Sommario anno X numero 11 - novembre 2001
STORIA
E ARTE -
pag. 07
Uno sguardo …a quel ponte
di Alberto
Restivo
Ci siamo
recentemente interessati al Mausoleo di Adriano e del come e perché la
mirabile opera ha subito nei secoli tutta quella serie di “violenze”
in demolizioni e restauri per arrivare a come si presenta oggi
all’occhio del visitatore.
Pur essendo stato realizzato in “simbiosi” con il Mausoleo, Ponte Elio
ha conservato la robusta struttura che gli ha permesso di resistere
durante i secoli, alle piene del “biondo Tevere” che, senza pietà,
scaraventava a valle tutto ciò che poteva trascinare.
Oltre che per fungere da baluardo contro le intemperie, l’imperatore
Adriano lo volle costruire per dare al Mausoleo un accesso maestoso ed
elegante che il ponte mantiene ancora oggi, anche se ci limitiamo ad
ammirare le linee architettoniche di base e cioè i vari archi che
poggiano sui robusti pilastri immersi nelle acque del fiume e che non
hanno minimamente risentito degli ultimi lavori eseguiti in occasione del
Giubileo. Anzi esso si mantiene a presidio non solo del Mausoleo ma anche
dell’intero Rione che prendeva il nome di Ponte, fino a che non venne
assorbito, secondo la nuova toponomastica varata dall’Amministrazione
comunale, nel Rione Borgo.
Il ponte continua a svolgere la sua funzione di collegamento fra il Campo
Marzio e “l’Ager Vaticanus” accogliendo numerosi turisti e
cittadini, anche se negli ultimi tempi è diventato una piccola isola
pedonale utilizzata dai soliti pittori che, sconfinando da Piazza Navona,
sistemano vicino alle spallette del ponte i loro cavalletti e si immergono
nella riproduzione della Basilica di S. Pietro o dello stesso Castel
Sant’Angelo, senza dimenticare però di inserire, nella scena dipinta,
una o due delle mirabili sculture che ornano il ponte stesso.
Inevitabilmente, ammirando queste realtà, il pensiero ci riporta al
Bernini, il quale suggestionato forse dalla lettura di libri mistici del
tardo medioevo, ebbe l’idea straordinaria e del tutto originale di
sostituire le Vittorie alate dell’antichità, che lo ornavano prima
delle invasioni barbariche, con angeli recanti gli strumenti della
Passione, mettendo così in scena una “Via Crucis”: il pellegrino che
segue questo percorso, accompagnato dalla sua fede, rivive le varie
stazioni e attraverso la meditazione sulla Passione di Cristo, come negli
esercizi spirituali praticati spesso del Bernini, preparandosi
all’ingresso nella Basilica e all’incontro ideale con Pietro e gli
altri Ponefici del passato, protagonisti della salvezza e del trionfo
cristiano.
Oggi, il Ponte costituisce lo scenografico accesso al Vaticano anche se la
memoria rende giustizia alla storia, richiamandoci a quell’anno 133 d.C.
ed all’impresa che Adriano volle realizzare per sé ed i successori
della sua dinastia.
Chiamato originariamente Pons Elius, venne ribattezzato Sant’Angelo in
seguito alla visione angelica avuta da Papa Gregorio durante la peste del
590.
Il Bernini non si limitò a ideare le sculture, ma costruì anche i nuovi
parapetti in sostituzione dei precedenti, risalenti a Urbano VIII°,
ponendo tra i piedistalli delle statue le grate di ferro, intervallate da
lastre di travertino, che permettessero di vedere il fiume e di percepire
il movimento delle acque.
L’acqua ed il suo movimento sono elementi importanti nell’arte del
Bernini che ritroviamo nelle varie opere sparse numerose in tutta Roma, a
partire dalle Fontane di Piazza Navona, di Piazza di Spagna ( Barcaccia),
di Via Veneto (Fontana delle Api), di Piazza Barberini (del Tritone).
Durante il suo soggiorno a Parigi nel 1665, ci dicono alcune fonti, egli
rimase per lungo tempo su Pont-Rouge ad ammirare lo scorrere delle acque
del fiume sottostante, confidando al ministro Colbert: “È una bella
cosa, l’acqua calma lo spirito”.
Gli artisti della sua bottega collaborarono alla realizzazione delle
statue sulla base dei bozzetti e dei disegni preparati dal Bernini che
lasciò ampia autonomia agli scultori, continuando la sua opera di
costante supervisione di quanto veniva realizzato.
La testata del ponte era decorata già con le statue di S. Pietro e S.
Paolo, protettori della città (realizzate l’una nel 1464 da Paolo
Taccone e l’altra da Lorenzo Lotti - il Lorenzetto nel 1534): le due
statue sembrano accogliere i fedeli e benedire il loro cammino.
Le due statue appaiono nella loro maestosità, rigide all’occhio di un
osservatore superficiale, ma immediatamente si ammorbidiscono e sembrano
sciogliersi nelle leggerezza ed eleganza degli angeli che seguono e che
sembrano, librandosi nell’aria, quasi pronti a prendere il volo nel
cielo di Roma verso una meta lontana e luminosa.
Ogni statua rappresenta una versione diversa di un’unica figura, ma è
Bernini che è riuscito a dare ad ognuna di esse un diverso ed intenso
tono di drammaticità.
Infatti, la disposizione degli angeli segue l’ordine degli eventi della
Passione, a cui alludono gli oggetti scolpiti ed attribuiti ad ogni
statua: la sferza e la colonna sono, come si può intuire, i simboli della
flagellazione, la corona di spine ed il sudario sono i simboli dello
scherno del Cristo e della pietà della Veronica, mentre con la veste, i
dadi ed i chiodi si è voluto alludere, molto efficacemente, alle vesti
del Cristo messe in palio dai soldati romani ed alla crocefissione; il
cartiglio e la croce sono i simboli del suo martirio, mentre la spugna e
la lancia ricordano le sue ferite sulla Croce.
L’angelo con la corona di spine e quello con la scritta INRI furono
eseguiti personalmente dal Bernini e incontrarono il compiacimento del
Papa così che, per salvare gli originali dalle intemperie, lo stesso
chiese che venissero sostituiti con delle copie realizzate dagli scultori
della bottega del Bernini, mentre gli originali sono conservati nella
chiesa di S. Andrea delle Fratte.
Dalle fonti, si sono potuti individuare gli scultori berniniani coinvolti
nell’impresa decorativa del ponte: Antonio Raggi, autore dell’angelo
con la colonna, Paolo Naldini che eseguì l’angelo con la veste e i
dadi.
Nell’angelo con la colonna il panneggio è carico di pathos e
avvolge la figura in pieghe vorticose, mentre nell’angelo di Naldini il
volto appare segnato da un profondo dolore che non può non commuovere lo
spettatore.
L’angelo con il sudario di Cosimo Fancelli ha un’espressione dolce
mentre quello di Ercole Ferrara sembra quasi soccombere sotto il peso
della Croce.
La meravigliosa espressività della scultura berniniana è qui più che
mai degnamente rappresentata e sembra preannunciare al visitatore la
dolcezza dei due angeli adoranti posti ai lati dell’altare del
sacramento, nella Basilica Vaticana, che sembrano meditare sul mistero
eucaristico, quasi concludendo questo itinerario spirituale iniziato con
gli angeli del Ponte
Sommario
anno X numero 11 - ottobre 2001 |