Sommario anno X numero 12 - dicembre 2001
CINEMA
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pag. 28
Santa
Maradona di: Marco Ponti
di
Domenico
Di Pietrantonio
Perfettamente
calato nella parte del trentenne di oggi, Stefano Accorsi interpreta
Andrea, un neolaureato in lettere alla continua ricerca di lavoro a
Torino.
La sua vita è un ciclico ripetersi di interminabili sfide
(infantili?) con il suo compagno d’appartamento (partite di pelota
dentro casa e scommesse su chi trova le notizie più bizzarre dal mondo),
intervallate da umilianti colloqui di lavoro con crudeli selezionatori.
I due vivono una disordinata e bizzarra vita fatta di espedienti,
barcamenandosi tra furtarelli e guadagni disonesti, e stando sempre
attenti al minaccioso padrone di casa. Ad interrompere questa vivace
routine, l’incontro di Andrea con l’affascinante Dolores (una sensuale
Anita Caprioli).
Malgrado la trama non brilli per originalità, il film è frizzante e
ricco di continue trovate, a conferma della vitalità di un certo cinema
italiano emergente. Nel corso della vicenda si pesca a piene mani dalla
cultura pop contemporanea, che certo renderà felici soprattutto gli
estimatori di calcio e cinema. La regia si contraddistingue per il taglio
decisamente fumettistico e per numerosi funambolismi di sapore
sperimentale.
Il titolo è preso di peso da una canzone dei Mano Negra (il vecchio
gruppo di Manu Chao) di qualche anno fa, ed il riferimento a Maradona è
sottile ed azzeccato: è un campione ricordato sia per i suoi gesti di
pura classe che per le sue altrettanto memorabili astuzie e gherminelle.
All’interno di questi due estremi c’è tutta la persona, un po’ come
i personaggi di questo film.
Unico appunto: sembra che quello dei trentenni che non si vogliono
assumere responsabilità sia un filone d’oro del cinema italiano, a
rischio di diventare uno stereotipo.
Viaggio
a Kandahar di: Mohsen Makhmalbaf
di
Domenico
Di Pietrantonio
Siamo
alla fine del 2000, i Taliban sono ormai al potere in Afghanistan dopo un
ventennio di conflitti, cominciati con l’invasione sovietica, che hanno
trasformato questa terra poverissima in un lugubre scenario in cui i più
giovani non hanno mai conosciuto un modo di vivere diverso da quello dello
stato di guerra.
Nafas, una giornalista canadese originaria dell’Afghanistan, avendo
ricevuto un’accorata lettera della sorella che ancora vi risiede, nella
città di Kandahar, decide di andarla a cercare per dissuaderla dai suoi
propositi di suicidio.
Il viaggio del titolo, è facile intuirlo, non sarà come quello dei film
di azione e avventura. Depurato da ogni elemento di esotismo, l’ambiente
in cui i personaggi si muovono è sempre spoglio e brullo, la gente sempre
sofferente. Le tappe scandiscono i passaggi di un continuo calvario,
attraverso il quale lo spettatore e la protagonista sperimentano le
ingiustizie e le brutture della povertà e del regime fondamentalista.
Le
donne vivono eternamente segregate sotto il burqa,
l’opprimente velo che ha una sola feritoia all’altezza degli occhi
e sono vincolate ad un rigido codice di comportamento. Buona parte della
popolazione è in stato di indigenza, fatica a sfamarsi ed in più a dover
lottare quotidianamente con le malattie e la mortalità infantile, vive
sotto la costante minaccia delle mine antiuomo.
Questa realtà fa da ambiente al viaggio della protagonista, che incontrerà
bizzarri compagni di strada. Ciascuno di loro può essere
“un’opportunità o una minaccia” come dice uno dei personaggi nel
corso del film. Nemmeno lei saprà distinguere le intenzioni degli altri
fino in fondo, in un mondo in cui si vive di espedienti pur di riuscire a
vedere ancora il domani.
Nella missione che si è autoimposta la protagonista e nella quotidiana
lotta per la vita degli afgani è chiaramente leggibile l’esortazione ad
andare aventi nella vita, qualsiasi siano le condizioni e le avversità
che si presentano.
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anno X numero 12 - dicembre 2001
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