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Sommario anno X numero 8 - agosto 2001

STORIA E LETTERATURA - pag. 18


La Società (prima parte di due)


Henry David Thoreau (1817-1862)Introduzione dell’Autore
Lo scritto che vi accingete a leggere è una libera ricostruzione della prima conferenza tenuta da Henry David Thoreau (1817–1862) [nella foto], scrittore e conferenziere statunitense noto per aver scritto Walden, ovvero Vita nei Boschi (1854) e La Disobbedienza Civile (1849). La conferenza si svolse al Lyceum di Concord, Massachusetts, in data 11 aprile 1838, e presumibilmente durò all’incirca un’ora. Per la ricostruzione di questa conferenza, mi sono basato sia sui pochi appunti che lo stesso Thoreau ci ha lasciato nel suo voluminoso Journal [cfr. note a piè di pagina], sia sulla mia personale conoscenza dell’opera e del pensiero thoreauviani. Benché mi sia preso alcune libertà e licenze — come ad esempio l’aver fatto menzionare da Thoreau l’infallibilità del Papa, dogma che non sarà disposto prima del 1870, vale a dire più di trent’anni dopo la conferenza — le frasi che leggerete e i concetti che vi saranno proposti si discostano molto poco da quello che avreste potuto realmente udire in presenza di Henry Thoreau; e ad ogni buon conto, parafrasando Ralph Waldo Emerson, il quale scrisse che "Una cosa Vera in un posto è Vera dappertutto", si può allo stesso modo affermare che "Una cosa Vera in un’epoca è Vera sempre". Anche per gli esempi che compaiono nel corso della conferenza ho per lo più cercato di usare immagini e idee che fossero familiari a Thoreau, tratte principalmente dalla Natura, la dimensione da egli senz’altro più conosciuta e amata. La ricostruzione di questa conferenza è a sua volta tratta dal dodicesimo capitolo di un romanzo di ambientazione storica, in parte ispirato alla vita di Henry Thoreau, alla cui stesura il sottoscritto è attualmente impegnato.
Per maggiori approfondimenti sulla vita e l’opera di Henry D. Thoreau si rimanda al sito ufficiale della Thoreau Society (www.walden.org); per informazioni sulla cittadina di Concord visitare il sito ufficiale all’indirizzo web www.concordma.com
Stefano Paolucci (
doppiacroce@tiscalinet.it)


Signore e signori, bentrovati tutti. Il mio nome è Henry Thoreau e quest’oggi vorrei spendere qualche parola sulla società; quella degli uomini, voglio dire. È un argomento che riguarda ciascuno di noi, giovane o vecchio, ricco o povero, sano o malato, colto o insipiente.
Vorrei anzitutto incominciare col dire che la famosa affermazione fatta da Aristotele, cioè che l’uomo è nato per la società, non è affatto corretta. Un tempo, ogni proverbio sui giornali era una verità. Per questa ragione la massima secondo la quale l’uomo è stato creato per la società, finché non poté scontrarsi con un’altra importante verità, non convinse nessuno, me per primo. Tuttavia, ora che quelle stesse parole stanno a significare qualche altra cosa, fosse pure una menzogna, noi siamo tenuti, affinché il suo significato possa preservarsi, a riscrivere da capo la massima del peripatetico, in modo che essa opportunamente reciti: La società fu creata per l’uomo.1
Il rovesciamento dell’affermazione di Aristotele non vuole essere un diniego stizzoso dell’importanza delle organizzazioni sociali, ma semplicemente un modo per ricordare che la società, così com’è, non è sufficiente né soddisfacente, ed è inoltre solo uno dei mezzi di cui l’individuo può servirsi al fine di raggiungere la propria realizzazione.
Illustrazione di Vito Maria FimiaL’uomo non è nato subito nella società, ma a malapena nel mondo. Il mondo che egli è nasconde al contempo il mondo che egli abita.2 Che la società non sia un elemento in cui nuotiamo, o su cui siamo sbalestrati alla mercé delle onde, ma piuttosto una striscia di terraferma che si protende nel mare, le cui sponde sono quotidianamente lavate dall’onda, ma che solo la marea di primavera riesce a coprire del tutto.3 Che le cosiddette leggi della società, enorme coacervo di convenzioni, squallido teatro di tradizioni, ci riguardino il meno possibile e ci osservino da distanza siderale. Permettere il contrario, averle cioè sempre alle calcagna, o addirittura portarle appese alla cintura come fanno alcuni, significa dimostrare di non sapere, che dico, neppure immaginare di sapere, dell’esistenza di leggi più alte, superiori all’uomo e ancor più alla società da egli pensata e costituita.
È strano che la maggior parte di noi si dimentichi che la società è formata da individui, cioè da singoli esseri umani, ciascuno con le proprie idee e il proprio modo di pensare e vivere l’arco di vita concessogli. E ancor più strano, direi anzi incredibile, è il fatto che noi non ci ricordiamo, o facciamo finta di non sapere, che l’uomo è già una società di per sé. Il suo organismo è un esempio chiaro e incontestabile, da che la medicina e la chirurgia ci hanno permesso di saperlo, di società complessa perfettamente funzionante. Il nostro corpo, come del resto quello di tutti gli altri animali, insetti compresi, esplica funzioni all’apparenza molto semplici, come la respirazione, la digestione, il sonno eccetera, ma la loro effettiva complessità suscita spesso grande meraviglia persino nei fisiologi. Ora, per quel che ne sappiamo, vale a dire per quello che la storia dell’umanità c’insegna, nessuna società d’uomini, finanche la più evoluta, ha mai lontanamente sfiorato un livello di convivenza neppure simile a quella presente nel nostro organismo, dove cuore e fegato, pur così diversi per forma e compito, si dimostrano perfetti vicini di casa, per i quali l’erba nel giardino dell’altro non è affatto più verde.
A differenza degli organismi animali, concepiti da Dio e partoriti da Madre Natura, nei quali il cervello sta ad indicare il massimo punto di evoluzione e il miglior rappresentante dell’organismo stesso, le società odierne e passate, create dagli uomini senza la benché minima preoccupazione di considerare le leggi della Natura e ancor meno la volontà di Dio, non hanno mai raggiunto il livello del loro migliore esponente; al contrario, si sono degradate al livello del più abietto. Come direbbero i riformatori, è un livellamento verso il basso, non verso l’alto. Da ciò, la società è solo un altro nome per calca, e tutti gli abitanti della Terra riuniti in un unico luogo costituirebbero il più grande accalcamento.4
La massima vicinanza cui gli uomini pervengono fra di loro ammonta appena a un contatto meccanico. Come quando sfregate tra loro due pietre: sebbene emettano un suono che è udibile, esse in realtà non si toccano.5 Proprio come è successo poc’anzi fra le persone in questa sala.6
Nella contea di Merioneth, nel Galles, vi sono montagne le cui vette pendono così vicine tra loro, che i pastori di quelle parti riescono senza fatica a parlarsi, pur stando ciascuno sopra una vetta. Tuttavia, anche se le parole dell’uno giungono all’orecchio dell’altro, ai loro corpi occorrerebbe un giorno di cammino perché possano incontrarsi, così vasta è la profondità delle valli che li divide.7 Altrettanto potrebbe dirsi, in senso morale e spirituale, delle relazioni fra la gente di queste pianure, poiché, sebbene un’udibile conversazione ci sia, esiste pur sempre un vasto golfo di vacuità che si frappone e scaglia quelle relazioni a qualche giorno di cammino da una comunicazione autentica e veritiera.8
In obbedienza a un istinto naturale, gli uomini hanno piantato le loro capanne e le loro patate a una distanza tale da consentire di parlarsi, e così facendo hanno dato origine a paesi e villaggi: ma essi non si sono associati... si sono solo assembrati. La società, da sempre, non è altro che una convenzione di uomini.9 Se realmente desideriamo vivere in un consorzio umano e civile, facciamolo almeno secondo leggi che nessuno può mettere in discussione, vale a dire secondo "regole" che non siano veramente regole, ma lucida consapevolezza di stare seguendo dei princìpi comuni a tutte le espressioni del creato, e che perciò siano accettate unanimemente, senza possibilità di contrasti o dissensi. Noi siamo soliti considerare gli animali inferiori e gli insetti addirittura infimi, ma gli entomologi non si sono affatto sbagliati nel definire le api, le termiti e le formiche (per citare solo i più noti) insetti eusociali, vale a dire "insetti veramente sociali".
Basterebbe che l’uomo cercasse quanto meno d’imitare l’organizzazione di un alveare o di un termitaio o di un acervo di formiche perché la sua vita sociale migliori. Possiamo infatti considerare sia un formicaio del Cile che un termitaio dell’Africa centrale dei veri e propri organismi, muniti di un cervello, di un apparato digerente ed escretorio, di una rete di nervi, di depositi per gli alimenti, di un sofisticato sistema di difesa e di rigenerazione, di polmoni, di un naso, di orecchie, di occhi, e così via.10 Chi ha studiato la vita – perché di vita si tratta – di questi formidabili insetti si è presto reso conto della complessità della loro vita sociale, al punto da scoprire, per esempio fra le termiti, l’esistenza di una scrupolosa e controllata attività agricola. Le termiti, in altre parole, praticano l’agricoltura da molto più tempo di noi esseri umani. Per la precisione, esse praticano la fungicoltura. Ora, il quesito che sorge spontaneo è questo: perché le formiche, appena si sono accorte che le loro vicine di casa coltivavano certi tipi di funghi, hanno anche loro subito imparato a coltivare quei funghi, mentre noi, esseri umani, Homo due volte sapiens, che ci reputiamo superiori agli insetti, più intelligenti di una formica, abbiamo dovuto aspettare millenni prima di apprendere i rudimenti dell’agricoltura, pur avendo sott’occhio l’esempio e delle termiti e delle formiche?
Io conosco soltanto una risposta: la società di noi esseri umani non è costituita secondo le infallibili leggi della Natura, bensì secondo un’infinita serie di fallibilissimi, comodi compromessi che di volta in volta abbiamo chiamato "regole etiche", "regole morali", "senso comune", "contratti sociali", "costituzione", "leggi di mercato" eccetera.
Il contadino tiene il passo con i suoi raccolti e con l’avvicendarsi delle stagioni, mentre il mercante con le fluttuazioni del mercato. Osservate come camminano in modo differente per le strade.11
Stefano Paolucci

Note:
Gli estratti dal Diario di Henry Thoreau sono tratti da: The Journal of Henry D. Thoreau, edited by Bradford Torrey & Francis H. Allen, In Fourteen Volumes Bound as Two, Dover Publications, Inc., New York, 1962. I numeri romani indicano il volume del Journal, mentre i numeri arabi la/e pagina/e da cui essi sono tratti.

1 Journal, I, 36. Il testo originale riporta: "Every proverb in the newspapers originally stood for a truth. Thus the proverb that man was made for society, so long as it was not allowed to conflict with another important truth, deceived no one; but, now that the same words have come to stand for another thing, it may be for a lie, we are obliged, in order to preserve its significance, to write it anew, so that properly it will read, Society was made for man."

2 Ibidem. "Man is not at once born into society, – hardly into the world. The world that he is hides for a time the world that he inhabits."

3 Journal, I, 40. "Let not society be the element in which you swim, or are tossed about at the mercy of the waters, but be rather a strip of firm land running out into the sea, whose base is daily washed by the tide, but whose summit only the spring tide can reach."

4 Journal, I, 36. "The mass never comes up to the standard of its best, but on the contrary degrades itself to a level with the lowest. Hence the mass is only another name for the mob. The inhabitants of the earth assembled in one place would constitute the greatest mob."

5 Journal, I, 38-39. "The utmost nearness to which men approach each other amounts barely to a mechanical contact. As when you rub two stones together, though they emit an audible sound, yet do they not actually touch each other."

6 L’autore del romanzo, da cui la ricostruzione della conferenza è tratta, immagina che le persone del pubblico, sentendosi paragonare a un mera calca, diano adito a un mormorio di risentimento che corre per la sala.

7 Journal, I, 43. "[Thomas Fuller relates that] In Merionethshire, in Wales, there are high mountains, whose hanging tops come so close together that shepherds on the tops of several hills may audibly talk together, yet will it be a day’s journey for their bodies to meet, so vast is the hollowness of the valleys betwixt them."

8 Costruito sulla falsariga del commento che fornisce Thoreau riguardo alla sopramenzionata citazione.

9 Journal, I, 39. "In obedience to an instinct of their nature men have pitched their cabins and planted corn and potatoes within speaking distance of one another, and so formed towns and villages, but they have not associated, they have only assembled, and society has signified only a convention of men."

10 "L’idea – il sogno – del superorganismo fu estremamente popolare al principio di questo secolo. Come molti dei suoi contemporanei, William Morton Wheeler vi ritornò più volte nei suoi scritti. Nel celebre saggio del 1911, La colonia di formiche come organismo, egli asserì che una colonia di questi animali è davvero un organismo e non, semplicemente, l’analogo di un organismo. Si comporta – egli disse – come un’unità: possiede caratteristiche distintive di taglia, comportamento e organizzazione, che vengono trasmesse da una colonia all’altra e da una generazione alla successiva; la regina è l’organo riproduttore, le operaie il cervello, il cuore, le viscere e gli altri tessuti di supporto; lo scambio di cibo liquido tra i membri della colonia equivale alla circolazione del sangue e della linfa." Da pag. 184 di Formiche, di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson, Adelphi Edizioni, 1997.

11 Journal, I, 78. "The farmer keeps pace with his crops and the revolution of the seasons, but the merchant with the fluctuations of trade. Observe how differently they walk in the streets."


Sommario anno X numero 8 - agosto 2001