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Sommario anno X numero 4 - aprile 2001

CURIOSITÀ STORICHE - pag. 18


Ricordi di scuola

Eleonora De Fonseca Pimentel

di Alberto Restivo

w18curiositastoriche3.jpg (12386 byte)Chi di noi nell’età giovanile non ha provato una segreta simpatia, fantasticando sui personaggi femminili incontrati nello studio delle immortali opere dei grandi classici della letteratura greca e latina?
Riferendomi a me stesso ed ai compagni della mia generazione, che per la morale e le consuetudini del tempo, potevamo usufruire di una libertà di "movimento" molto limitata rispetto ad oggi, la risposta è sicuramente affermativa.
Quanti pensieri e considerazioni venivano alla mente leggendo ora nell’Iliade ora nell’Odissea, di Elena, moglie di Menelao, a cui si attribuiva una mitica bellezza piena di sensualità oltre che …una "facilità" di costumi…
Ad essa contrapponevamo la figura, avvolta da un alone di castità, di Penelope, sposa fedele dell’indomito ed astuto Ulisse, in cui una buona parte di noi si identificava (altri tifavano Achille, molti Ettore), mentre ci affascinava Nausicaa dalle pure sembianze di fanciulla appena uscita dall’adolescenza che tanto ci sembrava assomigliasse alla compagna del primo banco, di cui quasi tutti eravamo segretamente innamorati senza avere però il coraggio di dichiararci, sicuri che, gratificandoci di un dolce sorriso, ci avrebbe risposto: "…Ti ringrazio per l’attenzione, ma non posso …sono già impegnata da tre anni con Annibale…" …Quale Annibale, quello di Cartagine?…. (…ma no!! Il suo Annibale era un tizio di Ariccia, figlio del medico condotto del posto, amico del padre di lei… porca miseria!).
E così continuavamo a sognare sulle eroine dei libri…
Qualcuno di noi azzardava perfino un confronto fra queste numerose eroine, ma finiva sempre per avere la meglio Elena che veniva definita con il poco romanticismo dovuto alla giovane età, la più "b-u-ona" oppure la "mejo", perché più emancipata, relegando in un angolo remoto della nostra considerazione tutte le altre eroine come Andromaca, Penelope, Creusa ecc.ecc..
E cosa dire della Lesbia catulliana: il vero nome era Clodia, sorella di Publio Clodio, moglie di Quinto Cecilio Metello, svergognata da Cicerone in una sua orazione Pro Caelio. Ella ebbe una parte singolare nella vita politica e mondana di Roma e nei versi di Catullo si ritrovano ore di frenesia, ore di collera, momenti di felicità e momenti di disperazione, abbandoni, riprese, preghiere e invettive fino all’abbandono finale: ma il cuore del poeta…-…e anche il nostro…- non disse mai Addio a quella donna, signora bellissima e dissoluta: e la pena malinconica restò!
Uno sceneggiato televisivo degli anni 70 rinverdì il ricordo di un’altra "fiamma" che tornò a brillare grazie alla delicata bellezza ed alle capacità artistiche della sua interprete (Giuliana Lojodice): Eleonora De Fonseca Pimentel.
Nata a Roma nel 1752 da Clemente De Fonseca Pimentel e Caterina Lopez, nobili portoghesi trasferitisi prima a Roma e poi a Napoli, Eleonora De Fonseca viene ricordata come una delle figure più importanti della Napoli della seconda metà del settecento.
Fin da giovanissima si dedicò alla poesia con molto successo tanto da meritare l’ingresso nell’Accademia dell’Arcadia e, l’apprezzamento del Metastasio le consentì di accedere ai salotti più esclusivi di Napoli, ove venne notata per la sua intelligenza ed il suo fascino.
Dal matrimonio contratto nel 1777, appena venticinquenne, con un aristocratico ufficiale dell’esercito napoletano, Pasquale Tria De Solis, ebbe un figlio che le visse solo due anni: in suo ricordo, Eleonora compose cinque sonetti intrisi di disperazione, considerati tra le opere più belle.
Colta, sensibile, dotata di un grande acume, nutriva anche un profondo sentimento di solidarietà verso le classi più disagiate, tanto che, dopo la perdita del marito nel 1795, rivolse i suoi interessi verso la politica e l’economia, prendendo parte attiva alle riforme che Re Ferdinando di Borbone aveva intrapreso per migliorare le condizioni del suo popolo.
Con la Rivoluzione francese, Re Ferdinando interruppe le riforme ed Eleonora, entrata in contatto con i Giacobini, aderì alle idee repubblicane.
Fu arrestata nel 1798, ma venne liberata dai cosiddetti "lazzaroni", plebe napoletana, che avevano assalito le carceri per liberare tutti i malviventi. I lazzaroni osannavano Re Ferdinando che aveva sempre cercato di favorirli, ma con l’arrivo dei Francesi a Napoli, Ferdinando con la sua corte fuggì in Sicilia e a Napoli fu proclamata la Repubblica.
Eleonora De Fonseca sostenne un ruolo preponderante nel Comitato Centrale che aveva favorito l’entrata dei Francesi a Napoli, compose l’Inno alla Libertà declamandolo in pubblico, partecipò alla fondazione del Giornale Ufficiale della Repubblica "Il Monitore Napoletano" che diresse per cinque mesi, gli ultimi mesi che le restavano da vivere.
Dal Giornale sostenne politicamente e con sentimento la Repubblica Napoletana, spiegando alla gente povera "i lazzaroni" che la nuova forma di governo avrebbe migliorato le condizioni di vita di tutti.
Non riuscì a farsi comprendere né riuscì a penetrare la mentalità del popolo, del quale, lei aristocratica non poteva conoscere a pieno i bisogni e le idee: il loro pensiero finiva alla conclusione che il benessere materiale (che Re Ferdinando sembrava aver diffuso fra loro) prevaleva di gran lunga sui più nobili ideali che erano alla base della Repubblica.
Cadde la Repubblica e Ferdinando ritornò a Napoli: Eleonora si imbarcò e tentò di espatriare in Francia. Di nuovo arrestata venne processata e condannata all’esilio; annullata questa condanna Eleonora venne deferita alla Giunta di Stato che invece la condannò a morte insieme a personaggi che avevano sostenuto la Repubblica ed avevano ricoperto cariche importanti: il principe Gennaro Serra di Cassano, il principe Colonna, un vescovo, un sacerdote, due banchieri, un avvocato. Come usava all’epoca, nei confronti dei membri dell’aristocrazia, Eleonora avrebbe dovuto essere ghigliottinata: per lei venne invece eretta in Piazza Mercato una forca più alta di tutte, in modo che il popolo potesse assistere alla sua agonia resa più atroce dal fatto che la donna venne privata della sua biancheria in modo che la folla assetata di sangue potesse meglio avere la visione del suo corpo.
All’istante supremo, comportandosi con grande dignità, Eleonora guardò la folla dei "lazzaroni" per i quali aveva inutilmente speso tante energie e tanta passione politica e che ora applaudiva e sghignazzava.
Prima che il boia le passasse il cappio intorno al collo, Eleonora pronunciò una frase passata alla storia: "Verrà il giorno in cui tutto questo sarà ricordato!"
Era il 20 agosto 1799. Quella frase si era rivelata profetica: nessuno la dimenticò e la storia ha reso giustizia a lei e a tutti gli altri idealisti che avevano creduto nella Repubblica partenopea, pagando la loro scelta con la vita.


Sommario anno X numero 4 - aprile 2001