Sommario anno X numero 11 - novembre 2001
ENRICO
FERMI E LA PILA ATOMICA -
pag. 15
2 - Professore a Roma, regista a Chicago
di Nicola
Pacilio
Siamo appena alla seconda parte di questa rubrica curata da Nicola
Pacilio e dedicata ad Enrico Fermi e la Pila Atomica. La rubrica impegnerà
l’autore e Controluce, a partire da ottobre 2001, in coincidenza con il
centenario della nascita (29 settembre 2001), via via per un intero anno
fino al 2 dicembre 2002 quando sarà commemorato il 60mo anniversario del
primo esperimento, con la pila atomica, della produzione di energia
nucleare.
Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della Scienza ed è
libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia (Roma) e negli
Stati Uniti (Università di California - Berkeley).
Nell’autunno del 1942, i due grandi ostacoli tra Fermi e la
costruzione della pila atomica, vale a dire (i) la disponibilità di
notevoli quantità di uranio e grafite e (ii) la loro qualità in termini
di assenza di impurità, sembravano essere superati. Via via che il
materiale arrivava, Fermi e il suo gruppo continuavano ad assemblarlo
secondo una geometria che tendeva alla pseudosfericità.
Il criterio di misura sperimentale per comprendere quanto mancava alla
massa critica, cioè alla massa necessaria per l’autosostentamento della
reazione a catena da parte dei neutroni, era il fattore di moltiplicazione
M, inteso come rapporto tra la quantità di neutroni prodotti e la quantità
di neutroni assorbiti. Il fattore M aveva da tempo oltrepassato il valore
0.5 : la tappa finale era quella di condurlo ad essere uguale a 1.0. La
lettura dei rapporti di attività settimanali del laboratorio di Chicago
riproduce con drammatica tensione la sorta di conteggio a rovescio
dell’intero esperimento che si stava avvicinando.
La
polivalenza di Orso Mario Corbino. Corbino,
colto e affascinante poliglotta, uomo di punta dell’ascendente industria
elettriva privata italiana, era stato ministro della Economia e della
Pubblica Istruzione. La sua caratteristica principale era la polivalenza:
i suoi impegni orbitavano tra carriera politica e investimenti, tra la
cura della nascente fisica italiana e la scoperta di talenti da
indirizzare sulle sue orme. Corbino aveva compreso a pieno le potenzialità
del giovane Fermi e fece di tutto per garantirgli un appoggio culturale e
una presenza sostanziale allo scopo di ben indirizzare la carriera del
promettente fisico romano. Ecco una cronaca del primo incontro di Fermi
con Corbino nelle parole stesso di Enrico: “Conobbi il senatore Corbino,
appena tornato a Roma dopo la laurea. Avevo 20 anni e lui 46. Mi presentai
a lui con notevole timore reverenziale, che svanì dopo appena qualche
minuto di conversazione cordiale e interessante in cui Corbino scelse di
farmi unicamente domande relative ai miei studi e alle mie aspirazioni. Da
allora in poi, parlavamo, sia pure brevemente, tutti i giorni. Era
affabile, intelligente e arguto, affermava verità spiacevoli senza mai
offendere, in totale sincerità. E’ stato il vero padre putativo
scientifico di tutta la mia carriera di fisico”.
Borse di studio per università tedesche e olandesi. Fermi
ottenne infatti dal Ministero della Pubblica Istruzione una borsa di
studio per perfezionarsi all’estero. Dal gennaio all’ agosto 1923,
Fermi fu inviato a Gottinga presso la scuola di Max Born, premio Nobel per
la fisica nel 1954. La fisica
a Gottinga era allora al massimo del suo splendore. Born insegnava fisica
teorica, James Franck fisica sperimentale, alcuni brillanti studenti e
laureandi rispondevano ai nomi di Werner Heisenberg e Pascual Jordan.
Anche se abbastanza a suo agio con la lingua tedesca, Fermi non riuscì ad
ambientarsi con l’ambiente universitario tedesco e ne ha sempre
conservato un ricordo tra l’amaro e il nostalgico: come se si trattasse
di un’opportunità che non era stato in grado di amministrare nel pieno
delle sue offerte. La verità è che Fermi non possedeva ancora quella
fiducia in se stesso che è indispensabile nel lavoro creativo di un
fisico.
Le cose andarono molto meglio l’anno seguente, quando tra il settembre e
il dicembre del 1924 Fermi studiò con Paul Ehrenfest, fisico teorico,
presso l’università di Leida in Olanda. Ecco come Fermi descrive la sua
esperienza olandese in una lettera a Enrico Persico: “L’ambiente che
ho trovato qui a Leida è molto simpatico e piacevole. Ho conosciuto
Albert Einstein, che è venuto qui per una ventina di giorni, con un
cappello a tesa larga per darsi le arie di genio non compreso; Paul
Ehrenfest, che non sfigurerebbe in un negozio di abiti usati in ghetto;
Hendrik Lorentz, che una caratteristica di occhi di fuoco, benché
azzurri”. Sono, come si legge, impressioni assai spontanee ma semplici,
più adatte a un ragazzo che ad un adulto, che confermano in Fermi un
ruolo ancora da spettatore e non da protagonista. Malgrado la precocità
dell’intelligenza, la figura di Fermi come leader si verrà
formando in una sorta di germinazione ritardata.
Un grande numero di pubblicazioni, assistenze e
incarichi a cattedre. Tornato
da Leida, Fermi, che non aveva mai smesso di scrivere articoli e resoconti
dei suoi studi sia teorici sia sperimentali, intensificò la sua attività
di pubblicista scientifico perchè ormai aveva capito che quella
costituiva la condizione necessaria, anche se non sufficiente,
per pervenire al conseguimento della libera docenza e, in un secondo
tempo, all’assegnazione di una cattedra universitaria. Intanto erano a
disposizione i posti di assistente, modestissimi da un punto di vista
della retribuzione, ma che concedevano rimarchevoli libertà di studio e
ricerca. In tal senso, Rasetti e, in un secondo tempo, Fermi andarono a
Firenze mentre Persico rimaneva a Roma. Alla fine del 1926, Fermi vinse il
concorso a cattedra di fisica teorica a Roma mentre Persico, secondo nel
medesimo concorso, vinse la medesima cattedra a Firenze. Nella nuova sede,
Fermi professore all’età di 25 anni, pur continuando le sue ricerche,
iniziò una nuova carriera di maestro (lui la chiamava una missione da
“pedagogo”, definizione che è rimasta anche nei decenni seguenti) con
la ferma intenzione di creare una scuola di Fisica, con il pieno appoggio
di Corbino e di Rasetti che lo aveva seguito da Firenze a Roma. Si formò
così a partire dal 1926 e per una dozzina d’anni a seguire, presso
l’Istituto di via Panisperna 89, un primo gruppo di allievi: i teorici
Ugo Fano, Bruno Ferretti, Giovanni Gentile jr., Ettore Majorana, Leo
Picherle, Giulio Racah, Gian Carlo Wick e gli sperimentali Mario Ageno,
Edoardo Amaldi, Eugenio Fubini, Bruno Pontecorvo, Emilio Segré.
Professore a Roma. Fermi era un maestro nato e l’insegnare era per lui
una seconda natura. Oltre ai corsi regolari che teneva dalla cattedra,
egli dedicava gran tempo a una forma di insegnamento tutta sua,
strettamente legata al suo lavoro di ricerca. Essa consisteva nel
raccogliere intorno a un tavolo quattro o cinque dei suoi allievi e
risolvere, in loro presenza, un problema, pensando per così dire ad alta
voce. Spesso tali problemi erano proprio quelli che gli si erano
presentati nel corso della ricerca e nulla era più istruttivo per i suoi
allievi che assistere ammirati al procedimento con cui una mente così
singolare si muoveva ai confini tra il noto e l’ignoto. Gli allievi
erano quasi suoi coetanei o di poco più giovani: una delle più
ammirevoli manifestazioni della singolare personalità di Fermi era
l’atmosfera di scherzosa confidenza, e in pari tempo di altissimo
rispetto per il meastro, che si formava spontaneamente nel gruppo.
Testi universitari in italiano. Fino
al 1928, non esistevano testi di fisica moderna in lingua italiana per
studenti universitari di livello avanzato. Il libro dal quale una intera
generazione aveva appreso le nozioni fondamentali era lo Atombau und
Spektralinien di Arnold Sommerfeld in lingua tedesca: un testo troppo
lungo e pieno di dettagli per servire da introduzione alla materia. Fermi
decise di scrivere di suo pugno una Introduzione alla Fisica Atomica che
fu subito pubblicato dall’editore Zanichelli nel 1928.
L’attività di ricerca di Fermi e dei suoi gruppi. L’intera
carriera di Enrico Fermi, sia come teorico sia come leader di
gruppi sperimentali, può essere suddivisa in tre periodi, come riporta
con grande cura Edoardo Amaldi (voce dedicata a Enrico Fermi in Scienziati
e tecnologi contemporanei, Mondadori 1974) Il primo periodo
(1921-1933) riguarda relatività, elettrodinamica, fisica atomica,
molecolare e di stato solido. Il più importante è quello relativo agli
studi di meccanica statistica: Fermi scoprì che tutte le particelle di spin
fratto (elettrone, protone, neutrone, e così via) obbediscono a una
statistica esclusiva denominata statistica di Fermi-Dirac, mentre
le particelle di spin intero (fotone, mesoni e così via)
obbediscono all’altra statistica quantica che prende il nome di statistica
di Bose-Einstein. Il secondo periodo (1933-1949) riguarda la teoria
delle interazioni deboli e la fisica nucleare e le sue applicazioni. Anche
se il primo settore è quello della massima creatività di Fermi, è
soltanto il secondo che gli ha fruttato fama, onori (il premio Nobel nel
1938), il trasferimento negli USA, il sostanziale salto dalla casalinga little
science di via Panisperna alla internazionale big science dell’Istituto
di Studi Nucleari di Chicago intitolato da allora al suo nome. Il terzo
periodo (1949-1954) copre lo studio delle proprietà dei mesoni p
denominati anche pioni. Questo periodo è inaugurato dall’entrata
in funzione del ciclotrone da 450 MeV dell’Università di Chicago,
costruito da Herbert L. Anderson, allievo e collega di Fermi sin dai tempi
del suo arrivo negli USA, nel gennaio 1939.
Così,
nell’ottobre 1942, si cominciò la costruzione della pila vera e
propria, sotto la direzione di Walter Zinn e Herbert Anderson e la
sovraintendenza di Enrico Fermi. Secondo il progetto, la pila avrebbe
avuto la forma di un ellissoide di rotazione con un asse polare di 309 cm
e un asse equatoriale di 388 cm. Il grosso dell’uranio doveva essere
posto nella regione centrale per meglio utilizzare l’alta popolazione
neutronica in quella sede. Per ottenere il massimo rendimento della
reazione a catena, l’uranio puro doveva essere vicino al centro disposto
secondo una strategia molto accurata che massimizzasse il fattore M. Il 16
novembre Anderson e Zinn cominciarono ad accumulare uranio e grafite in
base a un piano generale, ma senza i disegni costruttivi di dettaglio. Più
che un esperimento di fisica, l’approccio sembrava quello di una jam
session di musica jazz, in cui è noto, in linea di massima, il tema ma
sono del tutto impreviste le variazioni sul tema. Che cosa volevate
aspettarvi da una città come Chicago che è stata una delle capitali
della musica nera d’America?
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