Sommario anno X numero 10 - ottobre 2001
Enrico
Fermi e la Pila Atomica -
pag. 22
1 - Dall’infanzia di un
fisico ad un fiasco di successo
di Nicola Pacilio
Siamo lieti di annunciare l’inizio
di questa nuova rubrica curata da Nicola Pacilio e dedicata ad Enrico
Fermi e la Pila Atomica. La rubrica impegnerà l’autore e Controluce a
partire da ottobre, in coincidenza con il centenario della nascita (29
settembre 2001), via via per un intero anno fino al 2 dicembre 2002 quando
sarà commemorato il 60mo anniversario del primo esperimento, con la pila
atomica, della produzione di energia nucleare.
Nicola Pacilio si occupa di Storia e
Filosofia della Scienza ed è libero docente in fisica del reattore
nucleare in Italia (Roma) e negli Stati Uniti (Università di California -
Berkeley).
Che
cosa ci fa un fiasco di autentico vino di Chianti nello scantinato di uno
stadio di football americano dell’Università di Chicago nell’anno
1942 in piena seconda guerra mondiale? Il vino italiano viene servito in
bicchieri di carta a 42 scienziati, provenienti dall’Europa e dagli USA,
per festeggiare un evento epocale: la criticità della prima pila atomica
e l’inizio dell’era nucleare. Direttore esecutivo e responsabile della
grande impresa è un fisico romano emigrato negli USA per motivi politici:
il suo nome è Enrico Fermi. Questo anno, esattamente il 29 settembre
2001, è stato ricordato il centenario della sua nascita. L’anno
prossimo, nella scadenza del 2 dicembre 2002, verrà commemorato il
60esimo anniversario dell’evento di Chicago: la prima produzione di
energia nucleare attraverso una reazione a catena di neutroni termici in
un reattore con combustibile in uranio e moderatore in grafite, innescata
e controllata dall’uomo. Chi era Enrico Fermi e qual’è la sua storia
?
La famiglia Fermi. I
Fermi erano stati nel XIX secolo lavoratori agricoli nella provincia di
Piacenza. Stefano Fermi, il nonno di Enrico, era stato il primo della
famiglia a non lavorare la terra con le proprie mani. Grazie ai suoi
meriti sul lavoro era infatti diventato intendente al servizio del Duca di
Parma. Enrico ricordava bene nonno Stefano: quando costui morì nel 1905
(Stefano aveva 87 anni, Enrico soltanto 4) lasciò in eredità una casa e
un po’ di terra a Caorso, che un giorno, alla fine degli anni ’70,
sarebbe divenuto, per una strana combinazione di eventi, sito di un
impianto nucleare di produzione dell’energia elettrica. Alberto Fermi,
il secondo figlio di Stefano e padre di Enrico, nasce a Borgonure
(Piacenza) nel 1857, sotto il dominio austriaco. All’età di 25 anni,
entra nella compagnia ferroviaria "Alta Italia"; dopo un
trasferimento a Napoli, Alberto è a Roma come contabile, poi come
ispettore, sempre nell’ambito dei trasporti ferroviari. Nel 1901, anno
di nascita di Enrico, viene nominato Cavaliere della Corona d’Italia,
onorificenza di alto valore sociale. La madre di Fermi, Ida de Gattis,
nasce a Bari nel 1871 e intraprende la carriera di maestra. Quando si
sposano nel 1898, Alberto ha 41 anni, Ida 27 anni e vanno a vivere in un
appartamento romano di via Gaeta 19 presso la stazione ferroviaria. I
figli della coppia sono tre: Maria nata nel 1899, Giulio nel 1900 e Enrico
nel 1901.
Una memoria prodigiosa e un evento doloroso. Il più giovane dei
Fermi imparò a leggere e scrivere in età molto precoce, con l’aiuto
della sorella: aveva una memoria formidabile e citava lunghi brani dell’Orlando
Furioso dell’Ariosto. Anche da adulto, Enrico amava citare
frequentemente i versi della Divina Commedia di Dante. All’età
di 10 anni, Fermi aveva uno spiccato interesse per la matematica e la
fisica, stimolato forse dai discorsi di alcuni amici del padre che erano
ingegneri. Per gioco, gli insegnarono che,attribuendo opportuni valori ai
termini della equazione x2 +y2 = r2, poteva diventare capace di disegnare
per punti una circonferenza di assoluta precisione rispetto a quelle
tracciate a mano libera. I suoi amici più vicini erano sorella e
fratello: con Giulio costruiva giocattoli meccanici e motorini elettrici
con i pezzi di scarto trovati nei secchi di rifiuti delle officine di
ferramenta. Un grande dolore, completamente inaspettato per un ragazzo
così giovane e inconsapevole della morte, colpisce gravemente lo spirito
di Enrico. Il fratello muore dopo una banale operazione clinica. Fermi
cercherà per tutta la vita di rievocare quella perduta solidarietà di
gioco e di invenzione, allestendo gruppi di studio, equipe di
laboratorio, team di ricerca scientifica in grado di rievocare i
magici pomeriggi trascorsi con Giulio a stimolare e inebriarsi di emozioni
ludiche in fantastiche ma riuscite costruzioni creative. Enrico colma il
vuoto esistenziale lasciato dal fratello e si lega di sincera amicizia con
Enrico Persico, compagno si scuola e coetaneo di Giulio: i due hanno in
comune una speciale predilezione per la fisica, girano per bancarelle e
rivenditori in cerca di libri usati.
Un libro di fisica scritto in latino e testi universitari studiati in
età liceale. "Un mercoledì mattina, verso la fine del 1915, un
giovinetto piuttosto tarchiato e con un dente di latte in soprannumero,
che non aveva perduto nonostante i 14 anni, si faceva strada, nell’affollatissimo
mercato di Campo dei Fiori a Roma, verso le bancarelle di libri
usati." Così
comincia la biografia scientifica di Emilio Segrè (Enrico Fermi,
fisico, Zanichelli 1987), allievo, collaboratore e amico di Fermi per
tutta la vita, anch’egli premio Nobel per la Fisica. Il breve scorcio,
quasi cinematografico, di apertura riguarda il ritrovamento da parte del
giovane Enrico di due tomi, vecchi e impolverati, del libro "Elementorum
Physicae Mathemathicae volumen primum et secundum, auctore Andrea
Caraffa, e societate Jesus, in anno 1840". Sono scritti in latino e
serviranno da banco di prova della preparazione umanistica oltre che
scientifica di Fermi. Più o meno durante il medesimo periodo, Fermi
incontrò un’altra persona che influenzò in maniera determinante il suo
sviluppo culturale. Si trattava dell’ingegner Adolfo Amidei, un giovane
collega di lavoro di Alberto Fermi. La storia dei suoi rapporti con il
giovane Enrico è racchiusa in una lettera inviata a Emilio Segrè, su
richiesta di quest’ultimo. Eccone uno stralcio: "Il figlio del mio
collega mi comunicò che stava cercando libri che spiegassero
scientificamente il moto della trottola e del giroscopio. Gli feci
presente che, per ottenere una spiegazione rigorosa, era necessario
conoscere bene una scienza detta meccanica razionale, per apprendere la
quale era però necessario imparare la trigonometria, l’algebra, la
geometria analitica e il calcolo infinitesimale. Gli prestai anche i testi
su cui studiare queste materie." Nel luglio 1918, il 17enne Fermi
conseguì la licenza liceale, saltando il terzo anno. Aveva deciso di
stringere i tempi e di volere frequentare l’università non a Roma, ma
addirittura alla Scuola Normale Superiore di Pisa: una accademia di tutta
eccellenza, da cui erano usciti Guido Castelnuovo, Vito Volterra e Tullio
Levi-Civita.
Gli studi universitari e le nuove amicizie. All’Università di
Pisa, Fermi fece amicizia con Franco Rasetti, nato il 10 agosto 1901 e
tuttora vivo e vegeto nella città di Bruxelles alla veneranda età di 100
anni. Rasetti, talento notevole e poliedrico, con interessi al di là
della fisica, era grande sperimentale e avido lettore, sempre pronto a
consigliare al giovane Enrico letture opportune e gratificanti, dalla
letteratura moderna angloamericana alla biologia. Seguire il corso alla
Normale non costava poi tanta fatica al genio di Fermi: aveva, infatti, il
problema di come impiegare il tempo libero dagli studi. Ecco che cosa
scriveva all’amico Persico, che stava studiando per divenire anche lui
fisico, in una lettera del 1919: "Adesso, visto che per la Scuola non
ho nulla da fare e ho a disposizione una quantità di libri, sto cercando
di ampliare le mie conoscenze di fisica matematica. Ti confesso che ricavo
più matematica dai libri di fisica che da quelli di matematica". Il
modo in cui Fermi "leggeva" i libri aveva connotazioni che
coprivano un ampio orizzonte, dal puro piacere cognitivo fino allo stimolo
derivante dalla soluzione di natura enigmistica dei problemi che Fermi
incontrava nel testo. Una volta chiarita la struttura del problema, Enrico
chiudeva il libro e proseguiva secondo una propria linea risolutiva. Il
libro veniva riaperto soltanto per confrontare la sua soluzione con quella
dell’autore del testo, che poteva essere Poincaré, Appell, Richardson,
Weyl, Sommerfeld e così via. Era insomma come studiare in compagnia di
amici e colleghi già bravi e famosi!
Laurea e disoccupazione. Nel luglio del 1922 Fermi si laurea cum
laude sia alla Università di Pisa che alla Scuola Normale. Malgrado
Fermi godesse di una fama assoluta e di enorme prestigio presso tutti i
cattedratici, non gli venne offerto nessun tipo di impegno: una borsa di
studio, un contratto a termine, un posto di assistente. Nulla. Bruno
Pontecorvo (Enrico Fermi nel ricordo di allievi e amici , Edizioni
Studio Tesi, 1995) , uno dei ragazzi di via Panisperna emigrato poi in
URSS, racconta così la storia di Fermi disoccupato: "Questo la dice
lunga sull’incredibile povertà delle università italiane di quel
periodo, nonché della mancanza di lungimiranza dei dirigenti dell’università
pisana." Enrico torna a Roma dove incontra un senatore, il professore
Orso Mario Corbino, direttore dell’Istituto di Fisica della Regia
Università Romana. Ottimo fisico sperimentale, Corbino aveva lasciato la
fisica per la politica.
Tutti gli scienziati, che avevano partecipato alla prima criticità di
un reattore nucleare ideato, progettato e realizzato dall’uomo, posero
la loro firma verticale sul fustino del fiasco di Chianti. Eugene Wigner,
il grande fisico teorico di origine ungherese responsabile di tutti i
calcoli del progetto, lo aveva acquistato molti mesi prima, in previsione
della felice occasione. Tra i visi sorridenti e compiaciuti due emergevano
su tutti: quello di Arthur Compton, premio Nobel per la fisica nel 1927 e
responsabile in capo della Pila di Chicago e quello di C.H. Greenewalt, un
colto e raffinato ingegnere chimico della Du Pont, che per meriti
"nucleari" sarebbe divenuto addirittura presidente della grande
multinazionale energetica degli USA. In seguito al successo dell’esperimento
del 2 dicembre 1942, la Du Pont si sarebbe accollata la costruzione di una
serie di reattori nucleari per la produzione di plutonio. Poi venne il
momento solenne di telefonare alla Casa Bianca, dove le autorità
politiche aspettavano l’esito dell’impresa. Fu Compton a parlare, il
messaggio era ovviamente in codice: "Il navigatore italiano è
arrivato nel nuovo mondo. " Dall’altra parte del filo si replicò:
"Come sono state le accoglienze?" E Compton chiuse la chiamata
dicendo: "I nativi si sono dimostrati molto amichevoli."
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