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Sommario anno XI numero 7 - luglio 2002

 I NOSTRI PAESI - pag. 06

castelli romani e montecompatri
Un po’ di storia
(seconda ed ultima parte - di Alberto Restivo)
Il Convento di San SilvestroSAN SILVESTRO

Il caldo e l’afa di quel mese di agosto del 19…. vennero però mitigati da un buon boccale di vino fresco, che accompagnò un’abbondante porzione di prosciutto e melone, il tutto servito ad un tavolo sotto il pergolato di una simpatica pensione (La pensione Villa) nei pressi della Piazza Garibaldi, da cui l’occhio poteva spaziare sulla vallata sottostante attraversata dalla nuova autostrada verso il sud. Ma quello che più mi colpì allora e che rimase impresso nelle mia mente e che lo riporta alla luce ancora oggi è il verde delle piante di castagno, folto ed ininterrotto lungo la salita verso Rocca Priora o verso il colle di San Silvestro dall’omonima chiesa e contiguo convento, vasto complesso architettonico in pietra scura, che sorge un po’ fuori del centro abitato a circa 670 metri di altitudine.
La leggenda vuole che qui si sia rifugiato San Silvestro Papa al riparo dalle persecuzioni e vi abbia costruito una piccola chiesa a breve distanza dall’attuale.
Da un anziano boscaiolo del posto, esperto ricercatore di funghi e accanito fumatore di sigaro, da me importunato con mille scuse mentre si godeva il fresco "appennicato" all’ombra di una fronzuta quercia nei pressi della chiesa e, dopo un approccio con mille cautele e con la promessa di una "foglietta" da bere insieme, intervistato pur con qualche difficoltà a causa del suo strettissimo accento monticiano, venni a conoscenza di altre notizie che registrai nella mia memoria.
Sullo stesso luogo, i Francescani, nel 1222, innalzarono, per il loro ricovero e le loro devozioni religiose, una modesta costruzione che fu poi abbandonata a causa di vari eventi. Successivamente, i Canonici del Laterano divennero proprietari del territorio costruendovi una piccola chiesa con un convento. Nel 1541, il territorio e la struttura monastica divennero di proprietà della Camera Apostolica che la elevò al rango di Abbazia.
Nel 1660, i Carmelitani, che avevano ricevuto in donazione il complesso, ricostruiscono la chiesa ampliandola e creando una nuova ala per il convento. La facciata della chiesa viene ultimata, realizzata in pietra sperone: essa si presenta al visitatore molto lineare, con due lesene sulle estremità, un frontone triangolare ed una finestra circolare al centro. Il portale di forma rettangolare è sormontato da tre stemmi: quello del cardinale Mattei vescovo della Diocesi tuscolana, quello di Papa Pio IX° e quello dei Carmelitani. Una sobria, inaspettata eleganza e luminosità caratterizzano invece l’interno della chiesa strutturato su una navata centrale e sulle cui pareti si aprono le cappelle comunicanti fra loro. Nell’abside, due colonne con capitelli corinzi sorreggono un frontone triangolare che fa da cornice a un dipinto raffigurante San Silvestro mentre somministra il battesimo all’Imperatore Costantino, opera del carmelitano Fra Luca de Nivelle, fiammingo. Altre opere dello stesso sono distribuite tra la chiesa e la sacrestia. Nel monastero si trova invece la pinacoteca dove sono raccolte alcune pregiate opere di pittori caravaggeschi.
La vicina chiesetta della Madonna del Castagno nacque nel 1605, per consentire ai fedeli di prestare libero omaggio a un dipinto rinascimentale su legno custodito fino ad allora all’interno del convento. Il quadro venne collocato su un antico ceppo di castagno attorno al quale fu edificata una cappella in legno, trasformata in muratura nel 1675, con la crescita dell’affluenza popolare. A questa immagine della Vergine fu attribuito il merito di aver liberato il paese da una epidemia di colera nel 1867. Scomparsa a seguito di un furto, nel 1919, è stata sostituita da una copia.
Ovviamente supportate ed integrate da ulteriori documenti e letture, le notizie, sia pure sommarie e condite con qualche parola di buon vernacolo monticiano, fornite con sincero entusiasmo dal modesto personaggio di "San Silvestro", mi convinsero dell’attaccamento di queste genti alla loro terra e del loro orgoglio nel diffondere i più riposti segreti della loro storia e del loro valore anche e soprattutto ai "discendenti" di quell’Urbe che si fregia ancora oggi del titolo di "Caput mundi".
Noi diremmo: "Ah morè, nun fa troppo er fanatico pure se vieni da Roma, perché pure noantri nel nostro piccolo ciavemo chiese, munumenti e gloriose tradizioni…!!!".
Questo il senso dell’entusiasmo di quel personaggio che è rimasto impresso nella memoria.
Piazza Manfredo Fanti (al Ghetto)BREVE VISITA AL CENTRO
Volli mantenere la promessa fatta al mio personaggio di bere con lui la "foglietta" e scendemmo dal colle verso la piazza Garibaldi e, piano piano, ci trovammo di fronte al Palazzo Baronale detto del Tinello, oggi sede dell’Amministrazione Comunale, costruito nei primi del secolo XVII° dal Cardinale Scipione Borghese.
L’accompagnatore, rimasto anonimo, da buon patriota mi indicò sulla parete del palazzo il Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1920: mi fece capire che anch’egli aveva partecipato alla guerra e che aveva avuto un bel c…olpo di fortuna ad essere tornato a casa.
Proseguimmo sul Corso Placido Martini ove si affacciano nobili palazzi e modeste costruzioni, nonché gli ingressi di numerosi tinelli e fresche cantine, costruzioni in buona parte di epoca medioevale. Nelle cantine e tinelli, tutto un dedalo di grotte scavate nel terreno tufaceo in epoche diverse per la conservazione del vino; e qui la sosta è stata obbligatoria… anche per riposare le stanche membra mie e quelle del bucolico personaggio che mi ha fatto finora da accompagnatore: la promessa fatta era stata mantenuta, salutai l’amico e proseguii il cammino, sicuro di altri incontri. Mi risuonava ancora nell’orecchio l’avvertimento del cicerone: "Giovenò, statte attento alle femmine de lu paese chè li maschi so’ gelosi". Forse, perchè si era accorto del mio sguardo interessato e speranzoso rivolto ad un gruppetto di ragazze che sembravano più interessate alla merce esposta sulle bancarelle lungo la strada che ad un mio tentativo di galanteria. Proseguii portando il mio sfortunato romanticismo di giovane turista fino in Piazza Manfredo Fanti, detta anche la Piazzetta, nel cuore della parte più antica della città. Più avanti in Piazza della Repubblica (già Piazza Regina Margherita) si apre il belvedere, la cui ringhiera protegge lo sguardo che spazia su tutta la vallata; al centro della piazza una fontana con una vasca rotonda recante al centro una tazza di piccole dimensioni.
Il "Belvedere"VERSO IL DUOMO
Lo sguardo, pur compiacendosi del bel panorama offerto dal belvedere, continuava a cercare il piccolo gruppo di ragazze che intravidi finalmente all’inizio di Viale Cabrini, nei pressi del vecchio palazzo baronale o Altemps, nel tempo modificato e ampliato e sul fondo una delle pareti del Duomo, il cui ingresso si raggiunge attraverso la porta dell’antico borgo.
Sul lato del portale si eleva la torre campanaria della chiesa, già torre di guardia dell’antico castello; infatti, in origine, la chiesa era inclusa nell’antico borgo fortificato ed era dedicata a Santa Brigida. Tra il 1630 e il 1633 il cardinale Scipione Borghese procedette ad un radicale rifacimento delle strutture della chiesa e così ricostruita la dedicò a S. Maria Assunta in Cielo.
Ricordo che era quasi Ferragosto, in paese fervevano i preparativi per le celebrazioni dell’Assunta e le ragazze erano entrate nel Duomo: le seguii…, ma fui distratto dalla singolare bellezza dell’interno della chiesa a tre navate, una centrale e due, più corte, laterali, con la cupola che sovrasta il transetto.
Poderose, ma eleganti nelle loro linee architettoniche le strutture portanti in pietra sperone, pilastri con lesene sostengono un architrave dal quale sporge una spessa cornice e si impostano gli archi che immettono nelle navate laterali. Le pareti del Duomo sono ad intonaco tinteggiato in bianco avorio.
Mancano però gli affreschi che troviamo abbondanti nelle chiese di Roma e che danno luminosità agli interni, ma qui numerosi sono i dipinti devozionali di ottima mano che decorano gli altari, ove spiccano per la loro bellezza "La morte di San Francesco" attribuito a Domenico Cresti il Passignano e una "Madonna con Bambino e Santi" attribuita a Francesco Vanni ed una tela di scuola veneta del XVI° secolo rappresentante i Santi Antonio Abate, Rocco e Sebastiano. Ampi finestroni laterali inondano di luce il transetto e la navata centrale mettendo in risalto le tinte chiare che conferiscono particolare eleganza e semplicità all’interno.
...E le ragazze…?? Le avevo perdute definitivamente di vista, ma ormai desideroso di recuperare il contatto, continuai la ricerca nel clima di ferragosto in mezzo ai venditori ambulanti che mi offrivano dolci, caramelle e quant’altro.
ALCUNE FESTE TRADIZIONALI
Con grande concorso di popolo e di visitatori viene celebrata la festa di San Antonio Abate, la prima domenica dopo il 17 gennaio, giorno della ricorrenza.
Preparati carri allegorici con riferimento al Santo, viene portato in processione il quadro con la sua immagine che viene custodito poi per tutto l’anno da un privato diverso ogni anno. Anche allora bancarelle e finale della festa con spettacolo pirotecnico. Particolare attenzione viene dedicata dai monticiani alla Festa patronale di San Giuseppe, quando per tre giorni viene tenuta l’annuale fiera.
Purtroppo, il gruppo di ragazze che avevo tentato invano di rintracciare in mezzo alla folla, non si era dileguato ma aveva definitivamente fraternizzato con un altro gruppo di visitatori, provenienti dai Campi di Annibale…non mi rimaneva altro che andare in pellegrinaggio alla Madonna del Tufo per chiederLe di farmi svegliare un po’…!!!
LE ORIGINI DI MONTECOMPATRI
Avremmo voluto tralasciare di proposito l’enunciazione delle origini di Monte Compatri peraltro riportate in numerosi testi e guide turistiche, ma ci è sembrato di fare un torto agli abitanti e perciò anche se in breve ricordiamo come spesso troviamo scritto il nome di questa cittadina tutto di seguito come fosse una parola sola, mentre le origini etimologiche dei termini di cui è composta porterebbe ad enunciarla come Monte Compatri.
Il nome del Comune è dovuto probabilmente al monte che sovrastava un incrocio di strade, in latino "compitum"; un’altra ipotesi lo fa derivare invece dal tardo latino "compater" cioè amico, e infine da "patres" senatori (mons cum patruum) ipotesi quest’ultima scartata.
Tuttavia, poiché nel medioevo si assiste alla nascita di gruppi di gente che si riuniscono per necessità di difesa e di assistenza, è pensabile che in origine il termine sia stato di confratres e poiché abitavano un monte, mons confratruum (monte di confratelli) che poi per ragioni fonetiche diviene compatruum.
Pur tenendo nella dovuta considerazione le varie ipotesi, possiamo dire che per univoca interpretazione degli studiosi di storia ed archeologia, Monte Compatri corrisponde al sito dell’antica Labicum punto di arrivo della via Labicana: secondo la leggenda, in tempi remoti, profughi cretesi, guidati da un figlio di Minosse, Glauco, si sarebbero insediati sul monte. Questi primi abitanti, che erano soliti portare degli scudi dipinti, furono chiamati dagli storici antichi, "Labici". Le legioni romane distruggono Labico nel 418 a.C.: gli abitanti vanno in parte esuli nella pianura e in parte deportati a Roma sul Monte Celio.
Labico fu però riedificata alla stazione di posta detta "Ad Quintas" (Labico Quintanense) ad opera di coloni romani e di superstiti dell’antica città.
Distrutta durante la guerra sciale, risorse con il Cristianesimo divenendo sede di una delle sei diocesi suburbane ove il vescovo risiedeva alternandosi con il Laterano. Alla fine del IX° secolo, l’abitato fu raso al suolo dai Saraceni ed i superstiti preferirono tornare al monte e dare vita ad un villaggio più protetto costruito utilizzando le pietre della città distrutta. Sorse così il nuovo nucleo fortificato in Castello che ebbe il nome di Castrum Montis Compatris, dove il Signore è Agapito dei Conti di Tuscolo. Con la distruzione di Tuscolo i superstiti si rifugiarono parte nel citato Castello e parte nei Castelli limitrofi.
Nel 1200 il Castrum Montis Compatris divenne feudo degli Annibaldi per concessione di Papa Innocenzo III°, possesso confermato da Bonifacio VIII° nel 1296 e nel 1301. Nel 1423, il Castello di Monte Compatri passa nelle proprietà dei Colonna dai figli e nipoti di Tebaldo Annibaldi, morto nel 1404. Successivamente, il 27/6/1484, gli Orsini, acerrimi nemici dei Colonna, per vendetta occupano e saccheggiano Monte Compatri, ma Innocenzo III° (1484-1492) la restituisce a Prospero Colonna. Nel periodo che va dal 1501 al 1574, il Castello di Monte Compatri è passato per volontà dei Papi succedutisi in quegli anni nelle mani di vari membri della famiglia Colonna, per passare poi sotto il dominio di Giovanni Angelo Altemps, nipote del Cardinale Marco Altemps che lo aveva acquistato da quel Marcantonio Colonna, Vincitore nella battaglia di Lepanto. Ma nel 1613, Giovanni Altemps, non avendo interesse a mantenere la proprietà, vende il Castello al Cardinale Scipione Borghese. I Borghese furono la Signoria che durò più a lungo di tutte fino al cessare della feudalità nel Lazio (1815) con un breve intermezzo (dal 1809 al 1814) dovuto all’occupazione francese, con la quale, però, si ebbe una buona amministrazione nel rispetto dei vecchi ordinamenti, ma con qualche novità nel campo economico e politico. Furono restituiti al Comune tutti i beni ecclesiastici confiscati e fu istituita la guardia nazionale che si distinse nella lotta al brigantaggio (i folti boschi della zona offrivano spesso rifugio a malviventi).
Finalmente nel 1870 anche Monte Compatri entra a far parte dello Stato Italiano. Le fonti ci riportano come nativi del luogo, il pittore Filippo Luzi (1665-1722) che, anche se di modesta fama, appartenne all’Accademia di San Luca, lavorando prevalentemente a Roma; Marco Mastrofini (1763-1845) sacerdote, ma filosofo e filologo il cui sepolcro è nella chiesa di San Silvestro.
Viene ricordato come autore di una proposta di revisione del Calendario Gregoriano, basata su una più regolare suddivisione dell’anno, progetto che però fu bloccato da Papa Gregorio XVI°.

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Sommario anno XI numero 7 - luglio 2002