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Sommario anno X numero 10 - ottobre 2001

 contro il terrorismo - pag. 16

Folle attacco globale alla Globalizzazione

di Renato Vernini

Il Corriere della Sera, già dal 15 settembre, evidenzia un punto inquietante della crisi mondiale scaturita dall’attacco suicida al World Trade Center ed al Pentagono. I fatti, nella loro drammaticità, sono piuttosto semplici: tutti sappiamo che finanziariamente i settori maggiormente colpiti dai boeing terroristi sono stati quelli assicurativo e quello legato alle grandi compagnie aeree. Ebbene, l’elemento anomalo consiste nel fatto che tra il 4 ed il 7 settembre, quindi qualche giorno prima dell’attentato, qualcuno abbia giocato al ribasso proprio in quei settori. Possiamo ancora semplificare con poche parole: qualcuno ha venduto prima dell’attentato per poi ricomprare a prezzi stracciati. Osama bin LadenHa buon gioco Claudio Gatti, autore dell’articolo, nell’affermare che se lui fosse stato nei panni di Osama Bin Laden, non avrebbe certo esitato ad avvantaggiarsi dell’azione programmata anche dal punto di vista economico. Queste operazioni avrebbero assicurato ai terroristi una sorta di "rimborso spese" per l’azione portata a termine. L’ipotesi è molto concreta, considerato anche il fatto che il presunto cervello del terrorismo internazionale è un facoltoso finanziere ed è del tutto naturale che, qualora fosse stato effettivamente a conoscenza di un’azione di così grande impatto sui mercati mondiali, avrebbe tentato di trarne il massimo vantaggio. Questo fronte di indagine, tra l’altro, introduce l’interrogativo su presunte connivenze di ambienti occidentali con la rete terroristica islamica.
L’ipotesi che per primo ha avanzato il Corriere della Sera trova conferma nelle parole autorevoli del ministro Martino, il quale, ribadendo a Radio anch’io del 20 settembre alcuni suoi precedenti interventi, si spinge oltre e si interroga sulla possibilità che la matrice terroristica fosse essenzialmente economica, andando ben oltre l’ipotesi del Corriere della Sera. La speculazione in borsa non sarebbe un effetto collaterale, visto che ci si trovavano i terroristi ne hanno tratto il massimo profitto, ma la vera molla dell’attentato, la mente che ha congegnato la distruzione delle torri gemelli avrebbe utilizzato dei fanatici suicidi per trarne profitto sotto il profilo economico.
Forse non sapremo mai se le cose stanno come le stiamo paventando, sappiamo comunque dalle notizie, confermate anche dalla solita CNN, che le autorità statunitensi stanno indagando anche in questa direzione. Una cosa però è certa ed è quello che le due ipotesi pongono al centro dell’attenzione: lo scenario che abbiamo dinanzi non è più riassumibile sotto nessuna delle categorie classiche. Al di la della tragedia umana di fronte alla quale non abbiamo potuto far altro che rimanere sconvolti, nelle ore immediatamente successive all’attentato, ci siamo resi conto, nel momento in cui i media si interrogavano sulle possibili rappresaglie, di come abbia perso significato anche il concetto stesso di "guerra". Nel momento in cui andiamo in stampa non è stato sferrato nessun attacco contro gli stati islamici, eppure, nonostante l’ingente dispiegamento di forze, è certo è che un bombardamento come quello avvenuto in Iraq risulterebbe anche ai più ingenui come del tutto inadeguato al raggiungimento dei fini che si propone ogni guerra: annientare o indebolire al massimo il nemico. Qui il nemico è quasi invisibile, disseminato in ogni nazione, appoggiato dai gruppi più disparati. Chi colpire, chi attaccare? Il nemico non è uno stato, un popolo, un uomo: il nemico si nasconde nelle strutture stesse dell’occidente così duramente colpito.
Abbiamo tanto parlato di globalizzazione da non renderci conto che nel frattempo venivano globalizzate le strutture stesse degli antagonisti più radicali della globalizzazione occidentale. Il mercato, lontano dall’essere governato da una mano invisibile, come sosteneva Adam Smith, si è espanso disordinatamente ed ha aperto la strada anche a chi aveva come ultimo obiettivo quello della distruzione del mercato medesimo. Uno dei cinquanta fratelli del solito Bin Laden (un nemico troppo comodo per essere vero!) prospera negli affari a Boston. Lo stesso Bin Laden ha dei grossi interessi in Europa ed anche in Somalia, paese storicamente "sotto controllo" italiano. Somma ingiuria: i kamikaze che hanno colpito negli Usa, si sono addestrati nelle scuole aeronautiche della Florida. Non ci scandalizzeremo nell’apprendere un giorno che studiando e decifrando quanto veniva pubblicato su alcuni siti internet sarebbe stato possibile prevedere l’attentato.
Ma oltre queste considerazioni, l’elemento strategico di questa guerra consiste nel fatto che il Satana contro il quale si batte l’occidente si annida proprio nei paesi dai quali l’occidente dipende nel suo cuore pulsante: l’energia. Se il mondo islamico fosse il vero nemico avrebbe buon gioco nel vincere la guerra chiudendo compatto i rubinetti del petrolio. D’altra parte, invece, il mondo non occidentale sembra aver imparato molto in fretta come utilizzare le armi dell’occidente: le istituzioni finanziarie islamiche, che certo non sono nella gran parte dei casi soggette ad infiltrazioni terroristiche, pesano sul mercato per circa 230 miliardi di dollari, come pubblicizzato sul sito www.islamicbanking-finance.com, mentre, come conferma su Le Monde Diplomatique di settembre, l’analista Ibrahim Warde, dell’Università di Harward, istituti finanziari islamici operano in più di 75 paesi, avendo superato le riserve dottrinali, in gran parte fondate sulla proibizione coranica della riba, che oggi è identificata con l’usura ma un tempo era ricondotta al semplice prestito con interessi. Niente male visto che la prima banca islamica è stata fondata negli anni ’70.
Infiltratosi in questa azione globalizzante dell’occidente, il neoterrorismo sembra sfruttare un principio di alcune arti marziali: utilizzare la forza dell’avversario per restituire il colpo che questi tenta di mettere a segno. Più l’avversario è forte, maggiori saranno le conseguenze negative che subirà. Ricerca genetica, biologica, chimica, comunicazioni satellitari, internet sono solo alcune delle armi delle quali, presumibilmente, si servirà la nuova strategia terroristica. Se non consideriamo attentamente la dinamica globale dell’attentato al World Trade Center, l’azione folle di un manipolo di fanatici rischia di apparire ancora piuttosto rudimentale. Non considerare il quadro nel quale questa azione si muove e la sua logica profonda potrebbe essere un grave errore di valutazione dell’avversario.
Oltre le implicazioni di carattere strategico-militare, che francamente non ci appassionano, la riflessione sulla globalizzazione del terrore ci conduce ad un ripensamento sulle nostre teorie che riguardano la stessa globalizzazione. Non possiamo qui approfondire un discorso completo sul fenomeno, rimandiamo magari ad altri interventi, certo possiamo cominciare a ragionare su un fatto: proprio perché la globalizzazione interessa tutto il pianeta, tutti i popoli, tutte le società, questa crisi internazionale non è piombata sull’occidente dall’esterno, ma rappresenta un elemento di collasso interno allo stesso sistema progettato e realizzato dall’occidente. Certo la contrapposizione tra un mondo apparentemente ricco e felice con un mondo per la maggior parte dei casi sfruttato e danneggiato dall’espansione occidentale è un dato di fatto. Come un dato di fatto è l’incapacità diplomatica di disinnescare l’ordigno rappresentato dalla controversa coesistenza tra israeliani e palestinesi in un fazzoletto di terra improduttivo. Ma ridurre il conflitto ad uno schieramento dei buoni contro i cattivi (qualunque delle due parti sia rappresentata come il "buono") è del tutto fuorviante e drammaticamente inutile. Basterebbe leggere la storia degli ultimi venti anni per constatare che molti dei cattivi di oggi erano i buoni di ieri agli occhi occidentali: lo è stato l’Iraq, utilizzato contro l’Iran dagli statunitensi, lo sono stati i Talebani, utilizzati contro i Sovietici, lo sono stati molti regimi africani, oggi accusati, come quello sudanese, di essere degli stati "canaglia", di offrire, cioè, copertura ai terroristi islamici.
Colpire i responsabili dei folli attentati, a tutti i livelli, è un atto dovuto per giustizia e per prevenire nel brevissimo periodo nuove tragedie, ma non basta se non vogliamo illuderci di voler costruire una pace planetaria attraverso la preparazione della guerra. Questo non perché, o almeno non solo perché, non si è convinti della bontà del precetto romano, si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, ma anche perché oggi è estremamente difficile anche solo individuare il nemico di questa guerra.
È stato detto in questi giorni che colpire in maniera generalizzata significa fomentare quel sentimento antioccidentale nel quale prosperano i fanatici islamici: questo è vero. È anche vero, però, che occorre fare il contrario, tendere la mano per evitare che esista un "dentro" ed un "fuori" rispetto al processo di globalizzazione. Si vis pacem, para pacem dovrebbe essere il motto del terzo millennio, più lineare e logico di quello romano, che infatti ha portato all’autodistruzione dell’impero. Molte sono oggi le analogie tra la fine di quell’impero, nei primi cinque secoli dell’era cristiana, e la temuta fine del mondo occidentale nel terzo millennio: anche allora si era di fronte ad un processo di globalizzazione ante-litteram (l’età ellenistica), anche allora si denunciava un certo allontanamento dalla virtù che aveva costruito la civiltà romana, anche allora, soprattutto si accusavano gli adepti di una religione medio-orientale di voler distruggere l’impero. Allora i terroristi erano i cristiani, pazzi fanatici che preferivano morire piuttosto che rinnegare il proprio Dio, per alcuni addirittura capaci di incendiare Roma, il centro dell’impero, il simbolo del potere militare ed economico. Ci fu un santo, Agostino, un uomo della Numidia, che dovette scrivere un gran libro, il De Civitate Dei, proprio per confutare le tesi anti cristiane dei romani e difendere i propri fratelli dall’accusa di voler minare l’impero nelle sue fondamenta…..
Forse vale la pena di meditare.


Sommario anno X numero 10 - ottobre 2001