Sommario anno XI numero 1 - gennaio 2002
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Le nostre radici tra
passato e presente
Extra-comunitari
lo siamo un po’ anche noi
(Nunzio
Gambuti). Via Filippo Maria
Guidi N. 60. È là che sono nato. E mentre un brivido di emozione mi
corre sulla pelle, rivedo nella mente quel portone un po’ malandato e
quella finestra dai vetri rotti. Intorno è quasi silenzio, eppure mi
sembra di sentire quelle stesse voci di allora, di quelle facce contadine
segnate dalla fatica e dal sole, quel rumore di piatti di un giorno di
festa, e quel tale che, puntualmente, ogni giorno, alle due del
pomeriggio, rientrava a casa per il pranzo: perché quella era l’ora in
cui, di solito, pranzavano i “signori“.
Non è rimasto quasi più nessuno ad abitare là, perché tutto quello che
allora ci sembrava tanto, oggi non ci basta più. Molte cose sono
cambiate, e non soltanto le cose, anche noi con loro, con le nostre facce
che non sono più uguali; e così quel portone continua ad essere sempre
più malandato e quella finestra non ha quasi più vetri. A volte mi
chiedo se, tornando, qualcuno possa ricordarsi di me, magari siamo stati
compagni di giochi, se non compagni di scuola. Ma sono certo che, anche se
le nostre facce non ci permettono di ricordare immediatamente, è
sufficiente un saluto di cortesia e quattro chiacchiere per regalarci,
dapprima un’emozione, e poi un abbraccio. Questa città, oggi, mi sembra
ancora più bella, e tra quelle cupole e tetti, spettacolo unico e senza
uguali, i miei pensieri prendono a correre, e poi a nascondersi e di nuovo
a rincorrersi, quasi volessero giocare, come facevamo da ragazzi, tanti
anni fa, nel buio delle sere d’estate, con le stelle sopra di noi e le
lucciole intorno. Inconsapevolmente, mentre le mie dita prendono a giocare
con la mia cravatta griffata, ancora una volta mi ritornano davanti quelle
mani di carta vetrata e quei pantaloni bucati, quando non il vivere ma il
sopravvivere era già tanto difficile in quella miseria così ricca di
umanità. Certo che tu, ragazzo mio, che te ne stai lì ad ascoltarmi
quasi con noia, non puoi capire questa realtà che non ti appartiene. È
vero che nessuno può obbligarci a sentire quello che non abbiamo voglia
di ascoltare, come è altrettanto vero che le emozioni si vivono e non si
raccontano. Ed è proprio in questo contrasto di intendere le cose, che
spesso si contrappongono, tra di noi, le mie paure di ieri e le tue
certezze di oggi. Eppure proprio là, in quella via dove il tempo sembrava
che si fosse fermato, e le giornate quasi sempre uguali aspettavano un
domani diverso che non arrivava mai, sono nate, come germogli di grano, le
prime speranze di quell’avvenire ormai per me dietro le spalle e quel
futuro che tu hai davanti. Come potrei dimenticare quel treno che in un
giorno di fine autunno, con i finestrini bagnati di pioggia, mi portava
lontano da quel mondo dove soltanto le cose che soffrono erano considerate
dagli uomini vicine, dove la storia non era storia, il tempo non era tempo
e la speranza era soltanto un’abitudine, e poi ritrovarmi in un mondo
tanto diverso dal mio, così lontano e così diverso che mi sembrava quasi
di aver attraversato l’universo.
Per quell’occasione avevo indossato il mio abito migliore, fatto di
sogni ed illusioni, mentre cercavo di immaginare cosa sarebbe accaduto
domani. A te sembrerà poco, ma in un sogno puoi trovare la forza per non
cadere e per non arrenderti o per rialzarti quando cadi. In questa società
che cammina così veloce, che quasi non è capace di lasciare traccia, gli
uomini che non hanno più sogni hanno già smesso di vivere. Sono
diventati anche loro uomini senza tempo, che non hanno passato, non hanno
presente, non hanno futuro, mentre chi cammina con la propria storia non
è mai solo, se forte è dentro di te la voglia di esistere. Tu non hai
camminato e corso per strade fatte di sassi e polvere, aerei e wagon-lit
ti hanno fatto conoscere paesi lontani, per questo tutto ti appare
semplice e normale. È stato per te come trovarti in cima ad un monte
senza averlo scalato, ma per arrivare in cima ci vuole fatica, ed a volte
non sempre ci si arriva. Ogniqualvolta parliamo di un fiume, sappiamo
sempre dove nasce, qual’è il suo cammino e in quale mare finirà la sua
corsa. Come vedi un po’ ci somigliamo, perché ognuno si porta dietro la
storia della propria esistenza. Eppure vedrai che un giorno, quando la tua
età sarà meno giovane, anche tu avrai nostalgia di quel prato di
periferia, dove avrai lasciato mille ricordi e che molto probabilmente non
ci sarà più. E quel prato e quella via saranno per te e per me, come lo
è stato per William Archer il suo paese: la prima cosa che ricordo e
l’ultima che potrei scordare.
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