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Sommario anno XI numero 10 - ottobre 2002

INVITO ALLA LETTURA - pag. 21
Vittorio AlfieriRemore, difficoltà e possibilità nel trattamento con oppiacei dei malati terminali

Il presente articolo si sviluppa in note successive che prenderanno in esame:
1) Alcune premesse al tema; 2) Pericoli reali e pericoli esagerati dell’uso medico degli analgesici oppiacei; 3) La situazione legale: il caso dell’Olanda; 4) La situazione legale: il caso degli USA; 5) La situazione legale in Italia; 6) Il problema religioso; 7) Conclusioni..
L’autore, Giovanni Ceccarelli, quasi settantenne, è medico pediatra specializzato in bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore in Roma. Per trent’anni si è occupato dello studio dei farmaci sia a livello dell’Università - ha insegnato Farmacologia Clinica preso le Scuole di specializzazione in Farmacologia e Medicina Interna della Sapienza - sia nell’Industria - è stato direttore Medico per l’Italia di Pfizer e di società dl gruppo Schering.

NOTA 3: LA SITUAZIONE LEGALE: IL CASO DELL’OLANDA

Accanto agli aspetti medici che sono stati considerati nelle note precedenti,  vanno presi in esame almeno due altri elementi che influenzano l’inadeguato trattamento dei pazienti con dolore grave e protratto da –di solito- tumore. Innanzi tutto, la possibilità che l’uso di dosi di analgesici oppiacei anche molto superiori a quelle “normali” –come si è accennato- possa essere interpretato come non legittimo e quindi possa portare ad accuse in ambito legale il medico che le prescriva o, peggio, le somministri; in altra istanza, che l’uso di tali dosi possa in qualche maniera contribuire ad abbreviare la vita del paziente che le riceve e che quindi il medico che le autorizza possa –al limite- essere accusato di aver provocato la morte del paziente stesso o almeno di non essersi adeguato alle norme deontologiche che sovrintendono alla pratica medica. Va considerato infatti che, a parte alcuni ancora molto ridotti casi - come quello, isolato e contrastato a livello federale, dell’Oregon negli Stati Uniti  e quello dell’Olanda in Europa- vi è un generale consenso nel non ammettere dal punto di vista legale un “diritto al suicidio assistito”, pur ammettendo - e anzi favorendo e assicurando, almeno in linea di principio - la presenza di cure palliative adeguate per il sollievo del dolore nei pazienti terminali. Molto di recente anche il Belgio, che nel 2001 aveva espresso un voto del Senato favorevole ad un disegno di legge sulla eutanasia, si è aggiunto alle Nazioni che hanno legalizzato l’eutanasia.
Considerato che la legge olandese –la prima in un Paese Europeo- tende ad assumere caratteri paradigmatici per altre iniziative del genere in diverse Nazioni, e il caso del Belgio ne è una riprova, ritengo sia bene ripercorrere in una tabella la cronologia dell’avvicinamento dell’Olanda all’eutanasia legale.
La legge olandese ricordata in tabella costituisce, proprio perché è la prima in Europa, un caposaldo legale che vale la pena di esaminare un poco più a fondo, al di là di posizioni “ideologiche”, ma proprio per le sue caratteristiche; e non tanto da un punto di vista strettamente legale –che esula dalle mie competenze -, ma da quelli che diremmo gli aspetti deontologici e pratici. Mi permetto di farlo sulla base di un documento (“La legge olandese sull’eutanasia”
2) che è stato lodevolmente distribuito durante un recente Convegno 3 e che qui innanzi tutto riassumo nei termini che mi paiono i più qualificanti.
Il documento indica che “I motivi principali dei pazienti che richiedono l’eutanasia sono il dolore, la deturpazione e il desiderio di una morte onorevole”.; lo scopo principale della linea politica che ha portato alla legge è quello di “garantire la massima avvedutezza nelle azioni che portano alla eutanasia, operando pubblicamente e uniformemente nei confronti della cessazione medica della vita”.
I criteri di accuratezza che il medico deve soddisfare, in base alle legge, onde poter procedere alla eutanasia –trovandosi di fronte ad una richiesta di eutanasia da parte di un paziente (richiesta che può essere o orale o scritta)- sono i seguenti: a) l’essere convinto che si sia in presenza di una richiesta volontaria e ponderata da parte del paziente; b) l’essere convinto che si tratti di sofferenze insopportabili e senza prospettive di miglioramento per il paziente; c) attuare una informazione verso il paziente circa la sua situazione e le connesse prospettive; d) arrivare alla convinzione insieme al paziente che per la situazione in cui costui si trova non sia possibile un’altra soluzione ragionevole; e) consultare un altro medico indipendente, che veda il paziente e metta il suo parere per iscritto sui criteri di avvedutezza precedenti –da a) a d)-; f) praticare l’interruzione della vita e l’assistenza al suicidio in maniera accuratamente medica.
Inoltre, (g) un altro importante principio della giurisprudenza è il rapporto di fiducia, per cui il medico che decide l’eutanasia per un paziente deve essere il medico curante; egli deve conoscere abbastanza bene il paziente per poter giudicare se questi fa richiesta di eutanasia in piena libertà e abbia ben ponderato la situazione e se patisce sofferenze insopportabili senza prospettive di miglioramento.
Tuttavia, come appare dal precedente punto e), il medico cui la richiesta di eutanasia è pervenuta deve consultare un medico indipendente e che non sia coinvolto nel trattamento del paziente, il quale deve esaminare nuovamente il decorso della patologia e giudicare  a sua volta se la richiesta sia stata fatta dal paziente in propria piena libera volontà e sia ben ponderata. Il parere del medico consulente deve essere inviato per iscritto al curante. Poiché esiste in Olanda un gruppo di medici di famiglia e di specialisti con una particolare formazione che consente loro di rispondere agli interrogativi che i medici devono affrontare quando si trovano a dover prendere decisioni connesse al termine della vita (il progetto di formazione di tali medici è detto SCEN), è augurabile che il medico curante consulti uno di questi specialisti.
La legge prevede che il medico possa negare la propria collaborazione a praticare l’eutanasia e che gli infermieri possano fare altrettanto per quanto riguarda la preparazione alla eutanasia (sia i medici che gli infermieri non possono mai essere giudicati per non aver accolto una richiesta di eutanasia, dal momento che il punto di partenza della legge è che il paziente non gode del diritto di eutanasia e che il medico non è obbligato a praticarla).
Fin qui il mio breve riassunto del disposto della legge. In sede di altrettanto breve personale commento, mi sento di dire che se il “dolore insopportabile” è –come appare- alla base sia della richiesta da parte del paziente sia della decisione di eutanasia da parte del medico, la legge, con la rigidità delle sue procedure, non ottiene lo scopo. In effetti, dal momento della richiesta al medico curante da parte del paziente alla decisione di questi di praticare la cessazione della vita le procedure richieste impongono che trascorra un periodo non breve di tempo, che si stima nella pratica a non meno di due settimane e può arrivare ad alcuni mesi. Tale tempo risulta da una risposta data dal dr. Nico Mensing van Charante, Tutor  medico della legge sull’eutanasia- ad una domanda postagli nel corso del recente Convegno, già citato, cui egli –come il sottoscritto- partecipavano come relatori.
Ovviamente durante questo periodo il paziente continua ad essere preda di quel dolore insopportabile che la legge tende a eliminare. Per di più, in questo periodo il paziente deve, malgrado il dolore, “discutere a fondo” sia con il curante che con il consulente “tutte le alternative” al trattamento, il che probabilmente aggraverà o almeno non ridurrà –se non altro dal punto di vista psicologico- lo stato del malato (è lo stesso commento olandese alla legge ad indicare che “a volte il paziente muore prima che sia stata presa una decisione sulla richiesta”); ancora, l’esperienza della applicazione della legge olandese depone per il fatto che “i due terzi di tutte le richieste di eutanasia rivolte ai medici di famiglia e agli specialisti non vengono”, alla fine, “accolte”; il malato, quindi, avrà quindi da sopportare anche la “delusione” che gli deriverà dal fatto che il suo caso personale non è stato ritenuto “degno” della conclusione che egli –il malato- si augurava e, nella sua libertà –ora negata -, aveva chiesto di ottenere.
Sempre a mio avviso, poi, la legge non elimina neanche l’altro angoscioso problema, cioè quello di chi debba –alla fine- valutare e accertare che si è di fronte a “sofferenze insopportabili e senza prospettiva i miglioramento”. In effetti, la legge deve constatare che la mancanza di prospettive di miglioramento viene accertata “in base alle vigenti conoscenze mediche” (il che significa che grava sempre sul medico curante la responsabilità almeno morale di una tale valutazione) ed ammette che “difficile è determinare obbiettivamente l’insopportabilità del dolore” (e, ancora una volta, la determinazione del grado di insopportabilità viene sempre –in definitiva- a gravare sul medico).  
   [Continua]
Note:
1 È interessante che i termini impiegati per indicare il risultato finale dell’eutanasia utilizzino generalmente quelli che potremmo indicare come “giri di parole”; sarebbe forse opportuno uno studio inteso a valutare il significato profondo di un tale comportamento.
3 Organizzato a Cesena dalla locale Cassa di Risparmio il 24 gennaio 2002.
2 Cfr. al sito: http://www.minbuza.nl/english/Content.asp (rilevato il 13/01/2002)

Cronologia nell’avvicinamento olandese alla legge sull’eutanasia

1973     Un tribunale (“Court”) olandese indica le condizioni che possono far sì che un medico non abbia il dovere di prolungare la vita. Sono imposte alcune (limitate) “condanne” ad un medico che aveva iniettato una dose letale di morfina alla propria madre. 

1984     La Corte Suprema olandese cancella la condanna di un medico che aveva “terminato la vita”
1  di una donna anziana la quale aveva espresso la volontà di essere soggetto passivo di una eutanasia. La Corte stabilì che il medico aveva “risolto nella maniera più opportuna” il conflitto tra il dovere di mantenimento della vita e quello dell’alleviamento delle sofferenze.

1993     Il Parlamento olandese approva una legge per regolare la “morte misericordiosa” (“mercy killing”: la traduzione più esatta dovrebbe essere: uccisione pietosa); la legge comporta un elenco in 28 punti che il medico deve seguire nei casi di eutanasia. Il medico deve accertarsi che il paziente sia un malato terminale, abbia un dolore insopportabile, e abbia ripetutamente chiesto di morire. Dopo questa legge, l’eutanasia resta un atto criminale (“criminal offence”) che comporta una pena  massima pari a 12 anni, ma i medici che seguono i punti elencati nella legge possono attendersi di non essere puniti. Spetta all’accusa pubblica (“public prosecutor”) decidere se rinviare o meno a giudizio il medico.

1994     La Corte Suprema olandese emette un giudizio di colpevolezza, ma sceglie di non comminare una pena, per un medico che ha aiutato, dopo averne ricevuto richiesta, una donna a suicidarsi. La donna non era una malata terminale, ma aveva una lunga storia di depressione. La Corte stabilisce che il medico avrebbe dovuto consultarsi con un “esperto medico indipendente” prima di agire.

1995     La Corte stabilisce che i medici che, su richiesta dei genitori, hanno “terminato la vita” (“ended the lives”) di due bambini colpiti da grave handicap sono da considerare giustificati. I medici –stabilisce la Corte- non sarebbero stati puniti anche se fosse stata provata l’accusa di “assassinio”. Si tratta del primo caso in cui i medici sono stati accusati per la morte di pazienti incapaci di esprimere la loro volontà.

1997     Il Governo olandese avvia un disegno di legge sull’eutanasia dopo che una inchiesta ufficiale ha rivelato che circa il 60% delle “uccisioni pietose”  (“mercy killing”) non sono riferite alle Autorità dai medici per paura di atti legali. In base alle nuove disposizioni legali, i casi di eutanasia che vengono denunciati non sono più  deferiti automaticamente ai pubblici ministeri (“prosecutors”), ma ad un panel indipendente di esperti medici, legali e morali.

1999     Il Governo propone un disegno di legge per legalizzare l’eutanasia sotto rigide condizioni.

2000 (28 nov.) La Camera Bassa vota la legalizzazione dell’eutanasia sotto rigide condizioni.

2001 (marzo) Un medico di Amsterdam viene dichiarato colpevole di assassinio,  ma non viene condannato ad alcuna pena restrittiva, dopo che un Tribunale ha stabilito che egli non ha seguito i principi per l’eutanasia.

2001 (10 aprile) Il Senato olandese approva (46 vs 28) la legalizzazione dell’eutanasia sotto rigide condizioni


INVITO ALLA LETTURA - pag. 21

Sommario anno XI numero 10 - ottobre 2002