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Sommario anno XI numero 9 - settembre 2002

 ENRICO FERMI E LA PILA ATOMICA - pag. 09
11 - Lo spirito del Progetto Manhattan e la ricerca industriale

Siamo arrivati alla undicesima parte di questa rubrica curata da Nicola Pacilio e dedicata ad Enrico Fermi e la Pila Atomica. In coincidenza con il centenario della nascita del fisico italiano (29 settembre 2001), la rubrica sta impegnando l’autore e Controluce, da ottobre 2001,  via via per un intero anno fino al 2 dicembre 2002 quando sarà commemorato il 60mo anniversario del primo esperimento, con la pila atomica, della produzione di energia nucleare. Nicola Pacilio si occupa di Storia e Filosofia della Scienza ed è libero docente in fisica del reattore nucleare in Italia (Roma) e negli Stati Uniti (Università di California - Berkeley).

Fermi e Segre a Los AlamosIl colpevole è lo xenon-135. Ecco quanto è riportato nel libro-mastro di controllo del reattore B di Hanford: “Se questa spiegazione risulta essere di natura rigorosa, allora un’attenta ispezione della carta dei nuclei radioattivi mostra che la madre potrebbe essere lo iodio-135 (tempo di dimezzamento di 6.68 ore) e la figlia in conseguenza lo 135. Nel giro di meno di 1 ora, Fermi arrivò con i dati di reattività. Nelle 3 ore seguenti, sono state raggiunte altre due conclusioni da aggiungere lla prima. Eccole: (a) la sezione d’urto di assorbimento per neutroni termici dello xenon-135 risulta 150 volte più rilevante di quella del nucleo più assorbente conosciuto fino ad allora, vale a dire il cadmio-113; (b) quasi ogni nucleo di xenon-135 formato nel reattore ad alto flusso toglie di circolazione 1 neutrone, mostrando di essere in tal modo una barra di controllo inaspettata e indesiderata. Per controbilanciare la formazione di questo veleno a tempo parziale, è necessario un eccesso di reattività”. Il venerdì pomeriggio, Greenewalt chiamò Samuel Allison a Chicago. Allison estese le cattive notizie a Walter Zinn ad Argonne, il laboratorio nella foresta a sud-ovest di Chicago dove era stato trasferito il reattore CP-1 e dove molte altri reattori nucleari erano ormai in operazione. Zinn aveva appena spento CP-3, un grande contenitore schermato riempito di 6.5 tonnellate di acqua pesante nel quale erano sospese 121 barre di uranio incamiciate in alluminio. Non prestando fede a quanto ascoltato, Zinn avviò nuovamente il reattore da 300 Kilowatt e lo tenne critico alla massima potenza per dodici ore. CP-3 era essenzialmente un reattore di ricerca e non era mai stato operato per tanto tempo a piena potenza. Tuttavia l’effetto xenon si manifestò. Laboriosi calcoli a Hanford, effettuati nei tre giorni successivi, confermarono l’evidenza sperimentale. Il generale Groves salutò la notizia con notevole acrimonia. Aveva ordinato a Compton di fare funzionare CP-3 a piena potenza. Sempre ottimista, Compton si scusò con il generale in nome della scienza pura: l’incidente era spiacevole ma aveva condotto a una “nuova scoperta fondamentale relativa alle interazioni dei neutroni con la materia”. Alludeva al formidabile appetito dello xenon per i neutroni. Groves rimuginava e pensava ad altri appetiti. Se la Du Pont avesse costruito i reattori di produzione di Hanford secondo le specifiche originali di Eugene Wigner, che erano elegantemente economiche, tutti e tre i reattori avebbero dovuto essere riprogettati e costruiti dalle fondamenta. Fortunatamente Wheeler aveva messo tutti in agitazione con il timore che i prodotti di fissione potessero rivelarsi golosi di neutroni: gli ingegneri della Du Pont non erano rimasti insensibili a questa ipotesi e invece di costruire un core cilindrico di 1500 elementi di combustibile, ne avevano costruito uno quadrangolare di 2004 elementi, in cui potevano essere aggiunte altre 504 barre di combustibile in più rispetto al caricamento cilindrico. Così avvenne. La pila D andò critica con un carico di 2004 barre di combustibile il 17 dicembre 1944, la pila B seguì il 28 dicembre 1944. La produzione in massa di plutonio era cominciata. Groves era così entusiasta alla fine dell’anno da promettere al generale George Marshall ben 18 bombe di plutonio da 5 kg ciascuna per la seconda metà del 1945. In una nota del 6 gennaio 1945, James Conant scrive: “Sembra una corsa di cavalli, si prevede lo sgancio della prima bomba per luglio, agosto e settembre. Si tratterà di di un ciccione (fat boy, nomignolo che l’esercito USA aveva attribuito a Winston Churchill) o di di un omino (little man, denominazione gergale del presidente Harry Truman)?
(Richard Rhodes, The Making of the Atomic Bomb, Simon & Schuster 1986)
Lo spirito del Progetto Manhattan pervade la ricerca universitaria. Alla fine della guerra, mentre la scienza stava smobilitando e molte istituzioni erano incerte sul loro futuro, l’Università di Chicago intraprese lo sviluppo immediato di un attivo programma scientifico. Compton non vedeva l’ora che l’Università terminasse la maggior parte dei suoi programmi tecnologici di guerra e avviasse al tempo stesso tre nuovi istituti: uno di fisica nucleare, uno di radiobiologia e uno per lo studio dei metalli. Una importante caratteristica di questi nuovi istituti avrebbe dovuto essere la stretta collaborazione tra cultori di discipline diverse, modellata sulle esperienze di guerra e in particolare di Los Alamos. Le idee e le speranze di Compton erano condivise da altri docenti e, soprattutto, dal president Hutchins. Quest’ultimo e gli amministratori dell’università si affrettarono ad appoggiare il progetto. Già nell’autunno del 1945 erano stati compiuti passi notevoli verso la realizzazione dei piani e l’università propose ottime offerte di impiego ad alcuni dei principali esponenti scientifici del gruppo di Los Alamos, cercando di attirarli verso i nuovi istituti. Fermi, Harold Urey e il capo della metallurgia a Los Alamos Cyril S. Smith accettarono di occupare tre delle posizioni chiave dei futuri istituti. (Emilio Segre, Enrico Fermi: fisico, Zanichelli 1987)
Ancora ricerche con neutroni lenti, poi lo studio dei pioni. Finita la guerra, Fermi torna a Chicago, dove nel gennaio 1946 viene nominato professore di quella Università e membro dell’Institute of Nuclear Studies, che dopo la sua morte sarà intitolato al suo nome. L’attività di ricerca svolta a Chicago fino al 1949 continua a riguardare i neutroni lenti, prodotti ora non più tramite piccole sorgenti con bassa intensità di emissione ma con con fasci ad alta intensità prodotti per mezzo di un reattore nucleare. In particolare risale a quegli anni la cosiddetta ottica dei neutroni lenti, destinata a diventare una metodologia di straordinaria importanza per lo studio dello stato solido della materia. Con questi lavori si chiude il secondo periodo della sua attività di ricerca, i cui risultati sono raccolti in circa 50 lavori svolti in Italia e circa 100 lavori e rapporti negli USA, pubblicati soltanto dopo la sua morte. Con l’entrata in operazione del ciclotrone da 450 Mev dell’Università di Chicago, costruito da Herbert L. Anderson, inizia il terzo periodo dell’attività scientifica di Enrico Fermi, rivolta ora allo studio delle proprietà dei mesoni p, denominati anche pioni. Anche in questo campo, Fermi e collaboratori ottengono numerosi risultati fondamentali, tra i quali basta ricordare la scoperta della produzione, nell’urto pione-protone, della prima risonanza chiamata in seguito Delta (1236). A Chicago, la sua attività di ricerca è affiancata da una impareggiabile opera di maestro. Egli crea così, per la terza volta nella sua vita, una nuova scuola di fisica, il cui interesse prevalente è costituito dalla studio delle particelle elementari. Tra gli allievi teorici di questo periodo devono essere ricordati Geoffrey Chew, Marvin Goldberger, Tsung Dao Lee e Chen Ning Yang. Tra gli allievi sperimentali spiccani i nomi di Owen Chamberlain, Arthur Rosenfeld, Jay Orear, Jack Steinberger e Albert Wattenberg. (Edoardo Amaldi, Scienziati e tecnologi contemporanei, Mondadori 1974)
Il gen. Groves appunta la “Medal of merit” sul petto di FermiIl ricordo di Enrico Fermi nelle parole di Samuel Allison. Fermi però rifiutò la direzione dell’Istituto Nucleare perché non voleva l’ingombro di gravosi compiti amministrativi. Riuscì tuttavia a persuadere Samuel Allison ad addossarsi questa incombenza, cogliendo due ambiziosi traguardi: liberarsi delle pendenze continue del management e assicurarsi un perfetto direttore per l’impresa. Nella sua esagerata modestia, temperata da uno spirito un po’ caustico, Allison descrisse il suo compito con poche e semplici parole: “Cura, manutenzione e pacificazione tra le teste d’uovo”. Fermi ed Allison collaborarono con la massima cordialità fino alla morte del primo. Il carattere dei rapporti tra i due amici è eloquentemente illustrato dalle seguenti frasi pronunciate da Allison al funerale del suo collega: “Cercherò di esprimere lo stato d’animo dei suoi colleghi dell’Istituto per gli studi nucleari. In realtà questo Istituto è il suo Istituto, perché è stato lui la massima fonte di stimolo intellettuale. Era Enrico che partecipava a ogni seminario e con incredibile acume metteva alla prova criticamente ogni nuova idea oppure ogni scoperta. Era Enrico che arrivava per primo la mattina e se ne andava per ultimo la sera, colmando ogni giornata con l’esuberanza della sua energia mentale e fisica. Erano la presenza e il calmo giudizio di Enrico, uniti all’enorme rispetto che avevamo per lui, a impedirci di esagerare, o addirittura ricordare, le piccole divergenze che si possono manifestare tra persone legate da stretti vincoli di collaborazione. È stata la pressante richiesta personale di Enrico ad indurmi ad assumere l’incarico di dirigere l’Istituto negli affari di ordinaria amministrazione. Sento di sottoscrivere una osservazione, del tutto obiettiva e non suggerita dalle emozioni di questa circostanza, nell’affermare che chiunque conoscesse il professor Fermi in maniera appena più che superficiale si accorgeva subito di trovarsi di fronte a un uomo dotato di uno straordinario assortimento delle più elevate capacità umane. Possiamo aver incontrato in altri la sua energia fisica, il suo fondamentale equilibrio, la sua semplicità o sincerità nella vita, forse persino il suo ingegno brillante, ma chi può dire di aver mai visto tali e tante qualità concentrate in una persona sola?” (Emilio Segre, ibidem)
 ENRICO FERMI E LA PILA ATOMICA - pag. 09

Sommario anno XI numero 9 - settembre 2002