Anno IX numero 11 - novembre 2000
ARTE
L'artista, la musa, la modella in giustapposizione
Titolo commerciale per una
mostra culturale
di Nicola D'Ugo
Mi sarei aspettato volentieri di vedere più da vicino quello che la
mostra "Lartista, la musa e la modella" proponeva con un titolo così
ambizioso e suggestivo: tutto un mondo di sogni e di storie vere che aveva coinvolto una
serie di artisti e le loro modelle. La storia della pittura ne è piena: a volte si tratta
di un rapporto fra lartista e la propria compagna, musa ispiratrice delle sue opere,
a volte di brevi avventure amorose tra gli uni e le altre, o ancora una serie di
informazioni e curiosità sui personaggi femminili che siamo abituati a vedere sulle tele
dei grandi pittori e che non sappiamo chi siano, o addirittura se siano mai esistite.
Oppure un ribaltamento: la modella che dice la sua sullartista, attraverso lettere e
testimonianze dellepoca, emergendo di là dalla sola forma immortalata da chi ne
studiava la figura e la linea, il busto eretto e il polso piegato, il viso altezzoso e il
fianco invitante. Di storie del genere ce ne sono a bizzeffe, nella Montmartre
dinizio secolo (quello scorso), così come nel nostro Rinascimento: dopotutto, la
ritrattistica è il genere di maggior successo nellarte visiva, per tutta una serie
di ragioni dapprendimento del mestiere, di commissione delle opere e di sentimento
dellartista.
Invece, mi sono dovuto accontentare di una rassegna di celebri artisti novecenteschi,
ciascuno con un pezzo o due (non certo i migliori), in una sfilata di figure femminili che
della tematica dellartista, della sua musa ispiratrice e della modella che aveva di
fronte resta soltanto la raffigurazione di donne. O le si conosceva prima, o non le si
conosce adesso. La mostra (allArchivio Arco Farnese, in Via Giulia 180 a Roma)
presenta, dal 18 ottobre al 9 dicembre, artisti di indubbia fama e di diversa formazione,
come Arturo Martini, Renato Guttuso e Fausto Pirandello. Per chi cerca il pezzo raro, il
quadro, il disegno o la statua che non ha mai visto, questa è senzaltro
loccasione per accrescere il proprio repertorio individuale in fatto di visione di
sculture, disegni e dipinti. Ma per quanti desiderano approfondire il complesso rapporto
fra un artista e una modella, quellintrecciarsi del filo biografico e con
lestetizzazione di una relazione fra persone in carne e ossa (che ci interessano a
partire dallarte), la mostra non ha nulla da dire. Lesposizione racconta male
il proprio contenuto attraverso un titolo, e già questo è indice di una leggerezza,
certo perdonabile, di chi realizza una esposizione figurativa. Benché la galleria offra
indubbiamente opere di pregio e di interesse, laltisonanza del titolo, che sarebbe
passabile si trattasse di unoperazione commerciale in cui il contenuto è
raramente conforme ai proclami, finalizzati come sono alla vendita e non alla descrizione
disinteressata del prodotto, introduce i nostri pensieri in scenari visivi e
immaginativi che vengono gratuitamente delusi. Lingresso è libero, la mostra non
mercifica nulla. Cè come il sentore della presa in prestito di un modello, di un
abito inadeguato, di una luce impropria che getta il proprio filo là dove la cultura non
si incrocia con il commercio. E si avverte una sottomissione, probabilmente inconsapevole,
della cultura alla retorica del mercato là dove non cè commercio espositivo: a
meno che non si vogliano attirare a tutti i costi eventuali clienti dei pezzi.
Laspetto caratterizzante della visita in galleria non può essere che questa del
titolo, con la conseguente amarezza di chi vede in modo chiaro come il linguaggio di massa
prenda a prestito modelli economici. Perché? Perché suona meglio? Se cè ancora un
fronte che dovrebbe sapersi tenere fuori dal linguaggio propagandistico questo è proprio
lambito della cultura non commerciale, che può meditare le proprie scelte per mezzo
dellaffrancamento che gode dal vincolo della vendita, e sbizzarrirsi a trovare
titoli che, come gli abiti, siano fatti su misura per i propri fianchi, cavalli, spalle e
polsi. La cultura affrancata si fa anche attraverso ladeguata denominazione delle
proprie proposte. La mercificazione dellarte non ha nulla da insegnare alla cultura,
seppure tenti di dirlo attraverso tutti i media che limprenditoria
dellinformazione e della comunicazione ha a disposizione.
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