Anno IX numero 12 - dicembre 2000
CINEMA
Weronika e
Véronique. Due ragazze che si sentivano esistere
Su "La doppia vita di
Veronica" (1991) di Krzysztof Kieslowski
di Nicola D'Ugo
Immaginiamo di essere una
ragazza polacca e di chiamarci Weronika. Abbiamo finito il conservatorio e la vita è
aperta a nuove possibilità, tutte da verificare. Abbiamo un ragazzo che si presenta
allimprovviso e sparisce. Abbiamo un papà affettuoso, ma che si tiene in disparte, con una vita che non ha le stesse
caratteristiche della nostra. Non abbiamo una mamma, perché è scomparsa quando eravamo
piccole. La nostra vita scorre come le nostre gambe, che corrono decise
nellincertezza del momento. Ogni tanto il nostro corpo ci ricorda che esistiamo, non
solo quando mangiamo o abbiamo sonno, ma quando la pioggia appoggia le sue stille sul
nostro viso immoto nel temporale, quando il ragazzo stringe il nostro corpo nudo al suo in
una camera da letto, quando correndo per strada allimprovviso sentiamo un dolore nel
petto e ci accasciamo su un tappeto di foglie cadute, prima di risollevarci e riprendere
il tragitto che avevamo interrotto. E, ancora, quando una passione si gonfia da dentro di
noi e si sprigiona in un canto delizioso che affascina chi ci ascolta.
Intanto sentiamo che non siamo sole, che cè unaltra come noi, unaltra
che non è una nostra gemella, ma che sentiamo che esiste. E desideriamo incontrarla. A
volte, guardando una nostra foto, ci pare di vedere lei, e sappiamo che possiamo
riconoscerla.
Ogni tanto abbiamo degli incontri che sono come visioni. Persone che sembra che solo noi
vediamo, seppure passino nella strada in pieno giorno: un esibizionista che apre il
cappotto per farci vedere i suoi genitali o una vecchietta che trasporta delle borse
troppo pesanti per lei, e ci viene il desiderio di lanciarle una voce per darle una mano.
Lesibizionista senza volto riprende il suo cammino incurante di noi, e ci fa
sorridere a ripensarci; la vecchia senza volto si porta via la gobba e le borse. Ma un
giorno, in unagitata folla di Cracovia, una ragazza sale su un pullman con la sua
macchina fotografica e continua a scattare foto a destra e a manca sul pullman in
movimento. Noi guardiamo sbalordite qualcuna che per noi è molto più che una sosia.
Rimaniamo lì a guardare le bolle dei nostri occhi, anche dopo che il pullman è sparito.
Poi andiamo a unaudizione. La nostra voce affascinante è strana, interrotta da un
sobbalzo interno, ma che solo noi sappiamo che si tratta del nostro cuore malato che fa le
bizze, e ci tocca trattenere le forze perché la voce ci si smorzi appena un po
prima del previsto. La voce ci esce da dentro, non possiamo farci niente, è più forte di
noi quel desiderio di esibirci. Per gli altri, per il direttore dorchestra e per chi
ci ha ingaggiate abbiamo semplicemente una "strana voce", bella, limpida e con
quel tocco in più che loro non sono in grado di comprendere. E nel mezzo del nostro canto
davanti alla platea, dopo qualche sussulto che siamo riuscite a soffocare, cadiamo sul
pavimento senza più vita. Gli amici e i parenti gettano la terra fresca sulla nostra bara
dal coperchio trasparente come un vetro, e la nostra visione di loro scompare lentamente
manciata dopo manciata. Non è il nostro dolore che avvertiamo, ma quello disegnato sui
loro volti.
La doppia vita di Veronica (La Double Vie de Véronique, 1991) di Krzysztof
Kieslowski è un viaggio suggestivo nellesperienza del doppio. Dopo aver raccontato
la storia di Weronika, Kieslowski apre con una delle tante scene damore del film. Ci
riporta immediatamente nella dimensione della carne e del corpo, ma anche della doppiezza
del senso del corpo. Appena morta Weronika, ce la restituisce in una sequenza poetica in
cui anzitutto quello che deve essere evidenziato è la sanità del corpo, la sua
esposizione e pienezza sensuale. Lintera sequenza è volutamente in sospensione, o
meglio in una sovrapposizione di immagini che non si disturbano reciprocamente, ma si
compendiano e rendono la scena incantevole e, in un certo senso, magica. Il tema del
doppio riguarda una molteplicità di aspetti: lidentità (Weronika e Véronique), il
corpo (sano e malato), la mente (io in me, lei in me, io da sola, io insieme a lei, io
ora, io eventualmente), il segno esteriore (presenza, assenza e individuazione di causa e
effetto nel tempo) ecc. Lapparente parallelismo delle due vite assume anche
cinematograficamente due tensioni: film intimistico e film giallo. Il doppio di La
doppia vita di Veronica non è fatto di opposizioni o coincidenze. Tutto il contrario:
Weronika e Véronique non sono le due bambine che il burattinaio Alexandre racconta a
questultima: "Il 23 novembre 1966 è stato il giorno più importante delle
loro vite. È in quel giorno, alle tre del mattino, che sono nate tutte e due, in due
città diverse, in due diversi continenti. Tutte e due avevano i capelli neri, occhi verde
scuro. Quando tutte e due avevano due anni e sapevano già camminare, una si bruciò
toccando il forno. Qualche giorno dopo anche laltra avvicinò il suo dito al forno,
ma allultimo momento lo ritirò: pertanto, non poteva sapere che si sarebbe
bruciata. Ti piace?". Linsegnante di musica Véronique non risponde, né si
mette a piangere come dopo aver scoperto la fotografia che aveva inavvertitamente scattato
a Weronika a Cracovia, nel trambusto del pullman affollato e in movimento. Alexandre,
artista e animo gentile e un po maldestro, racconta a Véronique quello che siamo
normalmente portati a pensare quando ci figuriamo due sosia, nati addirittura lo stesso
giorno. Da un lato accomuna le due persone per le caratteristiche psicofisiche,
dallaltro le differenzia per collocazione spaziale. Intanto, le due ragazze non sono
nate "in due diversi continenti". Poi, le esperienze di Weronika e Véronique si
compenetrano luna nel pensiero dellaltra. Ed è qui una differenza
rimarchevole, che Kieslowski accompagna attraverso il compenetrarsi fitto dei languori
intimistici e delle tensioni da thriller, che non ci danno tregua e insieme ci affascinano
e ci incantano. Il primo momento è dedicato al sentire, ossia allaspetto umorale,
che in arte viene reso attraverso atmosfere cromatiche e di suono e richiami figurativi:
avvertire laltro in sé già è sentire in sé, e semmai è un estendere il proprio
sé, ossia avvertire qualcosa in più che è in noi, ma che non era in superficie. Il
secondo momento è quello successivo, ossia la reazione allumore, un figurarsi
qualcosa che ancora non è ma che può (o potrebbe) essere: è il momento dellazione
o dellattesa dellazione, in ogni caso di una modificazione.
Il mezzo poetico adottato dal film per convogliare questi due momenti è reso attraverso
il movimento della macchina da presa (che sa muoversi come larchetto di un violino o
la bacchetta di un direttore dorchestra) e una miriade di oggetti presenti nel film.
È anzitutto un film di sguardi, ammiccamenti ambigui, di lenti che riflettono, dilatano,
capovolgono paesaggi e occhi, così come gli occhiali del papà di Weronika fanno passare
attraverso la propria lente il paesaggio che sta disegnando nella notte, così come la
pallina che deforma le immagini, o la lente di ingrandimento che le fa apparire
ravvicinate. E, ancora, la luce, che caratterizza la seconda parte del film (insieme ai
rossi tipici della pittura fiamminga), dedicata alla storia di Véronique, da subito,
quando ci accorgiamo che la sovrapposizione suggestiva dimmagine diventa una
lampadina accesa accanto ai due corpi degli amanti. E poi il sole in continuazione su
Véronique anche negli interni, il viso illuminato di Alexandre che incontra lo sguardo di
Véronique, il gioco dello specchio che riflette la luce su di lei dalla finestra di
fronte. Anche lintesa con Alexandre avviene attraverso
immagini simboliche: una storia di burattini che coincide con quella che ha in mente la
ragazza francese; una ballerina che cerca di spiccare il volo, cade e muore, è coperta
dal lenzuolo, il lenzuolo si fa bozzolo, e lei ne emerge con le ali e spicca il volo in
una nuova vita. Il segno stesso come registrazione e cancellazione dellevento è
reso più volte. Il più evidente è quello delle fotografie: Weronika che guarda la
propria foto come se si trattasse dellaltra e Véronique che guarda laltra che
però ha un cappotto non suo. Ma anche lo scontro automobilistico sentito
nellaudiocassetta, lautomobile in frantumi ritrovata tempo dopo alla stazione
ferroviaria, e la cancellazione dellincidente attraverso la rimozione dellauto
stanno lì ad attestare che ciò che resta è essenzialmente nella memoria, a corroborare
limportanza dellinteriorità individuale sulle vicende esteriori (oltre a
costituire, insieme al tema della corsa, uno dei richiami frequenti nei film del regista).
Oltre la somiglianza Kieslowski racconta, con le due vite, la differenza fra adolescenza e
maturità, fra lavventatezza e una maggiore cura di sé. Weronika alza il viso a
ricevere lacqua dal cielo, incurante del proprio corpo, trascurandolo totalmente.
Véronique si ferma un attimo fra due zone dombra a ricevere la calda luce del sole
sul viso, come per tonificarsi. Weronika corre, corre sempre, nonostante la cardiopatia.
Véronique continua a fumare, ma va in automobile e dal cardiologo per tenere sotto
controllo la malattia. Weronika ha voglia di fare, ha sempre fretta di arrivare da qualche
parte, non sa bene dove: se sente il desiderio di cantare intona il suo canto senza badare
alla salute. Véronique abbandona lattività artistica e si dedica solo
allinsegnamento: non sa spiegare perché, ma lo fa dopo aver sentito in sé che
Weronika è morta.
Weronika sente che non è sola al mondo; Véronique sente di aver perso qualcuno, e per
dare unidea della sensazione di perdita chiede al padre come si sentiva quando era
morta la mamma. La seconda vita di Veronica, ossia quella di Véronique dopo la morte di
Weronika, è una vita raddoppiata e dimezzata insieme. Dentro di sé la ragazza francese
avverte che non deve sprecare la propria vita, non deve morire trascurandosi. Il sentire
di Weronika è, se si vuole, più ingenuo: è un forte sentire che non ha tempo di
tramutarsi in unidea più nitida. Quando vede Véronique sul pullman sa di essersi
trovata, ma non sa di preciso cosa quel trovarsi significa. Véronique invece, nel suo giallo interiore, comprende
con dolore quello che il burattinaio Alexandre non ha maturato in sé: lidea della
perdita della possibilità di condividere le proprie idee, le proprie sensazioni, il
proprio corpo con laltra. È una condivisione che riguarda la possibilità di
trovarsi non tanto negli stessi panni o nello stesso corpo di qualcun altro, ma nella
stessa carne e in uno spirito affine. La ricerca di Weronika da parte di Véronique chiude
il suo cerchio non tanto nel momento in cui è morta, ma nel momento in cui scopre se
stessa fotografata. È solo allora che la sensazione di perdita trova un oggetto esterno,
reale. Entrambe trovano conferma di quello che sentivano: la polacca riesce a vedere la
francese, mentre la francese ha conferma che la polacca è esistita. Ed è solo allora che
scoppia in lacrime, prima di pensare con tenerezza quello che ha perso. È a questo punto
che per Véronique comincia una nuova vita, che Kieslowski chiude con la sua mano sulla
corteccia dalbero, così come allinizio Weronika bambina teneva fra le mani la
foglia di un albero e ascoltava la voce fuori campo e fuori scena della mamma che gli
spiegava cosa significasse quellelemento della natura staccato dal suo tronco. Il
film è la parabola di una ricerca di sé, attraverso lindividuazione delle proprie
possibilità ulteriori (i percorsi non intrapresi), il confronto con un altro che matura
altre esperienze a partire da un materiale umano indifferenziato. La domanda di fondo del
regista polacco è: Cosa farei io se mi staccassi dal mio percorso per un momento, se mi
guardassi da dentro e da fuori con chiarezza? A livello narrativo, la parabola racconta di
chi è morta e di chi è sopravvissuta, e si capisce bene che la seconda, dopo aver
concepito lidea della prima, vede la vita in modo diverso. Kieslowski segue il
percorso fino a un certo punto. Non ci dà una risposta, ma ci pone piuttosto una domanda:
atto alquanto raro nel cinema di oggi, dove i più offrono risposte conclusive su
qualsiasi discorso riguardi luomo.
Per la sensuale, sofferta, spontanea e complicata interpretazione dei due ruoli, Irène
Jacob è stata premiata come migliore interprete femminile al Festival di Cannes del 1991.
Le difficoltà simboliche del film e la ricchezza della tematica sono state enormemente
sottovalutate dalla critica, che trovandolo sicuramente emozionante per le incantevoli
musiche di Zbigniew Preisner e la cinematografia in genere, ha trovato difficile calarsi
in una dimensione dellintimità umana che non rientra negli schematismi consueti del
discorso sul doppio nellOccidente contemporaneo. Un motivo in più per far tesoro di
una tematica che è qualche passo oltre i discorsi sui gemelli, i sosia e i cloni visti in
un ambito tristemente materialista. Il film, con tutta la sua carica di sensualità, è
anzitutto dedicato allo spirito.
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