Pedagogia dell’errore
(Vincenzo Andraous) - Quel
giorno la professoressa di Italiano tentava di spiegarci che il destino
non è una mera fatalità, bensì siamo noi a tracciarne il senso.
Aveva ragione da vendere, ma io non volli acquistarne neppure un grammo,
tant’è che le lanciai una matita, colpendola alle spalle.
"Chi è stato?". Il silenzio fu l’unica risposta. Venne il
Preside, minacciò la sospensione per tutti, se non fosse saltato fuori il
colpevole, ma il mutismo non consentì alcun dialogo, mentre io mi sentivo
fiero della mia bravata, e protetto dal silenzio dei compagni.
Ora so che fu un errore, scambiare quell’accadimento meschino per una
forma di solidarietà.
Lentamente ma inesorabilmente piombai nel baratro più oscuro, e uscirne
non è stato facile: mi è costato quasi trent’anni di carcere scontato,
e tutt’ora è un viaggio di ritorno lento e sottocarico.
Ho ricordato questo episodio adolescenziale, perché nella Comunità
"Casa del Giovane" dove seguo e accompagno giovanissimi e
minori, mi è capitato di assistere a qualcosa di terribilmente simile:
come una storia sovente ripetuta, senza che alcuno riesca a coglierne l’insegnamento.
Infatti, un minore ne ha combinata una delle sue, e i coetanei continuano
ad ammiccare, tacere, e, peggio, acconsentire. Scoperto il guaio e punito
giustamente il colpevole, gli amichetti "solidali" si rigano il
volto di lacrime. Anch’io sento il morso del dispiacere, ma sale alto
quell’episodio che mi ha visto protagonista tanti anni addietro.
Così schianto con le parole gli atteggiamenti ipocriti, anzi assai più
pericolosi.
È sottile, quasi invisibile, il confine che separa il sentimento della
solidarietà dall’omertà, ma quest’ultima non ha parentela con ciò
che nasce spontaneo verso l’altro, ciò che spinge e affianca chi è
affaticato, perché la solidarietà è un sentimento che nasce con forza,
con amore, con verità, per poi ritirarsi senza clamori. Invece l’omertà
è un mezzo per rendere sicura la prepotenza e la prevaricazione. L’omertà
è viltà, per coprire l’ignoranza.
Soprattutto, a differenza della solidarietà, è una subcultura che
consente di far pagare ad altri il prezzo della propria inutilità.
Altri giovani hanno condiviso la trasgressione con quel minore, ma
rimangono in silenzio, defilati, nella convinzione che l’importante è
"farla franca".
È questa loro non-consapevolezza a far riflettere.
Ecco che allora diventa prioritario, urgente, intervenire, perché non
rimangano seduti nell’ultima fila. Proprio in questa cecità ottusa
occorre imprimere il visto di entrata al cuore, e comprendere che è
certamente una sola la via da seguire, cioè quella del sentire il
richiamo della solidarietà vera, quel sentimento che ci induce a farci
avanti, a non nasconderci, per poter essere responsabili del bene di
ciascuno e di tutti, ammettendo gli errori e cercando di comprenderne il
peso.
Non so se oggi, come ieri, questi fraintendimenti dolorosi che assalgono i
giovani sono il risultato di una ingiustizia sociale, che moltiplica i
casi di emarginazione, di protesta e di disagio.
Però sono certo che non saranno le parole, i libri, a salvare chicchessia
dal proprio destino.
Educare significa non tirarsi indietro, ma avanzare con il bagaglio delle
proprie esperienze, come somma degli errori, per porsi a diga di ogni
facile conclusione: perché solo in questa direzione può esistere una
politica sociale degna di questo nome, che possa partorire giustizia.
Per addivenire a questa nuova cultura, occorre, ineludibile, una
condizione: il diritto alla vita e alla tutela di ogni minore passa
attraverso un’azione collettiva, dove nessuno può chiamarsi fuori.
Un’azione che è anche fatica, ma va affrontata giorno dopo giorno. |