Sommario anno X numero 9 - settembre 2001
ARTE - pag. 07
Gli esordi di Dalì
di Luca Ceccarelli
La rivista si è occupata, nei numeri
precedenti, di alcuni pittori spagnoli dei secoli andati, con speciale riferimento a
mostre che si sono tenute nei mesi passati a Roma. Una è stata quella di Velazquez, il
grande pittore seicentesco, e laltra quella di Goya, una mostra piccola,
questultima, incentrata non sui quadri dellartista spagnolo ma sui suoi caprichos.
Tra i caprichos ve nè uno in particolare che è celeberrimo, il cui titolo
ha carattere di sentenza: si tratta del numero 43, El sueño de la razon produce
monstruos, in cui sueño, come faceva notare in un recente articolo su La
Repubblica Umberto Galimberti (riprendendo un errore in cui anche chi scrive è
caduto) deve tradursi non come sonno ma come sogno. Non è una differenza da
poco, evidentemente, nel primo caso infatti la frase che se ne evince esprime un
razionalismo totalizzante, nel secondo caso, invece, è proprio questultimo che
viene paventato, e infatti Goya, subito dopo, approfondisce questa sentenza con un
richiamo alla fantasia: "la fantasia abbandonata dalla ragione produce mostri
impossibili: con essa è madre delle arti ed origine delle sue meraviglie".
Un artista in cui fantasia, sogno e ragione produssero, insieme, una quantità
impressionante di meraviglie è un altro spagnolo, Salvador Dalì, che ebbe tra i suoi
punti di riferimento Goya, e fu anche un grande ammiratore di Diego Velazquez, ma verso
questultimo non provava il massimo entusiasmo: gli mancavano, secondo Dalì, un
po di allucinazione ed un po di mistero. Troppo razionale, il suo realismo
post-caravaggesco, per le tendenze e le aspirazioni di Dalì.
La giovinezza di Salvador Dalì si era formata con gli studi allAccademia di Belle
Arti di Madrid, che nonostante il temperamento ribelle portò avanti con una certa
applicazione. In Apparecchio e mano, del 1927, si avvertono i segni
dellinfluenza della pittura cubista e dellarte astratta, unita tuttavia ad una
forte memoria classica. La "mano" di cui nel titolo è un coacervo di arterie,
da cui qualcosa sembra emanare, i volatili corpi di donne e del cavallo, e le figure
fantasmatiche, fanno da contorno al misterioso "apparecchio" da cui spunta la
mano, come malcapitate sopravvivenze. Nei confronti del cubismo (come del surrealismo, del
resto) Dalì aveva un attitudine piuttosto scettica: a suo avviso, se non fosse stato per
Picasso, il Cubismo si sarebbe potuto tranquillamente liquidare. "Può darsi che
Picasso non sia un grande pittore, ma è senzaltro il più grande genio distruttore
delletà moderna", disse di lui, e questo ci indica il rapporto di rispetto,
anche se di distanza che egli aveva nei confronti del suo compatriota.
Dopo i primi dipinti di maniera, una piena fioritura Dalì la raggiunge con Il gioco
lugubre, del 1929. Limpronta è, qui, per la prima volta, surreale. Gli elementi
sono molteplici, cerchiamo di indicare i più salienti. Dinnanzi ad una statua collocata
su un piedistallo che si copre gli occhi per non vedere, una testa femminile implode
sparando allesterno altre due teste (allusione, forse, alla volontà e alle pretese
altrui che vengono imposte allindividuo). La figura umana del passante che guarda,
come anche il corpo femminile da cui proviene la testa che implode, hanno un dettaglio
scatologico (in altre parole, se la sono fatta addosso), ulteriore elemento di implosione.
Questo dettaglio suscitò parecchia perplessità in André Bretòn, ideologo del
surrealismo, perché, come comprese Dalì, i surrealisti tendevano a "creare
gerarchie dove non ce nera bisogno". Un pezzo di cristallo di rocca e un
escremento "venivano prodotti dalla comune natura dellinconscio", cosa che
per quanto riguarda il sogno è inconfutabile. Tuttavia, il quadro non mancò di suscitare
preoccupazioni intorno alla persona dellartista, anche perché questultimo, in
quel periodo, era soggetto ad una situazione di permanente sovraeccitazione nervosa, con
continui attacchi di riso. Giunsero a Cadaques, un paese sulle coste del Mediterraneo dove
Dalì soggiornava il regista Luis Buñuel, René Magritte con la moglie Georgette e Paul
Eluard con la moglie Gala, una russa di grande fascino. Eluard propose a Gala di parlare con
Dalì riguardo al quadro, e questultimo le assicurò di non essere assolutamente
affetto da coprofagia (gli amici temevano addirittura questo!) né da squilibri mentali di
sorta (ha scritto in seguito: "Lunica differenza tra me e un pazzo è che io
non sono pazzo!"). Fu a partire da questo quadro che Dalì si innamoro di Galà, che
divenne successivamente sua moglie, sua modella e sua musa ispiratrice per molti anni. Ne I
primi giorni di primavera il tono sembra più disteso, come se dopo lesplosione
che ha caratterizzato Il gioco lugubre tutto tornasse ad un quadro di maggiore
serenità.
Certo è che le opere degli anni immediatamente successivi al 1929 avranno un segno
diverso: ne Il vero quadro dell"Isola dei morti" di Arnold Böcklin
allora dellAngelus (1932) rielabora un tema del pittore svizzero di fine
Ottocento, dipingendola solitaria e abbandonata, e ne La persistenza della memoria (1931)
fornisce il primo dei suoi numerosi paesaggi con orologi molli, gravidi di molteplici
spunti riflessivi riguardo al tempo, alla storia, alla materia.
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