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Anno IX
numero 3 – marzo 2000

 LETTERATURA

Viktor Pelevin tra grottesco e fantascienza
Il più recente fenomeno letterario russo giunge anche in Italia

di Lorenzo Pompeo

Il più recente fenomeno letterario russo giunge anche in Italia sulla scia di un lusinghiero successo in patria e negli Stati Uniti. Il romanzo in questione, infatti, è stato eletto «miglior libro dell'anno» dai settimanali "Newsday" e "Spin", mentre è stata tradotta in inglese anche una raccolta di racconti dell'autore. Viktor Pelevin, nato nel 1962 (ma secondo altre fonti nel 1967), ha già all'attivo altri due romanzi e alcune raccolte di racconti (l'edizione originale del romanzo risale solo al 1992).
"Omon Ra" è anche il nome del protagonista del romanzo, un cosmonauta, che viene sacrificato in una grottesca missione sulla luna. Mescolando le carte tra grottesco e fantascienza, l'autore attinge in continuazione dalla retorica del socialismo reale in versione sovietica nel suo momento più alto, l'epica dell'esplorazione del cosmo, mettendo in evidenza tutti quei tratti grotteschi così tipici di quella "cultura sovietica", intendendo questo termine nell'accezione più larga.
Proprio il contrasto tra le parole d'ordine e il degrado della vita quotidiana costituisce un terreno fertile per i narratori del grottesco, che possono trovare soprattuto nelle paludi del cosiddetto "ristagno", ovvero l'epoca brezhneviana, nello scollamento tra una rappresentazione del mondo "vera" e una rappresentazione del mondo "falsa", imposta e inventata, un numero infinito di quegli elementi grotteschi e umorisitici che spuntano come funghi appena dietro l'angolo del realismo socialista.
Già altri scrittori di talento, come l'indimenticato Vasilij Aksenov, autore dello straordinario romanzo "Il rogo", avevano ritratto la vita dell'epoca argentea dell'Unione Sovietica con tratti drammatici e grotteschi allo stesso tempo, e l'autore in questione sembra essere l'erede di quegli scrittori che, come Aksenev, anche se non sembravano anelare all'aureola del martirio del dissidente, cavalcando la breve ondata del disgelo chrushchoviano, riuscirono a trovare un varco per uscire dalla soffocante ufficialità e dall'imperante ideologia proprio nell'ironia, un'ironia tragica, feroce, che inevitabilmente si piega fino al ridicolo e al grottesco.
Se tutti gli edifici retorici posseggono la facciata posteriore che inevitabilmente è ridicola, proprio perché "da dietro" si vedono le stecche di legno che reggono le impalcature, questo effetto è ancora più evidente con la retorica sovietica. Ricordo che, durante il mio primo soggiorno a Mosca, mi trovai alla celebre Vdnch, ovvero "l'esposizione delle realizzazioni dell'economia nazionale", che doveva essere la vetrina, la massima sintesi della retorica sovietica, e ricordo lo stupore misto al divertimento nel vedere la celebre fontana con le statue dorate delle fanciulle, che rappresentavano le 14 repubbliche sovietiche, abbigliate ognuna con il vestito "tipico" nazionale. Mai ho visto tanto cattivo gusto concentrato.
Il romanzo di Pelevin, che non a caso cita questo luogo ameno, che ritengo possa essere considerato uno dei più importanti monumenti al mondo del kitch, sembra essere scritto proprio sulla scorta delle medesime impressioni e delle medesime riflessioni in me suscitate da quella passeggiata alla Vdnch (naturalmente le missioni spaziali erano considerate il fiore all'occhiello delle "realizzazioni dell'economia nazionale" e un monumento tra i più ridicoli, ricordato anche da Pelevin, con un missile sul culmine di una specie di altissima mezzaluna, doveva celebrarle per l'eternità).
Sotto questo punto di vista "Omon Ra" è, in un certo senso, anche un documento storico di un'epoca ormai lontana. Come le giovani generazioni non ricordano più la televisione in bianco e nero e il famigerato "Carosello", così anche per le ultime generazioni in Russia l'epica dei cosmonauti sovietici non suscita alcun tipo di romantica emozione, mentre quei macchinari farraginosi delle prime spedizioni, come il celebre "Sputnik", che sembra appartenere ormai all'età della pietra, appaiono oggi ridicola ferraglia.
Ancora una volta protagonista del romanzo è un "lishnij chelovek", l'uomo superfluo eroe di molti romanzi dell'Ottocento russo: un uomo votato a un inutile sacrificio, visto l'esito della Guerra Fredda. Tuttavia il personaggio protagonista della vicenda narrata non ha uno spessore psicologico, è un protagonista inconsapevole, una vittima, che tuttavia non ha mai facoltà di scelta. Il nome "Omon" è anche quello di un corpo speciale della polizia sovietica.
In buona sostanza Omon Ra è una caricatura dell'homo sovieticus, del particolare rapporto di questi con la tecnologia (così come Andrej Platonov lo descriveva in molte sue opere), e della retorica del sacrificio. Ma lo scopo dell'autore non sembra essere la denuncia del "sistema disumano", quanto quello di aprirsi un varco verso lo spazio fantastico che si trova tra la retorica e la realtà, tra le ipotesi e la versione ufficiale.
Quando Pelevin racconta le disavventure del suo protagonista, costretto all'interno del lunamobile a pedalare, è come se la finzione letteraria volesse superare la finzione "ufficiale" della retorica con la parodia.
L'idea suggerita dall'autore che la "messa in scena" risulti poi in fondo –in ultima analisi– l'unica verità nella società mediatica è l'inquietante sospetto che affiora nella mente del lettore mano a mano che si addentra nelle pagine di questo breve romanzo. Anche se la saga epica dei cosmonauti appartiene ormai al passato, quel ricordo lontano ci appare oggi come la parte migliore della società mediatica in cui l'informazione è già realtà che produce essa stessa una realtà ancora più vera della realtà, semplicemente attraverso l'amplificazione e la reiterazione.
L'ingenuo entusiamo per gli "eroi del cosmo sovietico", a cui l'opera di Pelevin è dedicata, suscita in noi un tenero ricordo di tempi lontani, più o meno lo stesso che suscitano in noi i "mulini bianchi", ovvero quella dose di mistificazione tollerata della quale fruiamo con piacere tutti i giorni.
Anche oggi, a otto anni dalla sua pubblicazione, "Omon Ra" è un romanzo attualissimo, se letto con le lenti della contemporaneità. Forse un distillato della sua graffiante e dissacrante ironia potrebbe essere utile per risvegliare le menti assopite dai narcotici mediatici.


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