, e neppure, più tardi,
quellItalia segnalata da Pagliarani ne La Ragazza Carla, in cui depressione e
immigrazione rappresentano il contesto sociale entro cui matura, nel dolore, il boom
economico degli anni Sessanta. Qui ciò che si consuma sono i momenti, ciò che brucia è
il desiderio, e ancor più la sua rapida consunzione. La vita non è disillusa, ma si
illude e disillude per illudersi ancora. Il mito non è né la Rivoluzione né la Lotta
Sociale, ma, come scrive Marcoaldi, «regina Fica». Infatti: «E gli operai che
arrivano | dal Corso, a dorso di lambrette? | Che strillano, battendo sui tamburi? |
Bandiere rosse e volti seri, scuri; | quegli operai di cosa vanno in cerca? | Loro
ce lhanno col governo, | ce lhanno con gli americani. | I quali sono
amici del mio babbo, | mentre il fratello grande dice | che non è vero niente: Ma
quali | santarelli, quelli; son caimani.» Sono invece le frequentazioni,
amicizie, amori, pervasi dal mito dellarte e della letteratura, di
quellintellettualismo riflessivo che ha perso la connotazione dazione propria
delle sue origini francesi, quali erano quelle espresse nellOttocento sul giornale Aurore.
Ma vè un cenno di ritorno al commento e al giudizio sulla realtà contemporanea
che, se anche non la si dovesse condividere, risulta, se non pasolinianamente grintosa,
ironicamente desolata e sconsolata, comunque critica.
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