Sommario anno XI numero 2 - febbraio 2002
SOCIETÀ
E ATTUALITÀ -
pag. 16
Scuola e squole
Per una cultura scolastica che
insegni a sapere
(Renato Vernini) - La cronaca dell’ultimo trimestre si è
ampiamente occupata del dibattito che si sta animando intorno all’ennesima
riforma del sistema scolastico partorito da un Ministro della Repubblica.
Ancora una volta l’amore della polemica, però, sembra condurre lontano
dai contenuti più profondi del problema. I due schieramenti, politici e
culturali, si stanno dividendo su temi quali il legame tra la scuola e l’impresa
e il rapporto tra scuola pubblica e privata. I due nodi, però, sembrano
più che altro legati a contingenti interessi di bottega e non toccano il
centro del problema.
Il primo punto, quello del collegamento tra scuola e impresa sembra essere
un falso problema: in Germania il sistema scolastico prevede da tempo, per
le scuole professionali, un percorso di formazione direttamente "in
ditta" e spesso, come è ovvio, questo percorso si trasforma in
concrete opportunità di lavoro. La sinistra tedesca non ha mosso critiche
radicali a questo istituto, il quale, comunque, permette una contiguità
tra mondo della formazione e quello dell’impiego che è nell’interesse
dei ragazzi, soprattutto offre una chance proprio a quelli
socialmente meno tutelati. Altra cosa sarebbe se l’impresa dettasse i
ritmi ed i temi della formazione scolastica finalizzando la stessa all’interesse
d’impresa o ad una visione "produttivista" della formazione.
Anche discutere di scuola pubblica e privata sembra essere un otium gratuito.
Naturalmente in una società pluralista la coesistenza tra scuola pubblica
e privata è un dato di fatto più che una opzione. Piuttosto il vero
problema è rappresentato dai finanziamenti alla scuola privata ed alla
qualità della stessa. Riguardo al problema delle eventuali sovvenzioni
statali ai privati le opzioni intellettualmente oneste sembrano essere
soltanto due:
a) la scuola privata non viene per nulla sovvenzionata dal contribuente e
ciascun cittadino che decida di avvalersene paga di tasca sua;
b) la scuola privata è finanziata dal contribuente che può scegliere di
avvalersene a parità di costi rispetto alla scuola pubblica.
Eventuali terze opzioni o alternative mediate non dovrebbero essere
previste in quanto discriminerebbero ulteriormente per censo i cittadini e
le possibilità loro offerte di accedere al medesimo livello di
istruzione. La prima ipotesi presenta il vantaggio di evitare che la
scuola privata possa gravare su chi non è interessato alla sua stessa
esistenza, la sua negatività consiste nel fatto che chi volesse
avvalersene senza averne i mezzi si troverebbe evidentemente in
difficoltà. La seconda opzione ha il vantaggio di garantire una effettiva
libertà di scelta, lo svantaggio di ricadere sul contribuente anche
quando questo non fosse personalmente od oggettivamente interessato ad una
scuola diversa da quella statale.
Tuttavia, qui ci avviciniamo al centro del problema, sebbene la scuola
privata sia un dato di fatto ed ogni cittadino abbia il diritto di
scegliere l’impostazione culturale ed anche confessionale che ritenga
più consona alla propria formazione, riteniamo che debbano essere posti
dei paletti alla stessa esistenza di un sistema di istruzione misto. In
particolare debbono essere garantiti alcuni parametri:
a) La parità qualitativa tra scuola pubblica e privata;
b) L’omogeneità dei programmi;
c) Il controllo centrale sulla qualità della scuola privata e lo
svolgimento dei programmi;
d) La possibilità per tutti i cittadini di accedere al medesimo livello
di istruzione senza discriminazioni culturali e sociali.
Fermi restando questi elementi di buon senso il centro del problema si
sposta intorno alla funzione del sapere ed ai contenuti stessi della
conoscenza.
È proprio su questi punti, però, che dovrebbero centrarsi le riflessioni
più critiche ed approfondite. In termini moderni possiamo chiederci: su
quali parametri viene verificata la qualità del sistema scolastico? Quali
programmi proporre ad insegnanti e studenti? Come formare gli insegnanti?
Quale deve essere il livello minimo di istruzione garantito ed omogeneo
per ogni cittadino?
"La cultura è tutto ciò che ci resta dopo che abbiamo
dimenticato le nozioni apprese". Questa definizione, formulata da
un intellettuale del quale, per coerenza con la citazione, ho dimenticato
il nome, può aiutarci ad affrontare alcune di queste problematiche. Oggi
in Italia l’alfabetizzazione è generale e diffusa. Occorre, certo, fare
molta attenzione alle sacche sociali nelle quali si annida la possibilità
di una rifiorente miseria culturale. Le comunità di immigrati e le
subperiferie urbane sono punti nei quali rischia di annidarsi il cancro
dell’analfabetismo e su questo pericolo il sistema scolastico pubblico
dovrebbe intervenire con forza. Diciamo però che generalmente il problema
dello scrivere e del far di conto è stato positivamente risolto anche
grazie alla grande diffusione dei mezzi di comunicazione di massa.
Sappiamo bene che il prezzo pagato ad una omogeneizzazione del sapere
guidato da televisione e giornali è stato un abbassamento del livello
medio e su quanto questo sia giusto potremmo discutere per decenni.
Tuttavia è un dato che il problema legato al grado di istruzione minimo
si sposta in avanti, non essendo necessario, oggi, sconfiggere l’analfabetismo
ma fornire nuovi e migliori strumenti culturali ai ragazzi in età
scolare.
Da una parte le nozioni elementari in possesso di un ragazzo che ha
frequentato la scuola fino a quattordici anni oggi sono inferiori ad un
suo ipotetico compagno di studi che abbia percorso lo stesso itinerario
cinquanta anni fa. D’altra parte chi avesse un tempo affrontato gli
studi curriculari per il periodo prescritto si trovava ad occupare una
situazione culturale e sociale stabile per gran parte della propria vita.
In sostanza: oggi è molto più facile laurearsi rispetto a mezzo secolo
fa, di contro la situazione di un laureato oggi è svantaggiata rispetto a
cinque decenni or sono, non solo dal punto di vista sociale, ma anche
culturale e professionale. Oggi la necessità di una formazione continua e
progressiva si manifesta con dirompente violenza proprio tra quelle
categorie professionali che un tempo sembravano maggiormente
cristallizzate nel loro "sapere per sempre". Una volta un
ingegnere era ingegnere per sempre ed un ragioniere era considerato un
buon partito dalle buone famiglie borghesi non solo perché la percentuale
di diplomati era molto inferiore ad oggi ma anche perché il suo sapere
era relativamente sufficiente ad una carriera professionale pluridecennale.
Oggi la continua evoluzione delle professioni richiede un continuo
aggiornamento ed una attenzione "culturale" costante se non
progressiva. Un ingegnere, laureatosi anche solo venti anni fa, oggi ha
meno di cinquanta anni, ma, qualora non si fosse aggiornato all’evoluzione
informatica, sarebbe estromesso inevitabilmente da tutti i processi
produttivi.
Questo evidenzia ancora maggiormente il bisogno dei giovani cittadini di
essere istruiti alla capacità di sapere, fondata su nozioni di
base assunte criticamente. Assumere questa capacità all’apprendimento, habitus,
direbbero gli scolastici, è altrettanto importante che assumere nozioni,
proprio perché la base di conoscenze che il sistema scolastico trasmette
è in continua evoluzione e trasformazione. Quello che imparerà un
ragazzo durante il curriculum di una scuola professionale non gli sarà
sufficiente a reggere il confronto con i suoi fratelli minori che
affronteranno la stessa carriera scolastica dopo pochi anni. Tuttavia è
necessario che i ragazzi apprendano queste stesse nozioni, ancorché volatili,
e su queste fondino il loro sapere futuro. Ci troviamo, oggi, in una
situazione simile a quella in cui si trovano i bambini che giocano con i lego:
la scuola deve fornire loro la materia (i pezzi delle costruzioni) e la
capacità di formare figure. Nessuno dei due elementi può essere
trascurato. Nel passato remoto, forse, il sistema scolastico era troppo
centrato sui pezzi della costruzione, in quello recentissimo troppo
attento all’abilità del costruire. Trovare il sano equilibrio tra
memoria e critica, tra nozioni apprese e capacità di apprendere, tra
apertura alla società e riconoscimento del valore intrinseco al sapere è
lo scopo che si dovrebbe prefiggere una sana riforma della scuola. Fallire
oggi potrebbe voler dire correre il rischio di trasformare la nostra
comunità nella fattoria degli animali di Orwell… sperando che a
qualcuno venga voglia di leggere il libro…
Mimmo Cardile, poeta
composito
(Carlo Marcantonio) - Nella
storia dei tempi sono stati molti i medici poeti, pittori e scrittori,
come Carlo Levi e Giuseppe Bonaviri, per citarne due vissuti nel secolo
scorso. Mimmo Cardile si inserisce tra i medici poeti, è un aulico nei
primi anni di militanza poetica, poi rafforza le sue interpretazioni. Una
quieta estasi o una fiduciosa gioia pervadono tutte le sue figure,
concrete o astratte, unificandole nel racconto e nel gioioso ritmo
compositivo. Le opere di Mimmo Cardile sono ricche di indagini, di
chiaroscuri e di modulazioni, di fervide immaginazioni e di riferimenti
eminentemente umani. Le sue poesie sono quadri culturali fatti di amore,
di gesti passionali, di "chiamate sociali"; discorsi con sé
stesso, con personaggi a lui cari. Questo non significa decadenza
romantica, il tutto va preso come amore vero per le persone e per i
soggetti che tratta e ogni lirica è degna di essere esaminata per
sezionare le relazioni che intercorrono tra fatto poetico e fatto sociale.
La scenografia della sua poesia è ricca di colore, di prospettive
accidentali in cui si intersecano passioni e tormenti, gioie esaltanti,
concetti d’amore ineluttabili, il tutto visto con dignità estetica e
col desiderio di penetrare nelle cose e nelle forme a lui care. La poesia
di Cardile conserva interiormente la nobiltà del suo pensiero di sano
uomo e poeta del sud.
Mostra
(Luca Marcantonio) -
Rimarrà aperta fino al 23 febbraio la mostra di rilievi e disegni di
edifici monumentali di Roma e provincia, eseguiti dall’architetto Cesare
Panepuccia. La raccolta consiste in una serie di disegni acquerellati,
raffiguranti antiche torri, castelli, palazzi, borghi, chiese ecc.,
patrimonio artistico di immenso valore della nostra provincia, in questo
modo reso visibile e comprensibile a tutti, essendo stato esplicitato il
loro carico di intrecci fra tecnica e cultura. L’architetto Panepuccia
ha così ottenuto il duplice scopo sia di mostrare la propria abilità
nella realizzazione delle opere esposte sia di far conoscere ad una vasta
platea l’importanza degli edifici di cui è ricca la nostra provincia.
La mostra, ospitata presso Palazzo Valentini in Via IV Novembre a Roma, è
stata promossa dalla presidenza e dall’assessorato alla cultura e alle
politiche giovanili dell’amministrazione provinciale. L’iniziativa è
stata patrocinata dall’Ordine degli Architetti e dall’Associazione
Zonta Club Roma 2. Ingresso libero, con orario 10,00 – 18,00 dal lunedì
al venerdì, e 9,00 – 13,00 il sabato.
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