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Sommario anno X numero 6 - giugno 2001

CURIOSITÀ STORICHE - pag.16


La scienza silenziosa
di
Luca Nicotra

La matematica non è soltanto sistemazione razionale di un certo tipo di conoscenza, ma prima ancora è creatività pura
Forse non è molto corretto considerarla scienza, almeno nel senso moderno del termine, vale a dire, per dirla con Galileo, come disciplina del riproducibile tramite esperimento, che è poi un interrogare la natura. Sto parlando della matematica. E non so nemmeno se effettivamente è così tenuta in gran conto dai più, né se veramente è ritenuta parte del patrimonio culturale generale. Purtroppo, e lasciamo stare le motivazioni, che aprirebbero lunghe e animate discussioni, le opinioni dell’uomo comune sulla matematica sono sconfortevolmente o banali o riconoscenti soltanto di un parziale aspetto della nostra scienza, quello applicativo, che è manifesto a tutti attraverso clamorosi avvenimenti tecnologici e scientifici di tangibile effetto: le opere ingegneristiche, i missili, i satelliti, le imprese spaziali, le armi nucleari, eccetera. Ciò che la massa, poi, ritiene utile della matematica è proprio ciò che per i matematici è meno degno della loro considerazione: intendo le particolari tecniche matematiche che possono essere impiegate per risolvere un problema. …Né l’esperienza ha alcun mezzo per decidere quali parti della matematica si riveleranno utili. L’utilità, quindi, può essere soltanto una consolazione nei momenti di scoraggiamento, ma non una guida per dirigere i nostri studi. “…La caratteristica di maggior pregio della matematica si riscontra soltanto là dove il ragionamento è rigidamente logico…”. Così si esprime Bertrand Russell nel saggio Lo studio della matematica. In matematica, non sono importanti i risultati ma piuttosto i metodi, specialmente nella matematica pura. “Nella scienza l’uomo veramente di genio è colui che inventa un metodo nuovo” aggiunge Russell nel suo saggio Il posto della scienza in un’educazione liberale. Al di là di queste questioni, che possono trovare interpretazioni e risposte diverse, una cosa invece sembra certa a proposito della matematica ed è il suo essere “silenziosa”. Ci sono numerosi esempi eccellenti della presenza silenziosa della matematica in avvenimenti scientifici, che per la loro “spettacolarità” hanno al contrario fatto molto rumore e catturato l’attenzione dell’uomo qualunque. Quello più popolare è forse fornito dalla Teoria della Relatività. Come Einstein stesso ha più volte pubblicamente dichiarato, lo sviluppo della teoria della relatività generale non sarebbe stato possibile senza l’avvento del calcolo tensoriale assoluto, per opera dei matematici italiani Tullio Levi-Civita e Gregorio Ricci Curbastro. Ma al di là dei laureati in fisica o in matematica o in ingegneria, quanti sanno chi erano questi illustri matematici e che cosa sia il calcolo tensoriale assoluto? Tutti invece conoscono Einstein per la sua Teoria della Relatività.
La matematica, proprio per il suo carattere esoterico, si è sviluppata fin dall’antichità senza il clamore destato invece da altre scienze, come la fisica, la chimica e l’astronomia. È sempre stato così fin dalle antiche scuole della Grecia e Magna Grecia. Piergiorgio Odifreddi, nel suo articolo Lo zoo dei matematici (La Repubblica 13 giugno 2000), giustamente evoca l’esoterismo della matematica, e le sue origini pitagoriche. Il cammino della matematica, a differenza di quello di altre scienze, si è sviluppato sempre più o meno nel silenzio e nel segreto dell’esoterismo. Re e principi illuminati del passato hanno voluto nelle loro corti i più grandi matematici dell’epoca, proprio per il prestigio che derivava dalla loro scienza “difficile” ed esoterica, cioè non nota all’esterno di una ristretta cerchia di studiosi e quindi elitaria, aristocratica.
Le preoccupazioni di Odifreddi sulla capacità di sopravvivvenza della matematica per mancanza di divulgazione, invece, mi sembrano smentite sia dal corso stesso della storia della matematica, il cui sviluppo non si è per questo arrestato, sia dalla “necessità” della matematica nel mondo tecnologico di oggi e ancor più di domani, riconosciuta dallo stesso Odifreddi.
Se mai, il problema è un altro e certamente non nuovo: l’alienazione della matematica dal contesto culturale della società contemporanea. “L’esperienza insegna che quasi sempre un lettore non matematico ascolta con piacere esposizioni relative alle scienze della natura, e ha l’impressione di ricavarne informazioni che arricchiscono la sua visione del mondo, ma ritiene che un articolo sulla matematica sia scritto in un linguaggio incomprensibile e che tratti concetti troppo astratti per avere il minimo interesse.” dice Jean Dieudonné nel suo libro Pour l’honneur de l’esprit humain, erroneamente tradotto in italiano col titolo ben diverso di L’Arte dei numeri. La traduzione denota la differenza di considerazione della nostra scienza da parte di francesi e italiani. In Francia il libro può uscire col titolo (letteralmente tradotto) di Per l’onore dello spirito umano. In Italia un titolo del genere non avrebbe fatto capire che si tratta di un saggio, peraltro pregevolissimo, sulla storia della matematica. In Italia, purtroppo anche nell’opinione di persone molto colte, la matematica è rimasta ancora come la scienza dei numeri, e soltanto nel migliore dei casi ci si sbilancia a riconoscerla come la scienza della quantità e delle grandezze. Chi ha una cultura matematica un po’ più approfondita sa bene che queste definizioni sono vecchie di almeno un secolo e oggi totalmente inesaustive nei riguardi dei temi affrontati dalla matematica moderna, vale a dire quella che si è sviluppata dai primi dell’Ottocento fino ad oggi. Dieudonné, che per i non addetti ai lavori, è uno dei grandi matematici del Novecento, dà una spiegazione autorevole, e nello stesso tempo inquietante, dell’impossibilità di far divulgazione in matematica al di là della cosiddetta matematica classica, in altri termini quella che arriva fino al 1800 circa. A proposito della teoria matematica della comologia dei fasci del 1946, che ha reso possibili progressi scientifici di portata analoga a quella della pressocchè coeva scoperta del DNA, così si esprime Jean Dieudonné: “Non sarei però assolutamente in grado di spiegare in che cosa consista (la teoria della comologia dei fasci, n.d.a.) a persone che non abbiano frequentato corsi di matematica almeno di un primo biennio universitario… Il fatto è che non esistono, in questo caso, disegni esplicativi e prima di arrivare alla teoria in questione, è necessario aver assimilato una dozzina di altri concetti altrettanto astratti: topologie, anelli, moduli, omomorfismi, ecc…, nessuno dei quali può essere visualizzato.” Il problema della difficoltà di divulgazione della matematica è serio, e credo irrisolvibile, almeno per quanto riguarda, come dice Diuedonné, la matematica moderna. La matematica, per sua natura, è un edificio logico costruito a partire dalle sue fondazioni per arrivare gradualmente e senza soluzione di continuità al presente. Com’è possibile divulgare ciò che sta in mezzo senza possedere la conoscenza, anche a livello divulgativo, di tutto il precedente?
In generale, poi, personalmente ho maturato una sorta di “principio d’indeterminazione del divulgabile”, da me chiamato “principio d’indivulgabilità”, secondo il quale non è possibile divulgare una disciplina assicurando contemporaneamente la massima fedeltà ai suoi contenuti e la massima semplicità divulgativa. In altri termini non è possibile assicurare nella divulgazione la completa integrità del contenuto scientifico e contemporaneamente la massima semplificazione divulgativa. Occorre scendere a un compromesso, che si rivela tanto più accettabile quanto meno rigorosa è la scienza che si vuole divulgare. Quanto costano, in termini di perdita di contenuto scientifico e rigore, i compromessi nel campo della divulgazione matematica, scienza esatta per eccellenza?!
Il divario fra i matematici e i non matematici è sempre stato più marcato rispetto ad altre discipline. I matematici sono sempre stati critici verso il modo d’insegnare della matematica nelle scuole. Gli esempi di critiche si sprecano. “Nella grande maggioranza dei libri di testo matematici, vi è un’assenza totale di unità sia nel metodo sia nello sviluppo matematico di un tema centrale.” denuncia Bertrand Russell (Lo studio della matematica). Giuseppe Peano criticava duramente gli errori “scolastici” nell’insegnamento dei concetti di lunghezza e area. La rivista La Scienza per i Giovani, raro esempio di divulgazione scientifica, e in particolare matematica, degli anni Cinquanta e Sessanta, aveva istituito una rubrica dedicata alla caccia all’errore nei testi scolastici di matematica, e non si trattava di errori di stampa ma di errori concettuali d’insegnamento!
Ma quel che è più curioso è la propensione dei matematici a ritenere la matematica veramente comprensibile soltanto da parte loro. E dico questo, riferendomi anche agli studenti di matematica, figuriamoci ai non addetti ai lavori! Un atteggiamento così esoterico non è altrettanto diffuso in altre discipline. Secondo una convinzione tacita, e spesso non, dei matematici, sembra che ci sia quasi una sorta di imprimatur biologico che distingue chi ha spirito matematico, e quindi può veramente comprendere la matematica, da chi n’è sprovvisto, pur possedendo ampiamente le tecniche matematiche che gli consentono di risolvere problemi matematici e questioni tecniche ed anche abilmente. Possiamo anche vederla in quest’altro modo. I matematici veri non solo posseggono le tecniche matematiche, ma, ancor prima di queste, posseggono soprattutto il metodo e quello spirito matematico che consente loro di essere creativi nella loro scienza. Anche qui emerge una particolarità della nostra disciplina. Un laureato in fisica lo chiamiamo fisico, così come un laureato in chimica lo chiamiamo chimico. Ed è ben chiaro a tutti che il sig. Giovanni Rossi, laureato in fisica, può essere chiamato fisico, pur non avendo mai fatto la benchè minima scoperta fisica. Se si parla di Enrico Fermi, non si dice che è stato un fisico, ma un grande fisico, proprio per evidenziare il suo ruolo di autore nella storia della fisica. Per la matematica le cose vanno, pare, un po’ diversamente, e questa diversità tradisce ancora una volta quel carattere esoterico di setta, che in forme più o meno dichiarate ha sempre contraddistinto lo sviluppo della matematica. Un laureato in matematica è un dottore in matematica, e non ci si azzarda a chiamarlo matematico. Insomma per fregiarsi del titolo di matematico, occorre dimostrare di essere creativi in matematica. La laurea poco conta. Nel passato ci sono stati esempi grandissimi di matematici non matematici, che cioè non avevano studiato ufficialmente matematica (Fermat, Leibniz, eccetera). Per Jean Dieudonné, matematico è “qualcuno che ha pubblicato almeno la dimostrazione di un teorema non banale”. Il fatto poi di non essere matematico nel senso di Dieudonné non è dovuto a mancanza né di studio, né di esperienza scientifica che si capitalizza nel tempo!  I grandi matematici si sono rivelati tali fin da giovanetti. Ricordiamoci i “limiti d’età”, cinquant’anni, imposti da Nicolas Bourbaki per essere affiliati al circolo di matematici che si cela dietro questo fittizio matematico! La convinzione che oltre questa età non sia possibile produrre scoperte matematiche è abbastanza diffusa, ed è questa un’altra particolarità della matematica, che la distingue da altre discipline scientifiche e no, ove anche un ottuagenario può ancora dire la sua. Si pensi per esempio al vegliardo Galileo e all’ottantenne Verdi che alla fine della sua lunga vita produsse le sue opere forse migliori, Falstaff e Otello.
Che la divulgazione sia importante, specialmente oggi, è fuor di dubbio. E che siano le opere divulgative quelle che alla fine hanno la maggiore diffusione nel tempo, mi sembra del tutto comprensibile alla luce del principio secondo il quale l’uomo tende a privilegiare ciò che offre meno resistenza (in questo caso una resistenza “mentale”). È in fondo l’applicazione, in una particolare forma, del più generale principio d’inerzia, che è alla base della meccanica. Ma di qui a incoraggiare l’opera divulgativa quasi come sostitutiva dell’opera scientifica “professionale”, mi sembra che ci corra molto. Se poi tutto fosse effettivamente divulgabile, per quale motivo matematici, fisici e scienziati in genere dovrebbero scrivere opere voluminose, difficili da comprendere e complesse?
Per chiudere queste righe, la tentazione di ripresentare al lettore espressioni di lode degli studi matematici prese da questo o quel matematico (nel senso di Dieudonnè naturalmente!) è veramente grande. Di panegirici della matematica ce ne sono tanti e bellissimi, da meritare un volume per raccoglierli. Io non sono un matematico, ma un innamorato della matematica. Pertanto, ritengo più giusto lasciare ai grandi matematici il compito di esprimere le lodi della loro scienza. A coloro che, ahimè sono tantissimi, hanno un ricordo non gradevole della matematica, come innamorato mi permetto di dire: “Dimenticate ciò che avete ascoltato nei vostri insegnamenti scolastici, non associate la matematica all’antipatica figura del vostro insegnante, e non crediate che il rigore matematico, che tanto ostica ha reso questa scienza ai vostri occhi, sia irrinunciabile, in un primo momento”. Lo hanno affermato grandi matematici e ancora prima lo ha dimostrato la storia della matematica. La matematica non è soltanto sistemazione razionale di un certo tipo di conoscenza, ma prima ancora è creatività pura e in questo hanno ragione i matematici a paragonarla all’arte. Gli spiriti liberi non credano che le dimostrazioni matematiche siano camicie di forza apposte al loro libero pensiero. Nella storia e nella vita della matematica prima vengono le idee e poi le dimostrazioni. A scuola sembra proprio tutto il contrario. Il rigore è una cosa di suprema bellezza, ma bisogna desiderarlo, per apprezzarlo e non sentirselo imporre. A scuola è ancora una volta tutto il contrario! Chi crede che i matematici siano freddi e conformisti, basti citare un solo nome: Evariste Galois. Questo giovane matematico dei primi anni dell’Ottocento, che ancora per secoli darà ai matematici argomento di lavoro con l’opera che ha gettato, fu un rivoluzionario, spirito ribelle e libero al pari e più di un artista. Morì in duello, a causa di una donna, a soli vent’anni.

Note:
 1 Dal greco esóteron = più dentro, fin dall’antichità ha assunto il significato di riservato agli iniziati, ai discepoli di una setta.
 2 È questo un altro esempio miliare della natura esoterica delle scoperte matematiche: la teoria della comologia dei fasci è ignota a tutti i non addetti ai lavori, quella del DNA al contrario, almeno come “titolo”, è nota anche ai bambini.
 3 Nicolas Bourbaki in realtà non esiste e non è mai esistito. Nel 1935 un gruppo di giovani matematici francesi, di cui Dieudonné era il portavoce principale, decise di riscrivere tutta la matematica fino allora nota, secondo i principi della scuola strutturalista e assiomatica che essi avevano sposato. Non dettero un nome al loro circolo, bensì crearono una figura fittizia di matematico, per l’appunto Nicolas Bourbaki, a nome del quale pubblicarono nel tempo i loro Elèments, come chiamarono la loro monumentale opera, ispirandosi ambiziosamente al titolo omonimo del più grande trattatista matematico dell’antichità, Euclide. Fino ad oggi sono usciti circa trenta volumi. Gli Elèments di Bourbaki sono una specie di fabbrica di S. Pietro della matematica, cioè non hanno una fine progettata ma sono in continuo divenire.


Sommario anno X numero 6 - giugno 2001