Splendori
e miserie dei beatificandi
(Luca
Ceccarelli) - Una modella dal volto anonimo, con la blusa
imbrattata di sangue, che parla al cellulare con il “moroso”. Subito
dopo, giovanotto che minaccia la detta modella con un finto pugnale, e un
fotografo che esorta lui ad accoltellarla, e lei a fare un sorriso …
“da santa”. Il tutto serve per la produzione di immaginette con
l’effigie di Marta Picciafuoco, martire, uccisa dal figlio perché lo
aveva implorato di non bestemmiare.
È la messa in scena, volutamente grottesca, di come si fabbrica un
“santino”, nel film di Marco Bellocchio L’ora di religione.
Che è poi la storia di come si “fabbrica” una santa, o almeno una
beata. Una donna che ha rovinato la vita ai suoi figli, e che è stata sì
uccisa, da Egidio uno di loro, ma non per la ragione suddetta ma perché,
molto più prosaicamente, il poveretto, malato di mente, una notte sotto
l’effetto degli psicofarmaci l’ha accoltellata nel sonno.
E perché la donna viene beatificata, allora? Uno dei figli, missionario
in Africa, un altro condannato anni prima per banda armata e poi
convertitosi alla religione, un comitato per la beatificazione folto e
agguerrito, in cui spicca un miracolato (senza miracoli non si dà
beatificazione). Un mondo di persone ciniche e semidisperate che vedono in
questo processo di beatificazione e in tutti i vantaggi e gli onori che ne
deriveranno un’ancora di salvezza. Nel mondo ci si sente mancare la
terra sotto i piedi, e, come dice la madre del piccolo Leonardo, figlio di
Ernesto (dal punto di vista del quale è rappresentata l’intera
vicenda), “una nonna santa può fare comodo”. E come dice la
zia-virago ad Ernesto, che rifiuta di testimoniare il falso al processo di
beatificazione, anche se lei non crede in Dio, “non si sa mai, è sempre
meglio pensarci prima”.
L’atmosfera che domina il film, se si escludono il protagonista, il
piccolo Leonardo e il fratello pazzo (le cui terribili bestemmie gridate
ad alta voce, che hanno indotto a vietare il film ai minori di 14 anni,
costituiscono un estremo rifiuto ad un mondo di falsità e di cinismo) è
fosca, di menzogna e di frode. È innegabile che il film, nel complesso
ben girato e ben recitato, tocca dei nervi scoperti.
Come negare che i processi di beatificazione, e di successiva
canonizzazione, che negli ultimi decenni sono aumentati vertiginosamente,
stanno diventando pari a quello che nella vita civile sono i titoli
onorifici come il cavalierato, la commenda, o quello che era un tempo il
titolo di “Maresciallo del Regno”? Succede, in tal modo, che persone
distintesi, a ben vedere, più che altro per le doti intellettuali e
organizzative, vengono messe sullo stesso piano di uomini e donne di
autentica santità, che possono costituire un punto di riferimento per la
santificazione dell’umanità intera, come Madre Teresa di Calcutta o
Charles de Foucault, o Pier Giorgio Frassati, il Papa Giovanni XXIII, o lo
stesso Pio IX, che potrà piacere poco per molti buoni motivi, ma era
senz’altro un uomo di altissima levatura. Ma siamo proprio sicuri che
dietro un processo di beatificazione, fosse anche del beatificando più
comune e scialbo, non si celi che l’inganno, la disperazione e
l’avidità? Che dietro la devozione non si nasconda che l’ipocrisia e
l’angosciosa ricerca di “assicurazioni sulla vita”? qui a mio
avviso, emerge il principale punto debole del film, che risiede nella
velleità di contrapporre radicalmente il Bene e il Male, di separare il
grano dalla zizzania.
Certo è, quale che sia l’idea che si può avere riguardo a queste
vicende, che sono lontani i tempi in cui Gioacchino Belli, nel sonetto del
1834 Li Bbeati faceva constatare alla vox populi che il
Paradiso pullulava di beati «Che mmoreno de vojja d’èsse Santi», e il
Papa li teneva in cima ai propri pensieri «Ché anzi, doppo avelli
proscessati, Vorìa
cannonizzalli tutti quanti». Ma purtroppo, le cerimonie di beatificazione
costano (o almeno costavano): «La raggione che ancora li tiè addietro
Ne la grolia sceleste, è la gran spesa
De la funzione che cce vò a Ssan Pietro» portando il popolano a
constatare tristemente che i beati non possono diventare santi perché …
troppo poveri: « Eccolo er gran motivo, poverini: La miseria. E li Santi
de la Cchiesa Nun ze ponno
creà ssenza quadrini».
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