Sommario anno X numero 9 - settembre 2001
ENERGIA PER
TUTTI - pag. 08 - 11
Le fonti di energia
Una facile esposizione per capire tutto dellenergia (13 a parte)
di Giovanni Vitagliano
Proseguiamo con la
presentazione di una serie di articoli divulgativi relativi al tema "energia".
Ora sappiamo come viaggia lenergia elettrica, come viene prodotta nelle centrali
idroelettriche, termoelettriche e nucleari, quali sono gli impianti ad energie
alternative. Nella scorsa puntata abbiamo analizzato i rischi derivanti dalla
trasformazione di queste fonti energetiche, ed ora tratteremo il tema reciproco del
rischio: "La sicurezza degli impianti industriali per la produzione di energia
elettrica".
Proseguiamo con la
presentazione di una serie di articoli divulgativi relativi al tema "energia".
Ora sappiamo come viaggia lenergia elettrica, come viene prodotta nelle centrali
idroelettriche, termoelettriche e nucleari, quali sono gli impianti ad energie
alternative. Nella scorsa puntata abbiamo analizzato i rischi derivanti dalla
trasformazione di queste fonti energetiche, ed ora tratteremo il tema reciproco del
rischio: "La sicurezza degli impianti industriali per la produzione di energia
elettrica".
12)
La sicurezza
La sicurezza di un macchinario o di un impianto fa parte della spesa prevista per la sua
produzione o messa in opera. Se non si può arrivare ad un buon grado di sicurezza, in
qualche caso si deve decidere di non portare avanti la costruzione.
Dopo aver parlato, sia pure appena di passaggio, del rischio energetico, viene naturale
parlare della sicurezza.
La sicurezza è, in un certo senso, il reciproco del rischio. Infatti, più un macchinario
è rischioso, meno è sicuro. Anche matematicamente parlando, se il rischio nelluso
di un certo macchinario è delluno per mille, vuol dire che, ogni mille volte che il
macchinario viene usato può dar luogo ad un infortunio. Viceversa, questo macchinario
sarà sicuro al 999 per mille, perché per 999 volte che viene usato non originerà
infortuni.
Con questa premessa, vediamo cosa si deve intendere per "sicuro" e soprattutto
tentiamo di capire in che unità di misura possiamo misurare la sicurezza. La cosa non è
certo immediata, perché la sicurezza è un concetto alquanto astratto e non può essere
misurato con metri, bilance o termometri.
Dato il tema fondamentale di cui stiamo parlando, è chiaro che la sicurezza di cui
tratteremo è quella degli impianti industriali, per cui ci limitiamo appena ad accennare
al fatto che di sicuro, cioè integralmente esente da qualunque rischio, a questo nostro
bellissimo mondo non esiste praticamente nulla, o quasi nulla. Un granello di sabbia può
accecare una persona, un boccone di cibo lo può soffocare, una buccia di banana può
costare una gamba rotta o peggio, un mozzicone di sigaretta può addirittura provocare
incendi con danni enormi e perdite anche di centinaia di vite umane. Stiamo parlando di
avvenimenti reali, che abbiamo sotto i nostri occhi tutti i giorni, e che in alcuni casi
abbiamo forse personalmente sperimentato. Se poi estendiamo la nostra analisi ad alcune
macchine di uso abituale quotidiano, abbiamo unulteriore conferma della continua
presenza del rischio in tutti i momenti della nostra vita.
Cè rischio ad usare lascensore, lautobus, lautomobile,
laereo, il treno, la lavatrice, la lavastoviglie, il phon, lo scaldabagno, la cucina
elettrica o a gas, la macchina da cucire, il televisore... e anche il videoregistratore,
il computer, e addirittura il telefono cellulare!....Vogliamo continuare ancora? Stiamo
parlando di oggetti che tutti usiamo più o meno tutti i giorni, o almeno qualche volta al
mese, e non di qualche strano impianto di cui riusciamo a stento a vedere qualche pezzetto
passando su unautostrada a cinquanta chilometri da casa nostra...
Ma, tornando al rischio, questo rischio è uguale per tutti i macchinari, o cambia
dalluno allaltro? Ed ammesso che sia vera la seconda ipotesi, in cosa consiste
la differenza tra due rischi?
Come si vede, siamo arrivati al punto che occorrerà trovare un modo di misurare il
rischio e la sicurezza, altrimenti non sarà possibile diminuire il primo e di conseguenza
aumentare la seconda.
Il rischio legato ad un macchinario è connesso di solito ad un guasto del macchinario, o
comunque ad un evento non voluto, perché, anche se non è del tutto vero, assumiamo che
un qualunque dispositivo, integro ed usato in modo corretto e competente, non presenti
rischio (fanno naturalmente eccezione le armi, che sono destinate a produrre danni proprio
se utilizzate in modo corretto e competente). Quindi, ne deduciamo che il rischio connesso
ad un macchinario aumenta con il tempo di funzionamento dello stesso, perché il
logoramento rende più probabili i guasti. Non possiamo in alcun modo costruire un
apparecchio evitando totalmente il rischio di un guasto anche futuro: possiamo però
curare il progetto e la costruzione in modo da ridurre il più possibile la probabilità
del guasto. Possiamo quindi asserire:
"Un macchinario è tanto più sicuro quanto è minore la probabilità di un guasto
con conseguenze rischiose".
Il problema è che questa probabilità può essere resa, come dicono i matematici, piccola
a piacere, ma non può mai essere completamente annullata.
Esaminiamo ora il problema un pò
più da vicino ed introduciamo alcuni concetti nuovi, e cioè la natura del rischio ed il
costo correlato dellintervento necessario per limitarlo.
Finora abbiamo sempre parlato genericamente di rischio, senza mai precisare "rischio
di che cosa". Evidentemente, il rischio presenta una estesissima gamma di
possibilità, da quelle minime (punture, piccole ferite, contusioni, ematomi, piccole
bruciature) a quelle medie (ferite gravi ma non mortali, perdita della funzionalità di
alcuni organi, ustioni estese) a quelle massime (gravi danni permanenti, invalidità,
morte). Esiste inoltre unaltra ampia categoria di rischi, che sono quelli non
fisici, ma di carattere morale o sociale: il rischio di un tracollo finanziario, della
perdita della stima degli altri, e chi più ne ha più ne metta.
Altrettanto evidentemente, non è il caso di effettuare interventi troppo costosi per
ridurre il rischio, relativamente ridotto, che presentano alcuni oggetti di uso molto
comune. Si pensi a come diventerebbe difficile adoperare aghi, lamette, fiammiferi, ferri
da stiro, martelli, cacciaviti, etc. Limportante, in questi casi, è un uso
corretto; spesso la rischiosità è legata proprio alla caratteristica funzionale per cui
usiamo un oggetto. Per esempio, un coltello serve per tagliare, non per tagliarsi, ed il
tagliarsi è spesso dovuto ad un uso improprio, distratto o poco competente.
Ma, quando le conseguenze del rischio cominciano a diventare elevate, anche la spesa che
è opportuno sostenere per diminuire le probabilità di rischio aumenta. Sono spese che
ciascuno di noi sopporta comunque di buon grado, perché un risparmio in questo campo
potrebbe portare a ben altri problemi ed a spese di gran lunga maggiori! Nessuno si
sognerebbe di usare fili elettrici scoperti in casa per spendere meno, oppure pentole
senza manico isolante, o scaldabgni senza termostato!
Ma, come abbiamo detto, la gamma dei rischi è vastissima, e parte da zero fino a valori
elevatissimi. Nello stesso modo, anche la gamma di interventi possibili per ridurre il
rischio è altrettanto vasta, e parte da un banale ditale (per evitare di pungersi con
lago) agli imponenti sistemi di sicurezza degli impianti industriali, ed i
particolare delle centrali elettronucleari.
Su quale obiettivo si basano i tecnici che debbono provvedere ad un sistema di sicurezza
di un impianto? Una volta assodato che la sicurezza assoluta è una pura astrazione, che
non vale lenorme spesa che comporterebbe e che inoltre renderebbe in qualche caso
molto difficile o addirittura impossibile luso degli impianti, lobiettivo dei
tecnici è quello di migliorare la sicurezza fin quando, a parità di costo, il
miglioramento non diventa troppo esiguo per essere conveniente.
Qualcuno
potrà trovare strano che ci si preoccupi di un problema di costi di fronte al problema
molto più grave della sicurezza delle persone, ma è opportuno a questo punto aggiungere
alcune importanti considerazioni:
1) Il fatto che un certo macchinario sia dotato di sistemi di sicurezza, anche se sono
efficientissimi, non esime assolutamente loperatore dal mettere in atto tutte le
cautele e prudenze che sono state previste per luso del macchinario, pena
laumento del rischio. Per esempio, chi deve eseguire operazioni di manutenzione
sugli impianti elettrici, sa bene di dover seguire una procedura piuttosto lunga e
laboriosa, ma assolutamente indispensabile per evitare rischi di folgorazione. Tale
procedura comporta talvolta tempi molto lunghi, che possono diventare anche multipli molte
volte di quello per il vero e proprio intervento; ma evita o almeno riduce di molto il
rischio in grandissima parte dei casi, se applicata con rigore e senza trascuratezze
colpevoli e pericolose.
2) La manovra degli impianti deve esser effettuata da personale esperto e bene addestrato,
al corrente di tutti i rischi potenziali dellimpianto e del particolare strumento
che è nelle sue mani e di cui ha la responsabilità. Un bisturi in mani inesperte è
unarma pericolosissima, mentre in mano ad un esperto e bravo chirurgo è uno
strumento di salvezza.
3) Esiste un livello minimo di sicurezza al di sotto del quale non si deve scendere in
nessun caso. Se il rischio connesso ad un impianto, o ad una qualunque opera o ad un
prodotto, è tale da determinare o anche solo da far prevedere un elevato numero di
infortuni o un rischio di contrarre malattie, si dovrà arrivare alla drastica decisione
di evitarne luso ed addirittura anche la costruzione, fin quando non si riesce ad
elevarne il livello di sicurezza. Per esempio, luso dellamianto, un prodotto
di notevoli caratteristiche antincendio, è stato abolito per la sua tossicità ed il
rischio cancerogeno. Ben diverso è stato il caso dellabolizione delle centrali
nucleari in Italia, derivato da una serie di disinformazioni e da interpretazioni
volutamente false e arbitrarie della volontà popolare. Ma, anche in questo caso, si è
giustificata una decisione sbagliata con un principio fondamentalmente giusto.
4) Ricordiamo sempre che stiamo parlando di impianti industriali, il cui scopo primario è
quello di produrre qualcosa di utile per lumanità nel suo complesso, e non
ovviamente utile solo per chi ci guadagna sopra. Un impianto o unapparecchiatura si
suppone che crei qualche vantaggio per la collettività. Un certo margine di rischio può
essere quindi accettabile, a fronte dei vantaggi che si ricavano dal funzionamento
dellimpianto o dalluso del prodotto: è quello che già altrove abbiamo
definito "rischio calcolato". È lo stesso tipo di rischio che viene messo in
bilancio, anche se in modo inconsapevole, da chi si mette in viaggio per un qualunque
motivo; in modo molto più consapevole, e talvolta anche drammatico, da chi deve decidere
se affrontare o meno unoperazione chirurgica, o più semplicemente assumere un
medicinale che gli provoca reazioni secondarie fastidiose.
Per riassumere, la sicurezza fa parte del progetto di un impianto, ed anche il suo costo
deve essere preventivato dal progettista, al quale è affidato anche il compito di evitare
che il suo impianto sia economicamente non remunerativo. Come abbiamo già detto, sarebbe
del tutto inutile costruire un impianto il cui prodotto è talmente costoso da risultare
invendibile; meglio quindi analizzare con cura il problema da tutti i punti di vista, e
decidere, prima dellinizio della costruzione, se ne vale la pena o no, ed al limite
rinunciare alla costruzione piuttosto che avere un rischio superiore ai vantaggi ottenuti.
Dopo queste considerazioni puramente qualitative, passiamo ora allaspetto
quantitativo, o per meglio dire pratico, del problema: lo faremo prendendo in esame alcuni
aspetti della legislazione e normativa riguardante la sicurezza, e precisamente:
1) Le Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
2) Le Norme per gli impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione
3) La sicurezza degli impianti e protezione sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni
contro i pericolo delle radiazioni ionizzanti derivanti dallimpiego pacifico
dellenergia nucleare.
Le Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (che talvolta sono state definite
impropriamente norme ENPI o ISPESL) costituiscono il contenuto del Decreto del Presidente
della Repubblica N.547 del 27 Aprile 1955. Non cè ordine o contratto per qualunque
tipo di costruzione che non ne faccia menzione. Tali Norme rimandano spesso ad altri
decreti ministeriali o presidenziali, e sono state successivamente integrate da altre
Norrme e leggi, per cui linsieme della legge e di tutte le sue estensioni ed
integrazioni forma ormai un vero e proprio Manuale della Sicurezza. Più recentemente,
sono state emanate altre leggi, tra cui la legge 46 del 1990 e la legge 626 del 1994 già
citate in precedenza; ma la legge 547 continua tuttora a rimanere il caposaldo per quanto
riguarda gli infortuni sul lavoro.
La notevole particolarità di questa legge è che, nei suoi 406 articoli, effettua
unampia panoramica di una vastissima varietà di macchine e lavorazioni (ovviamente,
quelle esistenti nel 1955) al punto da costituire quasi un puntuale catalogo di tutto
quanto può esservi di rischioso negli stabilimenti industriali. Anche se molti articoli
risultano superati da norme di dettaglio, la legge rimane un mirabile esempio di
applicazione dei criteri già annunciati precedentemente sulla sicurezza. Infatti la
legge, mentre da un lato fornisce numerose prescrizioni su vari aspetti della sicurezza,
dallaltro, in più articoli, ammette delle eccezioni che danno una certa libertà al
progettista, anche se nellambito di alcuni criteri generali.
Come già detto, alcuni articoli della legge sono superati da Normative di dettaglio. Una
pecca della legge è costituita dalla mancanza di chiarezza per quanto riguarda il rischio
di esplosione o incendio causati da apparecchiature elettriche. Questa lacuna è stata in
gran parte colmata da una Norma del CEI, il Comitato Elettrotecnico Italiano, che è
lorgano incaricato di emettere la Normativa per le apparecchiature elettriche.
Qualche
parola in più sul CEI, che può aiutare a comprendere meglio in seguito. Attualmente
(1997) la normativa emessa dal CEI deve essere conforme a quella dellEnte normatore
per la Unione Europea, il CENELEC. Infatti, già da molti anni le Norme emanate dal CEI
sono spesso la traduzione di quelle del CENELEC (Norme EN). LItalia, come tutti i
paesi aderenti allUnione Europea, è vincolata ad osservare queste Norme, e questo
comporta in qualche caso la modifica o labolizione della normativa emanata in
precedenza e non riconosciuta o adottata dagli altri paesi. Si tenga presente che le Norme
del CEI attualmente valide constano di circa 2000 fascicoli, in gran parte
"armonizzati" con le Norme Europee ed in parte in corso di armonizzazione.
Tornando ai luoghi con pericolo d esplosione o incendio, il CEI emise, nel 1977,
unimportante Norma che portava il titolo "Impianti elettrici nei luoghi con
pericolo di esplosione o incendio". In seguito, i due pericoli (esplosione ed
incendio) sono stati separati tra loro e sono oggetto di due norme diverse. La Norma del
1977 fu emessa dal Sottocomitato 64 del CEI ed era la seconda emessa, per cui portava, e
porta tuttora, il numero 64-2. Purtroppo, per i motivi che abbiamo elencato al paragrafo
precedente, questa norma così a lungo e con tanta cura studiata ha cessato la sua
validità a partire dal 1° Gennaio 1998, ed è stata sostituita da altre norme
armonizzate europee, che però mancano del tutto del particolare approccio al problema
della sicurezza della Norma 64-2. Per inciso, possiamo non senza un certo orgoglio
patriottico affermare che questa norma è stata e rimane unica al mondo, ed è un vero
peccato che sia destinata a scomparire. Per consolazione, rimarrà come guida per la
progettazione degli impianti, anche se perderà il suo carattere prescrittivo. Inoltre,
rimane comunque validissima per comprendere lapproccio del problema della sicurezza.
La Norma si apre con una frase molto interessante, che vale la pena di riportare
integralmente, perché in essa è compendiata, si può dire, tutta la filosofia della
sicurezza:
"La materia trattata dalle presenti Norme mal si presta a prescrizioni precise:
perciò il testo si limita a stabilire concetti e disposizioni di carattere generale ed a
considerarne lapplicazione ai casi più semplici.
Nessuna Norma, per quanto accuratamente studiata, può garantire in modo assoluto
limmunità delle persone e delle cose dai pericoli dellenergia elettrica in
presenza di sostanze che possono dar luogo ad esplosione o incendio.
Lapplicazione delle disposizioni contenute nelle presenti Norme può diminuire le
occasioni di pericolo, ma non evitare che circostanze accidentali possano determinare
situazioni pericolose per le persone e per le cose".
Saremmo tentati di complimentarci con gli estensori di questa norma per la loro
eccessiva modestia, perché in realtà essa costituisce una notevole (e possiamo
aggiungere, non più eguagliata) innovazione rispetto ad altre Norme, sia dello stesso CEI
che di altri Enti. Probabilmente, almeno tra gli addetti ai lavori, poche norme sono state
e sono tuttora oggetto di discussioni tanto vivaci, sia per la difficoltà di
interpretazione che per quella applicativa. I pericoli di esplosione o incendio sono una
realtà con cui tutti siamo purtroppo abituati a convivere, e le cronache di tutti i
giorni abbondano di resoconti di questa calamità, a livelli più o meno gravi. La
legislazione esistente in materia è vastissima, ed è già tanto riuscire a condensare in
un bolometro di circa 160 pagine una parte delle cause di incendio, quelle derivanti da
inadeguata progettazione degli impianti elettrici.
Dicevamo che la Norma costituisce uninnovazione, e ne spieghiamo il perché,
partendo da una breve analisi del fenomeno incendio.
Si definisce "incendio" una combustione incontrollata, di qualunque dimensione
essa sia. È infatti controllata la combustione in un bruciatore, o nel cilindro di
unautomobile; è incontrollata quella che si sviluppa in un bosco, in un deposito, o
altrove, per cause accidentali e non volute. Lesplosione è provocata da un brusco
ed elevato aumento di pressione, ed è originata da cause simili a quelle che provocano
lincendio. In quanto segue, faremo riferimento allincendio per semplicità, ma
i principi che indicheremo sono del tutto simili a quelli che si applicano per la
prevenzione delle esplosioni.
Perché si possa avere combustione, e quindi anche incendio (o esplosione), occorre la
concomitanza di tre fattori: un combustibile, un comburente ed una causa dinnesco.
Una volta che lincendio si è sviluppato, si sostiene da solo, perché diventa esso
stesso causa dinnesco. Lincendio termina quando termina il combustibile, o,
più raramente, il comburente.
Esaminiamo ora questi tra fattori, e vediamo in quanti casi si ha la loro concomitanza.
Per quanto riguarda i combustibili, essi sono largamente presenti nel nostro ambiente;
oltre a quelli impiegati espressamente come tali (gas di città, gasolio, benzina) essi
abbondano nelle vernici, nei mobili, nelle imbottiture di divani e poltrone, nei libri e
nei giornali, e via di seguito. Possiamo tranquillamente affermare che essi sono presenti
dovunque.
Il comburente, come si sa, è lossigeno contenuto nellaria; tranne rarissimi
casi, è ben difficile che manchi il comburente, perché la mancanza di ossigeno
impedirebbe anche la vita di qualunque organismo.
Le cause di innesco sono, di solito, fiamme, scintille, superfici a temperature molto
elevate, e talvolta agenti chimici.
Fatta questa premessa, il ragionamento fatto dagli estensori della Norma è stato il
seguente: per evitare lincendio, occorre evitare la concomitanza dei tre fattori che
lo causano. È un principio abbastanza evidente di causa ed effetto: per evitare un
effetto dovuto al verificarsi di più cause contemporanee, basta evitare una delle cause,
oppure evitare che la cause siano nello stesso luogo e nello stesso tempo.
"Tutto qui?" Si domanderà perplesso qualcuno. " Ma non
occorrevano certamente degli scienziati per scoprire una verità tanto elementare! Il
problema è praticamente già risolto!"
Adagio! È vero che il principio è semplicissimo, come del resto lo sono moltissimi
principi scientifici apparentemente complicati, ma non altrettanto semplice è la sua
applicazione. Pensiamo, per esempio, ad una centrale termoelettrica con bruciatori a
nafta; il combustibile viene abitualmente conservato in grandi serbatoi di parecchie
migliaia di metri cubi, ovvero milioni di litri; di qui viene pompato fino ai generatori
di vapore, dove viene bruciato, attraverso tubazioni lunghe talvolta anche parecchie
centinaia di metri; durante questo tragitto, il combustibile incontra valvole, pompe,
filtri, flange, strumenti di misura, ed altre apparecchiature dalle quali si hanno
inevitabilmente delle perdite. Ed ecco che il primo dei tre fattori ce lo ritroviamo
nellambiente. Il secondo, cioè il comburente, è sempre presente, come abbiamo
detto. Il terzo, cioè la causa dinnesco, può essere una qualunque scintilla o un
arco che si genera in un apparecchio elettrico, ed è impossibile evitarne la presenza,
perché molti di quegli apparecchi elencati che perdono combustibile sono appunto azionati
dallenergia elettrica!
Linnovazione della Norma è costituita dal fatto che in essa non vengono studiati
soltanto i comportamenti delle apparecchiature elettriche, ma anche quelli dei vari
apparecchi meccanici che causano perdite di sostanze pericolose, con riferimento anche al
tipo di sostanza. Questa Norma quindi, sebbene sia stata emessa da un Ente (il CEI) che si
occupa di apparecchiature elettriche, può essere a giusto titolo considerata una Norma
che abbraccia più discipline, cioè interdisciplinare.
Una volta sancito il principio di evitare la concomitanza tra combustibile e sorgente di
innesco (abbiamo già più volte ribadito che la mancanza di comburente è un caso
assolutamente eccezionale), occorre studiare il modo di costruire gli apparecchi e gli
impianti per ottenere questo risultato. La Norma CEI 64-2 fornisce diversi criteri, agendo
sia sulla parte elettrica che su quella meccanica, e sulla disposizione in pianta dei
componenti dellimpianto. La pratica impiantistica ha dimostrato che si possono
ottenere eccellenti risultati con unaccorta applicazione dei criteri suggeriti, con
costi relativamente modesti.
Un criterio molto importante è quello delle "barriere indipendenti", che
risponde al concetto che, se la concomitanza di due eventi può creare pericoli, si agisce
alla base su ambedue gli eventi in modo indipendente. Per esempio, se abbiamo
unapparecchiatura elettrica in vicinanza di una pompa che convoglia un combustibile,
si agisce sia sulla pompa, facendo in modo da ridurre le perdite o convogliandole altrove,
sia sulla apparecchiatura elettrica, racchiudendola in una custodia particolare
(antideflagrante, o meglio "a sicurezza", secondo lattuale definizione).
Le due barriere sono indipendenti, perché, tranne casi rarissimi, il guasto di una non
compromette in alcun modo il funzionamento dellaltra.
È chiaro che la probabilità di un incidente in questo caso è data (per la legge della
probabilità composta) dal prodotto delle due probabilità semplici. Quindi, se per
esempio ciascuna delle due barriere ha una probabilità di guasto dell1% (1/100), la
probabilità complessiva di guasto sarà 1/10.000, cioè 1/00 x 1/100.
Adesso dovremmo avere le idee più chiare sui criteri che vengono seguiti per migliorare
la sicurezza. Possiamo quindi passare al caso più complesso, che è quello della
sicurezza nucleare.
Prima di parlare della sicurezza, torniamo per un momento a parlare del rischio. Per
difendersi da un rischio, bisogna innanzitutto conoscerlo bene: quindi, è necessario che
sappiamo bene da quale rischio nucleare dobbiamo proteggerci. È bene precisare che una
sorgente di rischio è totalmente sicura rispetto ai rischi che non presenta. Non è una
contraddizione con quanto si è asserito più sopra, che a questo mondo non esiste nulla
che sia del tutto privo di rischio, perché allora ci riferivamo ad un rischio generico,
mentre ora ci stiamo riferendo ad un ben determinato rischio. Per esempio, non è
possibile ferirsi gravemente con una presa di corrente, ma si può rimanere folgorati:
quindi, le prese di corrente sono praticamente integralmente sicure rispetto alla
possibilità di ferirsi (o quasi, per i più pignoli). Il contrario avviene con una
lametta da barba, di quelle che si usavano spesso una volta. Sono molto rischiose per
quanto riguarda la possibilità di ferirsi, ma totalmente sicure per quanto riguarda i
rischi di folgorazione. È inutile quindi dotare le prese di corrente di protezione contro
i tagli, o le lamette da barba di isolamento elettrico.
Tornando al rischio nucleare, chiariamo quindi che il rischio da cui dobbiamo difenderci
non è quello di unesplosione nucleare, che per una centrale nucleare è totalmente
nullo, ma quello delle radiazioni, come forse tutti hanno ben imparato dopo il famoso
episodio di Chernobyl nel maggio del 1986. Il rischio di unesplosione (ben inteso,
ci riferiamo ad una vera e propria esplosione nucleare, perché non possono essere escluse
esplosioni dovute ad altri motivi) è inesistente perché la concentrazione
delluranio fissile nel combustibile nucleare è di appena 1/1000 rispetto a quello
di una bomba.
Ciò premesso, il rischio delle radiazioni è tuttaltro che trascurabile, perché
gli effetti derivanti da livelli di radiazioni elevati possono essere molto gravi, e non
solo per le persone presenti al momento, ma anche per le generazioni future. Quindi,
evitare livelli pericolosi di radiazione è assolutamente vitale per la stessa
sopravvivenza dellumanità.
Per comprendere meglio quanto seguirà, ancora una volta dobbiamo dare un cenno sulle
unità di misura, in questo caso delle radiazioni. Come già accennato in più di
unoccasione, anche in questo caso esistono più modi di misurare le radiazioni, a
seconda del particolare problema che si sta studiando. Chiunque di noi usa i metri per
misurare le dimensioni di una stanza, ma usa i chilometri per misurare la distanza di due
città, e lo stesso occorre fare nel campo tecnologico e scientifico, adottando di volta
in volta lunità di misura più adatta. Limportante è avere sempre ben chiaro
in mente i rapporti tra due o più unità di misura, come è stato fatto precedentemente
per le TEP ed i kWh.
La più nota unità di misura di radioattività è il Curie, che si riferisce alla
quantità di radioattività misurabile in un certo ambiente più o meno circoscritto (una
stanza, unarea chiusa, o simili). Attualmente, viene usato il Becquerel, una unità
molto più piccola, dellordine di grandezza di meno di un miliardesimo del Curie).
Per i curiosi, queste unità sono espresse in disintegrazioni al secondo. Esse non sono
molto adatte a dare informazioni sul rischio, perché si riferiscono al fenomeno in sé e
non ai suoi effetti su un corpo. Più significativa come unità per la radioprotezione è
il RAD, che è invece la dose di radiazione assorbita da un qualunque corpo. Se questo
corpo è un corpo umano, viene usato allora il REM (rad equivalent man).
La differenza tra queste due unità di misura è che il RAD è una "unità di azione
fisica", mentre il REM è una "unità di effetto biologico". Numericamente,
le due unità sono molto prossime. In effetti, le cose sono un pò più complicate,
perché intervengono alcuni fattori (fattore di qualità, fattore di distribuzione) per
passare da una unità allaltra; ma ai nostri fini è sufficiente comprendere alcuni
concetti che sono legati soltanto al REM come unità di misura, e che quindi sono tutti
confrontabili tra loro senza difficoltà.
Gli effetti delle radiazioni sono molto diversi a seconda del tempo di irradiazione, del
particolare organo colpito, delletà del soggetto, etc. È difficile quindi
stabilire, in modo univoco, un numero limite al di sotto del quale il rischio è nullo o
irrilevante. Numerosi studi e ricerche hanno però portato al risultato che le conseguenze
delle radiazioni diventano rilevabili a partire da dosi di circa 200 RAD, ad eccezione di
alcuni casi particolari, come ad esempio le gravidanze.
La protezione dalle radiazioni ha come criterio quello di imporre una dose massima
ammissibile (DMA, dose massima ammissibile) di radiazioni assorbite in un anno dai
lavoratori professionalmente esposti (operatori di impianti nucleari, di laboratori
radiologici, di miniere, etc.) ed una dose limite (DL) per la popolazione nel suo insieme
e per alcuni gruppi particolari. Senza scendere nei dettagli, per i quali possono essere
consultate le leggi esistenti, ci limitiamo a dire che queste dosi sono dello stesso
ordine di grandezza di quelle dovute alle radiazioni normalmente presenti
nellambiente naturale per effetto dei raggi cosmici, della natura e composizione del
terreno, dei cibi e bevande, del livello rispetto al mare, dei materiali di costruzione
delle case; a queste dobbiamo inoltre aggiungere quelle dovute alle cure e indagini
mediche, ai televisori a colori ed ai monitors a colori dei computers, ed altre minori. Si
ritiene (o meglio, almeno in Italia si riteneva fino al 1989) che il danno portato
dallaumento della dose assorbita mediamente sia di gran lunga inferiore al vantaggio
relativo, senza di che sarebbe controproducente qualunque attività che produca
radiazioni, ivi compreso luso di forni a microonde, computers e lamatissima e
mai discussa o contrastata televisione a colori.
I criteri di radioprotezione ai quali abbiamo accennato sono contenuti nella legge 185 del
13-2-1964 ed in altre leggi e decreti emanati sullo stesso argomento. Chi volesse saperne
di più su questi argomenti, può facilmente reperire leggi e norme (queste ultime un pò
meno facilmente) presso qualunque libreria un pò specializzata.
Vediamo ora come viene praticamente realizzata la radioprotezione, cioè come si fa ad
impedire che le radiazioni generate allinterno del reattore di una centrale nucleare
siano rilasciate allesterno. A costo di essere monotoni, ripetiamo ancora una volta
che questi provvedimenti erano quelli adottati per le centrali nucleari costruite in
Italia fino al 1989, e lo sono tuttora per quelle che non sono state completamente
disattivate, anche se non generano energia.
Attualmente, il progetto delle centrali nucleari è realizzato in modo che la
radioattività dovuta al loro funzionamento non superi i 5 millirem (millesimi di rem)
nella zona di installazione; questa quantità rappresenta allincirca un ventesimo
della radioattività naturale già presente nellatmosfera. Per avere unidea
dellordine di grandezza, diremo che equivale a circa tre ore giornaliere di
televisione a colori o ... sembra incredibile, ma è così, ad un mese di villeggiatura o
comunque di vita in montagna, dove la radioattività è più elevata che in pianura!
Le radiazioni di una centrale nucleare vengono generate dal combustibile, internamente al
reattore, a causa della produzione di sostanze radioattive durante il processo di
fissione. Questi prodotti sono trattenuti nel combustibile, ma, poiché emettono
radiazioni in tutte le direzioni, rendono radioattiva lacqua del circuito primario
(quella che passa nellinterno del reattore stesso) e laria delledificio
reattore. Il primo intervento quindi per evitare la contaminazione è purificare
laria e lacqua, estraendone i prodotti radioattivi.
Questi prodotti possono essere solidi, liquidi o gassosi; quelli liquidi vengono in gran
parte riutilizzati e quindi ritornano in circolo; quelli solidi e gassosi, ed una piccola
parte di quelli liquidi, vengono concentrati e cementati entro appositi fusti, che vengono
temporaneamente immagazzinati in centrale, per poi essere inviati in luoghi appositamente
predisposti. Piccolissime quantità di rifiuti radioattivi vengono eliminate
allesterno e danno luogo alla modesta radioattività locale di cui abbiamo già
parlato. Naturalmente, sia prima dellinstallazione della centrale che durante
lesercizio, vengono effettuati controlli della radioattività, sia mediante una rete
di sorveglianza che mediante campagne periodiche, per accertare che i livelli di
radioattività dovuti agli effluenti liquidi e gassosi non creino pericoli per la
popolazione. I controlli vengono effettuati con tecniche molto raffinate, a causa del
modesto livello di radioattività presente e della conseguente difficoltà di effettuare
misure esatte.
Tutto quello che abbiamo detto finora riguarda il normale funzionamento, quando cioè va
tutto bene senza incidenti: cosa succede invece in caso di guasto?
Nella grande maggioranza dei casi, niente di rilevante o preoccupante. Una centrale
nucleare è un sistema molto complesso, con migliaia di componenti di ogni tipo, per cui
non è possibile escludere che qualcosa si guasti o non funzioni a dovere. Ma, in
generale, il guasto di un componente non avrà alcuna ripercussione sulla radioattività.
Esistono però alcuni tipi di guasto che possono avere conseguenze anche gravi se non
fronteggiati in modo idoneo.
Il guasto più grave che potrebbe verificarsi è il cosiddetto "LOCA", termine
inglese (ovviamente!) derivato dalle iniziali delle parole "Loss of coolant
accident", che vuol dire "Incidente di perdita del refrigerante"
(traduzione alla lettera: in italiano, la stessa sigla suonerebbe qualcosa come Idpdr,
meno elegante e pronunciabile di Loca; da notare che Loca sembra una parola italiana,
mentre Idpdr è una parola che non potrebbe esistere neanche in inglese; chissà perché,
comunque, in tanti casi si preferisce usare sigle inglesi quasi impronunciabili anziché
sigle italiane molto più eleganti e intepretabili. Bah!)
Per spiegare la gravità dellincidente "LOCA", torniamo per un momento
indietro per ricordare in modo succinto il funzionamento di una centrale nucleare.
Come abbiamo visto al Capitolo 8, una centrale nucleare è costituita da un reattore
nucleare che funge da generatore di vapore per lazionamento di una turbina;
questultima fa girare un alternatore, che produce energia elettrica, inviandola alla
rete di distribuzione. Il reattore viene quindi attraversato dallacqua (il circuito
primario ricordato poco più sopra), la quale asporta il calore dal reattore,
riscaldandosi a sua volta fino a trasformarsi in vapore. Se la tubazione che porta acqua
al reattore si rompesse integralmente (rottura a ghigliottina) lacqua non
arriverebbe più al reattore. A questo punto, se non esistessero dispositivi di sicurezza,
succederebbe quello che succede ad una pentola se viene lasciata sul fuoco senza acqua,
cioè la temperatura del reattore comincerebbe a salire, finché potrebbe diventare così
elevata da provocare danni alle strutture contenenti il reattore, e, in caso estremo, la
fuoruscita di prodotti radioattivi. Contemporaneamente, allinterno del reattore si
avrebbe un notevole aumento di pressione.
I dispositivi di salvaguardia servono appunto ad evitare queste pericolose conseguenze, e
si basano in generale sul semplice principio di raffreddare il nucleo del reattore;
inoltre essi evitano laumento di pressione e la formazione di miscele esplosive. I
sistemi, oltre ad essere molti e differenziati, sono tutti costituiti da due e talvolta
anche tre unità identiche e completamente indipendenti tra loro, che possono funzionare
anche in mancanza di energia elettrica dalla rete o dal generatore stesso della centrale.
A parte i guasti interni, nel progetto della centrale si tiene conto anche, con abbondanti
dimensionamenti, degli eventi esterni come terremoti, allagamenti, trombe daria e
perfino cadute di aerei.
Sulla sicurezza ci sarebbe ancora molto da dire, ma riteniamo che i cenni che abbiamo dato
siano sufficienti per dare unidea dellapproccio al problema nella sua forma
più semplice e comprensibile, e per far comprendere che, come avviene per tante altre
realtà, nessuna scelta fatta dalluomo è integralmente buona o cattiva, ma è
sempre da valutare con tutti i suoi vantaggi e svantaggi.
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anno X numero 9 - settembre 2001 |