Sommario anno X numero 11 - novembre 2001
LETTERATURA
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pag. 08
I Goncourt, tra realismo e preziosità
di Daniele
Dattilo
Parlare dei Goncourt oggi può sembrare antiquato, quasi un anacronismo.
Lo stile dei loro romanzi può essere considerato indubbiamente datato e
obsoleto. Dire che piacciono i Goncourt può provocare sgomento e stupore.
Il loro stile contradittorio è sempre in bilico tra realismo e preziosità.
Ciò nonstante la critica non li ha del tutto abbandonati anzi, continuano
a fiorire edizioni critiche dei loro romanzi e del loro Journal che
comunque è considerato ad oggi un capolavoro: uno spaccato di realtà e
di vita letteraria che ricopre quasi l’arco di mezzo secolo.
Ma non basta, sono in molti a disprezzarli. Eppure i Goncourt sono
onnipresenti in tutte le antologie letterarie e, in quanto co-fondatori
del naturalismo, mantengono, nonostante il dissapore diffuso nei loro
confronti, un posto di riguardo nella storia della letteratura francese.
Come sostiene Jean-Louis Cabanes a proposito del monumentale studio di
Robert Ricatte sui due fratelli scrittori, benchè essi non siano
scomparsi dal nostro orizzonte letterario, proclamare che di leggere Madame
Gervaisais o Charles Demailly con piacere può suscitare un
lieve sorriso.
Esiste in realtà, una forte contraddizione di fondo nella critica recente
tra chi (una netta minoranza) sostiene i Goncourt nel loro processo
estetico e gli “accusatori”. Teniamo conto, innanzitutto, che ai loro
tempi (ricordiamo che il periodo in cui vengono pubblicati i loro romanzi
più importanti è il trentennio che va dal 1860 al 1890), la critica
nell’insieme era estremamente attenta ed entusiasta. Flaubert ad
esempio, riguardo Renée Mauperin del 1864, in una celebre lettera
dove li chiama col verseggiativo mes bichons (i miei cerbiattini),
esalta la novità e la bellezza del romanzo che ha appena letto d’un
fiato.
Lo stesso Zola, nella raccolta saggistica sugli scrittori del suo tempo Les
écrivains naturalistes vede i Gongourt come coloro che più di ogni
altro hanno saputo rinnovare il romanzo in un’epoca dove tutto sembrava
ormai detto. Secondo lui hanno dipinto l’uomo in modo nuovo tenendosi al
paesaggio e all’ambiente circondante. Per Zola hanno creato un mondo
nuovo e uno stile proprio. Li definisce romanzieri artisti, i pittori del
vero, gli stilisti eleganti, i più notevoli strumentisti nel gruppo dei
creatori del romanzo naturalista contemporaneo.
Di contro, sembra che i Goncourt disprezzino tutti, anche coloro chi li
ammirano. Compresi gli stessi Goncourt e Zola. Questo loro comportamento
eccessivamente misantropico, snob e misogino (“il genio è maschio”),
ha procurato loro non pochi nemici principalmente tra i posteri.
In effetti il nostro secolo non li ha risparmiati. È quindi interessante
notare come la critica si è seriamente interrogata sul valore letterario
dell’opera dei Goncourt e sul modo in cui interpretano il realismo.
Rimane comunque qualcuno che li stima. Gli studi di Enzo Caramaschi ad
esempio, dimostrano il ruolo particolare che i Goncourt danno
all’istantaneità. Il loro modo di percepire la realtà attraverso
l’osservazione diretta delle cose, degli ambienti e dei soggetti si
rispecchia in uno stile discutibile ma concreto. Ad esempio la costruzione
stessa dei loro romanzi, l’accostamento continuo di capitoli brevi
dimostra volutamente una mancanza di legame tra le varie parti. La loro
poetica tenta quindi, come dice Jean-Louis Cabanes di congiungere diversi
linguaggi dell’arte. Secondo lui l’arte dei Goncourt sembra
oltrepassare i limiti dell’arte stessa e della nozione stessa di
realismo. Inoltre il loro carattere sperimentale assicura un notevole
valore di documento. Cabanes lo vede come un vero lavoro di laboratorio
dove ogni dettaglio deriva da una fonte che si può riconoscere se si
cerca con pazienza. Presero note viventi e crearono romanzi che,
basati su documenti umani, hanno un forte impulso naturalista. Inoltre
Cabanes pare colpito dalla concretezza del loro naturalismo poiché i loro
romanzi sono veri e propri affreschi di costume. Quindi, malgrado il loro
atteggiamento snob e il loro odio per le masse, i loro romanzi sono
sociali, basati su metodi sociologici. Sono stati tra i primi ad
interessarsi alle classi povere, a queste creature che non
sembravano fatte per il romanzo. Per questo, secondo Maxime Immergluck, il
loro naturalismo equivale alla ricerca della la Verità.
Per altri si tratta di un “falso naturalismo”, come sottolinea
Marianne Bury in un articolo per Francofolies di qualche anno fa.
Il loro, per lei, è un “naturalismo a cui manca il naturale”. La loro
scrittura artista è troppo preziosa, vanitosa, impregnata da un amore per
il diciottesimo secolo che dà un’importanza estrema agli effetti di
stile. Vanno troppo lontano, sembra vogliano esprimere delle sensazioni
stilistiche troppo ricercate. Sono affetti di asianismo, una forma
di manierismo oscuro, che cerca l’effetto brillante senza dar importanza
all’idea. Uno stile carico di immagini e privo di senso utile ma
sovraccarico di un superfluo gioco intellettuale. La questione è per lei
di individuare come superare questa contraddizione che vi è tra realismo
e preziosità. E conclude dicendo che è un’espressione del reale deformata
dal loro temperamento artistico. Inoltre anche Auerbach nel suo celebre
saggio su Germinie Lacerteux mette in evidenza il fatto che il
popolo era soprattutto esotico. La loro attrazione per la bruttezza era,
secondo l’autore di Mimesis, un’“attrazione estetica per il
patologico”. Per ciò rientrano a pieno titolo nell’ambito della
letteratura decadente dove la sensazione ha un posto preponderante.
Ma c’è chi va oltre. Secondo L. Prajas, autore di un vero e proprio
libello che sembra abbia lo scopo di far scomparire i Goncourt
dall’orizzonte letterario, nessun’espressione umanistica, nessuna
filosofia è presente nella loro scrittura. Ciò che importa per loro, è
far vivere delle parole che approdano ad una preziosità ridicola che
tocca esclusivamente la loro sensibilità. Ha importanza solo la loro
opinione. Il resto non conta. Il loro è il realismo delle cose e non
degli uomini. Tratta gli uomini come cose divenendo puro spettacolo.
Se alcuni, quindi, evidenziano la loro delicatezza espressiva, il loro
lavoro basato su una forma di espressione ricercata, superando le regole
del genere e creandone altre, il loro stile pittorico e raffinato, altri
accusano una scrittura sovraccarica di manierismi, sofisticata e che
pretende parlare del popolo disprezzandolo.
Ma i Goncourt come la maggior parte degli scrittori del loro tempo sono
particolarmente ambigui, caratteristica che sta alla base di tutto il
naturalismo. Non si cerca il reale delle cose, ma a rendere la presenza
reale della sensazione che diventa più importante della causa stessa.
Ogni, artista, ogni espressione letteraria ha i suoi sostenitori e i suoi
oppositori. Ma il caso dei Goncourt rimane unico. Innanzitutto per
l’enorme contraddizione di fondo presente in tutta l’opera, e anche e,
in particolare per la loro attitudine eccessivamente aristocratica. La
loro arte è frutto di un malessere esistenziale profondo. Odiavano
profondamente il loro secolo, l’industrializzazione nascente,
rimpiangevano di non aver vissuto in una corte europea del diciannovesimo
secolo. Questo atteggiamento particolare che i due scrittori fratelli
hanno avuto per tutta la loro vita ha provocato questa contraddizione
parossistica che li colloca in una zona incerta del panorama letterario
francese.
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