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Anno IX numero 10 - ottobre 2000

 CURIOSITÀ STORICHE

La distribuzione dell’acqua nelle abitazioni a Roma
Nel 1865 una bolla del governo pontifico autorizzava una Compagnia a ricondurre in città l’antica Acqua Marcia

di Alberto Restivo

Molti romani ancora oggi conservano fra le immagini della loro giovinezza il ricordo della loro città illuminata dalle fioche luci delle lampade a petrolio.
Non si può dire invece la stessa cosa riferendoci a tutti quegli apparati primordiali che servivano un tempo alla distribuzione delle acque nelle abitazioni ed il cui ricordo è ormai esclusivamente affidato a qualche rara testimonianza della vecchia iconografia.
Negli ultimi anni del governo pontificio, Roma era scarsamente popolata (contava circa 200 mila abitanti) e viveva ancora assorta in un suo fascino sonnolento da monumentale borgo urbano che di fatto sembrava isolarla dal resto del mondo.
Le vie erano scarse ed in parte ancora contese dall’aperta campagna, la vita sociale, povera e festaiola insieme, immobilizzata e soggetta a forme di antiche gerarchie; la produzione e gli scambi fondati solo su una ridotta attività artigianale; e, infine, inesistenti o quasi i servizi pubblici, nonostante l’imponente complesso ospedaliero e le grandiose opere di ripristino promosse dai Papi.
Così quelle acque, come la Vergine e la Felice, che per la loro bassa quota di sorgente, non potevano giungere che a qualche metro sopra il livello stradale della Roma bassa, finivano in rustiche vasche sistemate nei cortili da dove per mezzo di funi, carrucole e secchi, venivano distribuite nei singoli alloggi.
Era il cosiddetto "sistema dei tiri": ancora oggi esaminando con attenzione i vecchi bugnati di alcune case del rione Ponte, del rione Trevi, S. Eustachio o Campo Marzio si possono riconoscere piccole placche di marmo sulle quali si intravede un numero quasi cancellato dal tempo che indicava il numero di "once" che doveva essere distribuito in quella casa in virtù delle concessioni perpetue, accordate dietro pagamento di 600/700 scudi alle casse dell’Erario pontificio.
Dovevano ancora passare alcuni decenni prima che un impianto di sollevamento portasse l’Acqua Vergine a quaranta metri sopra il livello dei quartieri bassi. Né si manifestava ancora l’esigenza di un migliore rifornimento idrico, dato che fino al 1865 gli acquedotti distribuivano nella città 2,58 metri cubi di acqua al secondo, più che sufficienti come dotazione individuale, anche se ben poche erano le case servite direttamente.
Ma proprio in quell’anno, in previsione di un ulteriore incremento urbano, una bolla del governo pontifico autorizzava una Compagnia angloromana, costituitasi con un capitale di 1 milione di scudi, a ricondurre in città l’antica Acqua Marcia.
I lavori si protrassero per cinque anni. Infine, il Papa, accompagnato dai dignitari della Corte romana e dal ministro dei Lavori Pubblici, Cardinale Berardi, si recò alla solenne inaugurazione che avvenne là ove oggi è la Piazza delle Terme.
Un acquerello dell’epoca mostra il momento culminante della cerimonia: in primo piano un drappello di guardie pontificie, poi la folla dei borghesi e dei popolani, in fondo il baldacchino da dove Pio IX benedice il colossale getto d’acqua che si leva dalla vasca, trasformata più tardi in fontana delle Najadi. Era il 10 settembre 1870 e dopo qualche giorno il Conte Ponza di S. Martino avrebbe consegnato al Papa il rispettoso ultimatum del Re d’Italia.
L’antica Marcia, ribattezzata Pia dal nome del Pontefice, ritornava a Roma, proprio alla vigilia della "breccia": e fu quella la più recente opera di pubblica utilità che le nuove amministrazioni municipali trovarono nella Capitale dopo l’unificazione, opera tuttavia affidata a privati e dal cui esercizio il Comune sarebbe rimasto escluso per 99 anni, secondo i termini della concessione pontificia, riconosciuta poi dallo stesso Governo Italiano.
Mutarono i tempi e anche la Piazza dell’Esedra divenne luogo di cerimonie ben diverse da quella del 10 settembre 1870: ad esempio, come si nota dalla fotografia scattata il 24 ottobre 1896, nella Chiesa di S. Maria degli Angeli furono celebrate le nozze di S.M. Vittorio Emanuele III, Re Imperatore.
Ancora la fontana aveva mantenuto l’aspetto originario, secondo il disegno dell’ing. Guerrieri. Ma pochi anni dopo, nel 1901, lo scultore palermitano Mario Rutelli (n. a Palermo nel 1859 e ivi m. nel 1941), trasformava definitivamente la fontana sostituendo le semplici quattro Sfingi poste originariamente dal Guerrieri con i quattro gruppi delle Naiadi che raffigurano rispettivamente: la Ninfa dei Laghi con il cigno, la Ninfa dei Fiumi poggiata su un mostro fluviale, la Ninfa degli Oceani detta "Oceanina" che doma un cavallo selvaggio simbolo dei marosi, e la Ninfa delle Acque Sotterranee, mollemente sdraiata sul dorso di un misterioso dragone. L’installazione del poderoso Glauco centrale fu eseguita nel 1911-1912.
L’opera conferì molta notorietà al Rutelli, anche se le nudità procaci delle Naiadi sollevarono allora in una parte della cittadinanza bacchettona e pseudomoralista, molte polemiche che si esaurirono in breve tempo, dovendosi comunque riconoscere allo scrittore grande versatilità e senso decorativo in molte altre opere realizzate in Italia (monumento ad Anita Garibaldi sul Gianicolo, una Vittoria nel Monumento a Vittorio Emanuele a Roma) e all’estero (Statua di Goethe a Monaco di Baviera).


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