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Anno IX numero 11 - novembre 2000

 LETTERATURA 

Curzio Malaparte nell'Ucraina sovietica
"Anche nella sontuosità del paesaggio, nella ricchezza del grano maturo, nell’opulenza delle nuvole bianche distese sul seno gonfio delle colline, è un presagio di morte, un segno di dissoluzione. È il senso segreto dell’estate. Gli uomini muoiono, come le stagioni. È una morte ricca, nella più ricca stagione dell’anno, poi viene l’autunno coi suoi dolci frutti di porpora."

di Lorenzo Pompeo

È il principio dell’estate del 1941. Una stagione scolpita nella memoria come una enorme lapide. Malaparte, combattente volontario nella prima guerra mondiale, di guerre se ne intende. Si trova al confine rumeno-sovietico proprio nel momento in cui sta succedendo qualcosa. La guerra è nell’aria e Malaparte non vuole mancare all’appuntamento. Il 18 giugno invia il primo resoconto di una fortunata serie, che verrà pubblicata, con qualche piccolo intervento della censura, sul Corriere della Sera e verrà in seguito tradotta e pubblicata in inglese, mentre le copie della prima edizione italiana in volume, intitolata Il Volga nasce in Europa (1943), rimarranno distrutte da un bombardamento del febbraio. Una successiva edizione verrà confiscata dalle truppe tedesche in settembre, dopo la resa italiana. Il libro, apparso in Francia già nel 1948, vedrà la luce in edizione italiana solo nel 1951. Questi resoconti valsero a Malaparte l’espulsione dal fronte e il suo rimpatrio forzoso per ordine dello stesso Gœbbels, con l’accusa di avere diffuso, insieme a notizie calunniose, il disfattismo, smentendo la convinzione di una facile vittoria.
"Un odore forte, un odore violento e grasso, mi viene incontro a Bratesc. Il fetore di qualche carogna sepolta nel fango. Grasse mosche verdi e azzurre dalle ali iridate d’oro, ronzano intorno insistenti. Un reparto di zappatori romeni sta preparando una mina, per far saltare il ponte che congiunge la sponda di Galatz a quella sovietica di Reni. I soldati parlano a voce alta tra loro, ridendo. L’acqua torbida del Bratesc illumina di gialli riflessi un paesaggio in agonia, pigro e labile, un paesaggio sfatto. La guerra imminente si avverte come un temporale sospeso nell’aria, come qualcosa all’infuori della volontà umana, quasi come un fatto della natura. In capo al ponte, sulla soglia dell’URSS, sorge il rustico arco trionfale sovietico, sormontato dal trofeo rituale della falce e martello."
Tutto è cominciato il 22 giugno. All’alba di quella giornata è la guerra contro l’Unione Sovietica. L’ordine dell’acciaio invade le immense distese di grano e girasoli con la prepotenza della calura estiva. La guerra, feroce imperatrice, impone fiamme e distruzioni, mentre magri fiumi percorrono una terra stanca e assetata. Le macchine rombano lungo le rive del Prut e le colonne di carri armati "sembrano sottili segni di matita sull’immensa lavagna verde della pianura moldava".
La prima notte di guerra trascorre senza scontri. Tutto si muove, le colonne di autocarri, l’artiglieria e i carri armati, riempiendo l’oscurità di inquietudine ansiosa. Poi l’alba. "Un’alba incerta ha risvegliato la voce lontana dei cannoni. Nella nebbia squallida e sorda, appesa ai rami degli alberi come cotone idrofilo, il sole si leva lentamente, giallo e floscio come un tuorlo d’uovo."
È il 25 giugno e l’esercito sovietico ancora non si vede. Ma Malaparte è uno che la sa lunga. Capisce subito che lo scontro sarà durissimo e lungo, e che il nemico è molto più tenace e organizzato di quanto abbiano stimato gli strateghi del Reich. Al nemico i sovietici regalano l’illusione di una vittoria facile insieme ai chilometri e chilometri di spazi verdi e sconfinati, sacrificio necessario all’onnipotenza dell’acciaio tedesco. Il corrispondente italiano guarda le truppe degli invasori, spia i loro gesti e coglie subito le differenze che corrono tra l’operaio-soldato tedesco, il suo culto per la tecnica, e il soldato-contadino rumeno, che maneggia le armi come fossero zappe. L’odore di urina di cavallo e di sudore umano dei reparti rumeni si mescola alla benzina e all’olio dei macchinari tedeschi, in un’inebriante ma instabile miscela di esotismo e tecnologia.
Il 2 luglio i tedeschi sono oltre il Prut e Malaparte è sul campo di battaglia abbandonato dai soldati sovietici. Insieme ai soldati tedeschi esamina un loro carro armato con la fredda competenza di chi se ne intende di cose militari, comprendendo subito l’importanza di questa arma, che diventerà il simbolo della guerra quanto la trincea lo era stata per la precedente guerra mondiale. Per i tedeschi è la superiorità tecnologica che gli permetterà di imporsi senza difficoltà, ma Malaparte comprende che in questa guerra la posta in gioco è molto più alta, e che i perfetti macchinari dell’operaio-soldato tedesco forse non basteranno.
"Nel giugno del 1929 io mi trovavo a Leningrado, dove mi ero recato per raccogliere delle testimonianze dirette sulla vita di Lenin in quella città," scriveva Malaparte in Lenin buonanima, opera pubblicata prima in Francia (1932) e poi in Italia (1951), nella quale riordinava gli appunti e le informazioni. Nel 1930 uscì in Italia il saggio Intelligenza di Lenin, sulla base dei suoi appunti di viaggio in Unione Sovietica. Ancora una volta Malaparte è testimone di un momento di svolta nella società sovietica segnato dal primo piano quinquennale.
Questi scritti sono il frutto di un’accorta osservazione della realtà, oltre che di uno studio. Egli, ad esempio, si avvede del fatto che le visite nelle fabbriche non sono che una messa in scena preparata dall’apparato del regime. Per conoscere questa realtà segue due strade: si mescola alla folla, entra nei dopolavoro senza farsi annunciare, sforzandosi di comunicare con la gente nella loro lingua. L’altra strada è lo studio della biografia di Lenin, che condurrà durante il suo soggiorno a Leningrado, cercando di entrare in contatto con le persone che lo avevano conosciuto.
Le conclusioni a cui giunge Malaparte sono sorprendenti: "Dall’ipocrisia della logica liberale ha origine la definizione di enigma asiatico, viva nei giudizi comuni intorno al bolscevismo. Nella Russia dei Soviet tutto è chiaro: la definizione di enigma asiatico non ha senso che per i liberali. Si può dire che in qualche modo è l’hic sunt leones degli antichi geografi," scriveva nel saggio L’intelligenza di Lenin, mentre in Lenin buonanima tornava sul concetto sostenendo che: "Il segno più chiaro della decadenza della borghesia d’Occidente è questo: ch’essa non riesce a vedere in Lenin se non un Gengiskan." "Ma –scriveva Malaparte– Lenin non è un mostro se non quanto può esserlo o diventarlo col favore delle circostanze qualunque europeo medio del nostro tempo. Il suo fanatismo è uno dei tratti caratteristici, o meglio nascosti, dello spirito piccolo borghese." Un’affermazione del genere, che potrebbe sembrare azzardata, è in realtà il frutto di uno studio accurato sulla biografia di Lenin. Sulla base di precisi dati biografici, Malaparte demolisce il mito di Lenin sottolineando la sua incapacità ad assumere, nei momenti veramente cruciali, le decisioni più rischiose, incapacità dovuta alla sua formazione piccolo-borghese. Nel saggio Intelligenza di Lenin, in una illuminante frase, Malaparte scriveva. "La sua logica è bifronte come quella di Giano: ha un volto antirusso e un volto antieuropeo; reagisce in egual misura alla natura occidentale del popolo russo e alla morale d’Occidente. Ma, per reagire alla natura del suo popolo, Lenin si giova degli elementi europei della sua logica, e di quelli propriamente russi per reagire alla morale d’Occidente. Il volto antieuropeo, sia detto con altre parole, ha lineamenti russi, quello antirusso, elementi europei." La frase che chiude il menzionato saggio è quantomai sferzante ed efficace: "Lenin non è stato sotterrato. Dorme imbalsamato in una bara di vetro, squallida mummia. I suoi fedeli hanno avuto paura che la buona terra russa ne risputasse il cadavere."
Ma torniamo ai campi di battaglia. Il 6 luglio Malaparte arriva in Bessarabia, a Zaicani. "Mi sono detto che ciò che importa non è di descrivere le carcasse dei carri armati, le carogne dei cavalli, i segni, insomma, della battaglia, quali si presentano allo sguardo, ma di tentar di cogliere il significato profondo, il significato profondo di questa guerra singolare, di mettere in luce il particolare, inconfondibile carattere, di notare obiettivamente, senza inutili e stupide partigianerie, tutti gli elementi caratteristici di questa guerra, elementi che non si ritrovano in nessuna delle battaglie combattute finora in Polonia, in Francia, in Grecia, in Africa, in Jugoslavia … Ma per poter fornire al lettore un obiettivo giudizio morale, storico, sociale e umano c’è ben altro da dire, e di ben altro interesse, su questa campagna contro la Russia sovietica."
Il 18 luglio le truppe tedesche, e Malaparte con loro, entrano in Ucraina. Così come aveva fatto venti anni prima, quando Malaparte era arrivato a Kyjiv al seguito delle truppe polacche di Pilsudski. L’inviato italiano conosceva la questione ucraina, dal momento che aveva preso parte alla conferenza di pace di Versailles, dove la questione ucraina costituiva un problema scottante; inoltre si trovava proprio in quegli anni a Varsavia. Nel suo resoconto del 18 luglio, intitolato "L’Ucraina tomba del grano", l’autore cita un rapporto Virgili-Amadori (dal nome di un diplomatico italiano che si era trovato in Ucraina nel 1918) sull’interramento del grano durante i mesi dell’occupazione tedesca, nella fase finale della prima guerra mondiale. Inoltre Malaparte a Varsavia ha avuto contatti, tra il 19 e il 20, con monsignor Genocchi, inviato dalla Santa Sede per gli interessi della chiesa Greco-cattolica, che gli ha confermato quanto aveva appreso nel rapporto Virgili-Amadori. "Seguiterò a mantenere alle mie corrispondenze di guerra quello speciale carattere di ‘corrispondenze sociali’, al quale mi sono attenuto sin da principio. Poiché l’interesse e l’enorme portata di questa campagna di Russia mi sembrano consistere non tanto nei problemi di strategia, quanto nei problemi sociali, economici, morali e politici (e sono problemi assolutamente nuovi, assolutamente eccezionali) che essa propone," ribadisce Malaparte il 18 luglio.
Ai primi di agosto, tra i giorni 4 e 7, Malaparte è testimone di una furiosa battaglia presso Jampol. Il tono dei resoconti di questi giorni è radicalmente diverso dai precedenti. Il paesaggio ucraino, talvolta un po’ oleografico in questi resoconti, è sconvolto da uno scontro di inaudita violenza. "Anche nella sontuosità del paesaggio, nella ricchezza del grano maturo, nell’opulenza delle nuvole bianche distese sul seno gonfio delle colline, è un presagio di morte, un segno di dissoluzione. È il senso segreto dell’estate. Gli uomini muoiono, come le stagioni. È una morte ricca, nella più ricca stagione dell’anno, poi viene l’autunno coi suoi dolci frutti di porpora."
Il significato di questo scontro cruciale appare a Malaparte proprio nei giorni in cui, insieme alle truppe tedesche, egli entra in Ucraina. Le distese di grano sconfinato si offrono al suo sguardo come una donna placida e ubbidiente, che la feroce, crudele e fredda precisione della macchina bellica tedesca vorrebbe violare.
"Al principio della campagna di Russia, e durante tutta l’estate del 1941, nelle mie corrispondenze dal fronte d’Ucraina, avevo mostrato in qual modo le masse contadine dell’URSS, educate e trasformate dall’industrializzazione, o, per meglio dire dalla meccanizzazione dell’agricoltura, reagiscono ai problemi della guerra, insistendo specialmente nel concetto che il segreto della guerra russa consiste soprattutto nella "morale operaia" del proletariato rurale. … Un fatto che non bisogna assolutamente dimenticare è che, per effetto dell’industrializzazione, o meglio, della meccanizzazione dell’agricoltura, l’antico mugik è scomparso: non più l’antica vita del villaggio russo, non più l’antico fatalismo, ma la disciplina spietata dei kolchoz, e l’impero assoluto della Tecnica. E ciò non vale tanto per la loro cultura, in complesso assai elementare, in un certo senso ingenua, quanto per la loro disciplina di lavoro e per la loro ‘morale operaia’. Gli antici Mugiki sono diventati una specie di operai meccanici, combattono anch’essi come operai-soldati, né più né meno che gli operai delle grandi città industriali," scriveva Malaparte nell’introduzione alla seconda sezione delle sue corrispondenze, quelle da Leningrado posta sotto assedio, l’anno successivo, quando dopo il rimpatrio forzato raggiunge di nuovo il fronte. Il concetto di "morale operaia" ritorna spesso sin dalle prime corrispondenze dal fronte russo. Malaparte vuole conoscere le realtà dei kolchoz, racconta alcuni suoi sopralluoghi sulle fattorie, frutto di una recente collettivizzazione, in Moldavia e Ucraina occidentale.
Per capire cosa intende il corrispondente italiano quando parla di "morale operaia" dobbiamo considerare il contesto storico-politico nel quale egli operava. Ci troviamo in un’Italia isolata, provinciale, dopo quasi venti anni di regime fascista. A un lettore italiano di allora il solo accostamento tra la Russia sovietica e la parola "morale" poteva apparire un’eresia, dove la propaganda del regime fascista voleva dipingere la realtà sovietica come il frutto del più bieco e disumano dispotismo asiatico, che spoglia il soggetto di ogni suo diritto in nome di un ideale considerato in sé immorale. L’autore stesso dichiara che inizialmente il titolo con il quale voleva pubblicare il volume, Il Volga nasce in Europa, e che poi la censura fascista lo volle cambiato, era Guerra e sciopero: "Era quello tuttavia il suo titolo vero: che mi avrebbe consentito di porre, in modo immediato, il lettore onesto e intelligente nella necessità di riflettere serenamente sul senso riposto di questa guerra, di considerare con occhio obiettivo i suoi aspetti di guerra sociale, e di riconoscere in quella feroce lotta contro la Russia sovietica tutti quegli elementi sociali che ne fanno un episodio, fra tutti, fino ad oggi, il più terribile della lotta di classe in Europa," spiega l’autore nella prefazione all’edizione del 1951.
L’Ucraina rappresenta quindi una tappa fondamentale nella biografia intellettuale di Malaparte. Proprio qui, infatti concepisce e comincia a scrivere Kaputt, che senza dubbio è il suo capolavoro assoluto. Lo stesso autore racconta, nella prefazione: "Ho cominciato a scrivere Kaputt nell’estate del 1941, all’inizio della guerra tedesca contro la Russia, nel villaggio di Pestchanka, in Ucraina, in casa del contadino Roman Suchena. Ogni mattina mi sedevo nell’orto, sotto un albero di acacia, e mi mettevo a lavorare, mentre il contadino, seduto per terra presso il porcile, affilava le falci, o affettava le barbabietole e le verze per i suoi maiali."
Il quadro che ci offre quest’opera è ben diverso da quello delle corrispondenze del volume Il Volga nasce in Europa, che erano state scritte per i quotidiani italiani di allora. Questa volta le immani atrocità compiute dalle truppe tedesche sono descritte fin nei minimi dettagli. I concetti esposti nelle sue corrispondenze sono genialmente risolti dal punto di vista artistico in un’opera di alto profilo letterario. Il motivo ricorrente dell’opera è il confronto tra la "vecchia" Europa, quella degli ultimi regnanti, dell’aristocrazia e dei nazisti, e una "nuova" Europa che sta sorgendo nel corso di uno scontro mortale che vedrà uno dei due contendenti soccombere. La "nuova" Europa è proprio quella della "morale operaia", contrapposta alla vecchia "morale borghese".
I racconti delle atrocità dei nazisti appaiono come uno dei tanti argomenti di futili conversazioni nei banchetti, in un contrasto talmente stridente da rendere superfluo ogni ulteriore commento. Il segreto è che Malaparte in Kaputt racconta un mondo che in ogni modo gli appartiene, ma con un occhio consapevole e distaccato.
Quando il corrispondente italiano era partito per il fronte russo, era già un personaggio famoso. La sua figura di scrittore polemico e "scomodo" era ben nota. Malgrado la sua partecipazione alla Marcia su Roma e la sua iniziale adesione entusiastica al fascismo, aveva saputa gradualmente distaccarsene; nel 1933 era stato condannato al confino all’isola di Lipari per alcuni suoi scritti che contenevano riferimenti ironici a Mussolini e ad altri gerarchi del regime. Dopo qualche anno la pena era commutata alla residenza forzata a Forte dei Marmi, dove aveva un autista a sua disposizione (ricordiamo che la sua villa a Capri viene considerata una delle maggiori opere dell’architettura italiana degli anni Trenta). Inoltre, grazie alla sua attività di diplomatico svolta tra il 1918 ed il 1921 e ai suoi contatti personali, Malaparte poteva contare su influenti amicizie in tutta Europa. Anche grazie alla sua perfetta conoscenza del tedesco e del francese, era sempre ben accolto in tutti i salotti europei, compresi quelli dei gerarchi nazisti che Malaparte descrive fin nei minimi dettagli in Kaputt.
In quest’opera, costruita in modo modernissimo con un accumularsi solo apparentemente disordinato di materiali in parte assolutamente futili e in parte scottanti, ma tenuti insieme da una sapiente penna che tesse il filo di un’opera assolutamente unica, l’Ucraina appare come la terra della rivelazione, il luogo in cui all’io narrante emerge come una semplice verità: la mentalità, la cultura e il mondo della "vecchia" Europa deve morire. E la crudeltà gratuita dei nazisti è il sintomo di quel male che ha divorato completamente tutto il suo corpo dall’interno, rendendolo un guscio vuoto.


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