8 - La fisica della fissione nucleare e il
prototipo del reattore nucleare
Siamo arrivati alla ottava parte di
questa rubrica curata da Nicola Pacilio e dedicata ad Enrico Fermi
e la Pila Atomica. La rubrica impegnerà l’autore e Controluce, a
partire da ottobre 2001, in coincidenza con il centenario della nascita
(29 settembre 2001), via via per un intero anno fino al 2 dicembre 2002
quando sarà commemorato il 60mo anniversario del primo esperimento, con
la pila atomica, della produzione di energia nucleare.
Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della Scienza ed è
libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia (Roma) e negli
Stati Uniti (Università di California - Berkeley).
Le magnifiche sorti e progressive della DuPont. Mentre
camminavamo attraverso il campus per riguadagnare l’ufficio dove il
resto del comitato di rassegna e controllo dell’esercito aspettava, l’attuale
presidente della DuPont cominciò a parlarmi dei suoi pensieri più
reconditi. Accennava a nuove sorgenti di energia per muovere le ruote
della macchina industriale, a nuove metodologie nella ricerca scientifica
e medica, a nuove possibilità di cui si era finora soltanto sognato. La
storia degli ultimi 10 anni è ben nota a tutti. Erano molti anni che non
tornavo in questo posto, al suolo in cemento segnato con il gesso bianco,
al montacarichi per far salire e scendere grafite e uranio, a questo sogno
diventato realtà. Provo un fortissimo senso di nostalgia."
ERM. Ora, lasciate che vi presenti Enrico Fermi. Se non fosse
sfuggito al regime fascista di Mussolini, il nemico avrebbe forse avuto la
bomba prima di noi.
I
frammenti di fissione producono energia sotto forma di calore. Fermi
e Bohr siedono nell’ultima fila di banchi di una classe della George
Washington University, discutendo animatamente, completamente ignari di
quanto stia succedendo nel resto dell’auditorium. Sono
consapevoli che sono state realizzate scoperte di assoluta rilevanza per
la fisica teorica e sperimentale: tuttavia non hanno ancora realizzato l’importanza
della fissione nucleare in un mondo in guerra. Il neutrone incidente
possiede una energia dell’ordine di 1 eV (elettron volt), i frammenti di
fissione trasportano una energia dell’ordine di 200 milioni di eV. Ha
avuto luogo una moltiplicazione di energia di proporzioni inaudite. Il
fenomeno fisico più importante è che questo rilascio si manifesta sotto
forma di energia cinetica dei frammenti : i prodotti di fissione, di
notevole massa e dotati di carica elettrica, perdono questa energia a
favore dell’ambiente immediatamente circostante sotto forma di calore.
Tuttavia, l’atomo ha dimensioni fisiche assai ridotte: l’energia
rilasciata dalla fissione di un singolo atomo può essere avvertita e
rivelata soltanto attraverso sensori di estrema sensibilità.
La fissione libera anche alcuni neutroni. Ma cosa accade se,
quando il nucleo di uranio si spezza in due frammenti, sono liberati anche
due o più neutroni? Ciascuno di loro è destinato a colpire altri due
nuclei e indurre altre fissioni: le quali nell’insieme producono quattro
o più neutroni e così via. Se, come Fermi e Bohr hanno ormai concepito,
la fissione produce anche neutroni, si rende realizzabile la costituzione
di una reazione a catena e il singolo neutrone gioca il ruolo del
fiammifero di innesco di una fornace atomica di una potenza senza
precedenti. Il 3 marzo 1939, il fisico ungherese Leo Szilard realizza un
esperimento alla Columbia University che conferma la previsione di Fermi,
secondo cui la fissione libera anche alcuni neutroni. La realizzazione
pratica dell’energia nucleare appare un passo ancora più vicina.
Tuttavia, esiste ancora un’altra difficoltà da sormontare e, nei primi
giorni del 1939, appare del tutto insuperabile. Nelle innumerevoli
discussioni è infatti chiaro che soltanto una ridottissima frazione dell’uranio
naturale possa essere fissionabile. Più del 99% dell’uranio naturale è
costituito dall’isotopo U-238 non fissionabile: soltanto
lo 0.7% risulta costituito dall’isotopo U-235 fissionabile.
Non è tutto. L’isotopo U-238 fagocita neutroni senza essere
fissionabile e quindi si pone come serio e sovrastante antagonista alla
reazione di fissione. La difficoltà potrebbe essere aggirata se esistesse
un metodo di separazione dei due isotopi U-238 e U-235: ma questa
separazione è un compito molto ingrato da risolvere.
E
rimane tale per un periodo di qualche anno. Sono infatti noti alcuni
processi di separazione dei due isotopi: ma in quantità assai ridotte e
per esigenze di laboratorio. Pensare di separare gli isotopi su scala
commerciale appare ai fisici un sogno irrealizzabile.
Albert Einstein: una lettera per FDR. 2 agosto 1939. "Signor
Presidente, la lettura di alcuni recenti lavori di Enrico Fermi e Leo
Szilard, comunicatimi sotto forma di manoscritto, mi induce a ritenere
che, tra breve, l’uranio possa dare origine a una nuova e importante
forma di energia. Alcuni aspetti del problema, prospettati in tali lavori,
dovrebbero consigliare all’Amministrazione la massima vigilanza e, se
necessario, un tempestivo intervento. Ritengo quindi mio dovere richiamare
la Sua attenzione su alcuni dati di fatto e suggerimenti. Negli ultimi
quattro mesi, grazie agli studi di Joliot in Francia e di Fermi e Szilard
in America, ha preso sempre più consistenza l’ipotesi che, utilizzando
una adeguata massa di uranio, vi si possa provocare una reazione nucleare
a catena, con enorme sviluppo di energia e formazione di un gran numero di
nuovi elementi simili al radio: non vi è dubbio che ciò si potrà
realizzare tra breve. In tal modo si potrebbe giungere alla costruzione di
bombe che - è da supporre - saranno di tipo nuovo ed estremamente
potenti. Uno solo di tali ordigni, trasportato via mare e fatto esplodere
in un porto, potrebbe distruggere l’intero porto e parte del territorio
circostante. L’impiego di queste armi potrebbe risultare ostacolato dal
loro eccessivo peso, che ne renderebbe impossibile il trasporto con aerei.
Negli Stati Uniti esistono soltanto modeste quantità di minerali a bassa
percentuale di uranio; minerali più ricchi si trovano in Canada e nella
ex Cecoslovacchia, benché i più cospicui giacimenti uraniferi siano nel
Congo belga. Alla luce delle precedenti considerazioni, Ella converrà con
me, signor Presidente, sulla opportunità di stabilire un collegamento
permanente tra il governo e il gruppo di fisici che, in America, lavorano
alla reazione a catena, collegamento che potrebbe essere facilitato dalla
nomina di un responsabile di Sua fiducia, autorizzato ad agire anche in
veste non ufficiale. A tale persona dovrebbero essere affidati, tra l’altro,
i seguenti compiti: (a) mantenersi in contatto con i Dipartimenti
interessati per tenerli al corrente di eventuali sviluppi e suggerire al
governo misure atte ad assicurare la fornitura di uranio; (b) accelerare
il lavoro di ricerca nel settore, attualmente svolto nei limiti di
bilancio dei laboratori universitari, sollecitando, all’occorrenza,
forme di finanziamento volontario da parte di privati disposti a
contribuire alla causa e assicurandosi altresì la cooperazione di
laboratori industriali dotati delle attrezzature necessarie. Mi si dice
che la Germania, subito dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, ha
posto l’embargo sull’uranio proveniente da questo paese. Il che non
stupisce, quando si pensi che il figlio del sottosegretario di Stato
tedesco, von Weizsaecker, è fisico di alta fama e membro del Kaiser
Wilhelm Institut di Berlino, dove sono attualmente in corso esperimenti
con uranio, analoghi a quelli svolti in America. Distintamente, Albert
Einstein". (Albert EINSTEIN, Opere scelte, a cura di Enrico
Bellone, Bollati Boringhieri 1988)
Una reazione a catena autosostenibile e molto rapida: una bomba.
Una reazione a catena, che si autosostiene e che rilascia una grande
quantità di energia in un tempo relativamente assai breve: sembra la
definizione operativa assai adeguata di una esplosione. E una bomba
atomica è una realizzazione possibile, fatto ovvio sia ai fisici tedeschi
sia ai fisici europei approdati di recente in territorio americano. E
altrettanto ovvio è agli occhi del corrispondente scientifico del New
York Times chiamato William Laurence. Il 24 febbraio 1940, Fermi e
Bohr si incontrano ancora al convegno annuale della American Physical
Society, svolto presso la Columbia University. Laurence documenta il
convegno per il Times: quando ascolta Fermi discutere le
potenzialità di una reazione a catena, ne coglie in pieno le implicazioni
belliche. "È vero o no - domanda a Fermi e Bohr - che una certa
quantità di U-235 (diciamo 1 Kg, per fare un esempio) può costituire una
bomba equivalente a migliaia di tonnellate di trinitrotoluolo
(denominazione tecnica della dinamite)?". Nel libro Men and Atoms ("Uomini
e Atomi") Laurence riporta la cauta risposta di Fermi: "Non
dobbiamo saltare a conclusioni facili e frettolose" in un tentativo
di scoraggiare la curiosità.
Il reattore nucleare non è una bomba: e viceversa. Il
mio nome è Enrico Fermi. Sono nato a Roma. Il 2 dicembre 1942, ho
interpretato la parte del regista: in altre parole, non sarei riuscito a
fare nulla senza l’aiuto e la collaborazione del resto dei ragazzi e
delle ragazze. Questa stanza mi appare oggi assai diversa da quella di 10
anni fa. In quel particolare giorno, ci eravamo raccolti sulla balconata
dove mi trovo ora. Malgrado qualche somiglianza tra il funzionamento di
una pila atomica e quello di una bomba atomica, esistono pochi esperimenti
o strumenti in fisica che si muovono tanto lentamente come la reazione che
ha avuto luogo in quella particolare macchina. Questa condizione era
desiderata e pianificata: non volevamo una esplosione e neppure la remota
possibilità di una esplosione. La reazione procedeva così lentamente che
gli osservatori riuscivano a malapena a distinguere i mutamenti avvenuti
sugli strumenti di controllo: soltanto grazie a opportuni calcoli è stato
possibile affermare che avevamo raggiunto lo stato di criticità della
reazione, in cui cioè questa ultima era in grado di autosostenersi.
Avevamo preso alcune precauzioni estreme: c’era una barra di controllo,
denominata zip ("chiusura lampo") manovrata da Walter Zinn.
Questa sarebbe stata inserita nel reattore, in caduta libera, guidata
dalla forza di gravità, qualora si fosse reso necessario. Dopo alcune ore
di avvicinamento progressivo al punto critico, lo abbiamo raggiunto: il
rilascio energetico ha allora cominciato ad aumentare. Se avessimo
mantenuto la reazione in quelle condizioni fino alle ore notturne, avrebbe
continuato a salire raggiungendo intensità elevatissime. Ma,
naturalmente, dopo un tempo ragionevole, abbiamo inserito le barre di
controllo e l’intensità si è subito affievolita. |