Remore, difficoltà e possibilità nel trattamento con
oppiacei dei malati terminali
Il
presente articolo si sviluppa in note successive che prenderanno in esame:
1) Alcune premesse al tema; 2) Pericoli reali e pericoli esagerati
dell’uso medico degli analgesici oppiacei; 3) La situazione legale: il
caso dell’Olanda; 4) La situazione legale: il caso degli USA; 5) La
situazione legale in Italia; 6) Il problema religioso; 7) Conclusioni..
L’autore, Giovanni Ceccarelli, quasi settantenne, è medico pediatra
specializzato in bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
in Roma. Per trent’anni si è occupato dello studio dei farmaci sia a
livello dell’Università - ha insegnato Farmacologia Clinica preso le
Scuole di specializzazione in Farmacologia e Medicina Interna della
Sapienza - sia nell’Industria - è stato direttore Medico per l’Italia
di Pfizer e di società dl gruppo Schering.
NOTA 3: LA SITUAZIONE LEGALE: IL CASO DELL’OLANDA
Accanto agli aspetti medici che sono stati considerati nelle note
precedenti, vanno presi in
esame almeno due altri elementi che influenzano l’inadeguato trattamento
dei pazienti con dolore grave e protratto da –di solito- tumore. Innanzi
tutto, la possibilità che l’uso di dosi di analgesici oppiacei anche
molto superiori a quelle “normali” –come si è accennato- possa
essere interpretato come non legittimo e quindi possa portare ad accuse in
ambito legale il medico che le prescriva o, peggio, le somministri; in
altra istanza, che l’uso di tali dosi possa in qualche maniera
contribuire ad abbreviare la vita del paziente che le riceve e che quindi
il medico che le autorizza possa –al limite- essere accusato di aver
provocato la morte del paziente stesso o almeno di non essersi adeguato
alle norme deontologiche che sovrintendono alla pratica medica. Va
considerato infatti che, a parte alcuni ancora molto ridotti casi - come
quello, isolato e contrastato a livello federale, dell’Oregon negli
Stati Uniti e quello
dell’Olanda in Europa- vi è un generale consenso nel non ammettere
dal punto di vista legale un “diritto al suicidio assistito”, pur
ammettendo - e anzi favorendo e assicurando, almeno in linea di principio
- la presenza di cure palliative adeguate per il sollievo del dolore nei
pazienti terminali. Molto di recente anche il Belgio, che nel 2001 aveva
espresso un voto del Senato favorevole ad un disegno di legge sulla
eutanasia, si è aggiunto alle Nazioni che hanno legalizzato
l’eutanasia.
Considerato che la legge olandese –la prima in un Paese Europeo- tende
ad assumere caratteri paradigmatici per altre iniziative del genere in
diverse Nazioni, e il caso del Belgio ne è una riprova, ritengo sia bene
ripercorrere in una tabella la cronologia dell’avvicinamento
dell’Olanda all’eutanasia legale.
La legge olandese ricordata in tabella costituisce, proprio perché è la
prima in Europa, un caposaldo legale che vale la pena di esaminare un poco
più a fondo, al di là di posizioni “ideologiche”, ma proprio per le
sue caratteristiche; e non tanto da un punto di vista strettamente legale
–che esula dalle mie competenze -, ma da quelli che diremmo gli aspetti
deontologici e pratici. Mi permetto di farlo sulla base di un documento
(“La legge olandese sull’eutanasia” 2) che è stato lodevolmente
distribuito durante un recente Convegno 3
e che qui innanzi tutto riassumo nei termini che mi paiono i più
qualificanti.
Il documento indica che “I motivi principali dei pazienti che richiedono
l’eutanasia sono il dolore, la deturpazione e il desiderio di una morte
onorevole”.; lo scopo principale della linea politica che ha portato
alla legge è quello di “garantire la massima avvedutezza nelle azioni
che portano alla eutanasia, operando pubblicamente e uniformemente nei
confronti della cessazione medica della vita”.
I criteri di accuratezza che il medico deve soddisfare, in base alle
legge, onde poter procedere alla eutanasia –trovandosi di fronte ad una
richiesta di eutanasia da parte di un paziente (richiesta che può essere
o orale o scritta)- sono i seguenti: a) l’essere convinto che si sia in
presenza di una richiesta volontaria e ponderata da parte del paziente; b)
l’essere convinto che si tratti di sofferenze insopportabili e senza
prospettive di miglioramento per il paziente; c) attuare una informazione
verso il paziente circa la sua situazione e le connesse prospettive; d)
arrivare alla convinzione insieme al paziente che per la situazione in cui
costui si trova non sia possibile un’altra soluzione ragionevole; e)
consultare un altro medico indipendente, che veda il paziente e metta il
suo parere per iscritto sui criteri di avvedutezza precedenti –da a) a
d)-; f) praticare l’interruzione della vita e l’assistenza al suicidio
in maniera accuratamente medica.
Inoltre, (g) un altro importante principio della giurisprudenza è il
rapporto di fiducia, per cui il medico che decide l’eutanasia per un
paziente deve essere il medico curante; egli deve conoscere abbastanza
bene il paziente per poter giudicare se questi fa richiesta di eutanasia
in piena libertà e abbia ben ponderato la situazione e se patisce
sofferenze insopportabili senza prospettive di miglioramento.
Tuttavia, come appare dal precedente punto e), il medico cui la richiesta
di eutanasia è pervenuta deve consultare un medico indipendente e che non
sia coinvolto nel trattamento del paziente, il quale deve esaminare
nuovamente il decorso della patologia e giudicare
a sua volta se la richiesta sia stata fatta dal paziente in propria
piena libera volontà e sia ben ponderata. Il parere del medico consulente
deve essere inviato per iscritto al curante. Poiché esiste in Olanda un
gruppo di medici di famiglia e di specialisti con una particolare
formazione che consente loro di rispondere agli interrogativi che i medici
devono affrontare quando si trovano a dover prendere decisioni connesse al
termine della vita (il progetto di formazione di tali medici è detto SCEN),
è augurabile che il medico curante consulti uno di questi specialisti.
La legge prevede che il medico possa negare la propria collaborazione a
praticare l’eutanasia e che gli infermieri possano fare altrettanto per
quanto riguarda la preparazione alla eutanasia (sia i medici che gli
infermieri non possono mai essere giudicati per non aver accolto una
richiesta di eutanasia, dal momento che il punto di partenza della legge
è che il paziente non gode del diritto di eutanasia e che il medico non
è obbligato a praticarla).
Fin qui il mio breve riassunto del disposto della legge. In sede di
altrettanto breve personale commento, mi sento di dire che se il “dolore
insopportabile” è –come appare- alla base sia della richiesta da
parte del paziente sia della decisione di eutanasia da parte del medico,
la legge, con la rigidità delle sue procedure, non ottiene lo scopo. In
effetti, dal momento della richiesta al medico curante da parte del
paziente alla decisione di questi di praticare la cessazione della vita le
procedure richieste impongono che trascorra un periodo non breve di tempo,
che si stima nella pratica a non meno di due settimane e può arrivare ad
alcuni mesi. Tale tempo risulta da una risposta data dal dr. Nico Mensing
van Charante, Tutor medico
della legge sull’eutanasia- ad una domanda postagli nel corso del
recente Convegno, già citato, cui egli –come il sottoscritto-
partecipavano come relatori.
Ovviamente durante questo periodo il paziente continua ad essere preda di
quel dolore insopportabile che la legge tende a eliminare. Per di più, in
questo periodo il paziente deve, malgrado il dolore, “discutere a
fondo” sia con il curante che con il consulente “tutte le
alternative” al trattamento, il che probabilmente aggraverà o almeno
non ridurrà –se non altro dal punto di vista psicologico- lo stato del
malato (è lo stesso commento olandese alla legge ad indicare che “a
volte il paziente muore prima che sia stata presa una decisione sulla
richiesta”); ancora, l’esperienza della applicazione della legge
olandese depone per il fatto che “i due terzi di tutte le richieste di
eutanasia rivolte ai medici di famiglia e agli specialisti non vengono”,
alla fine, “accolte”; il malato, quindi, avrà quindi da sopportare
anche la “delusione” che gli deriverà dal fatto che il suo caso
personale non è stato ritenuto “degno” della conclusione che egli
–il malato- si augurava e, nella sua libertà –ora negata -, aveva
chiesto di ottenere.
Sempre a mio avviso, poi, la legge non elimina neanche l’altro
angoscioso problema, cioè quello di chi debba –alla fine- valutare e
accertare che si è di fronte a “sofferenze insopportabili e senza
prospettiva i miglioramento”. In effetti, la legge deve constatare che
la mancanza di prospettive di miglioramento viene accertata “in base
alle vigenti conoscenze mediche” (il che significa che grava sempre sul
medico curante la responsabilità almeno morale di una tale valutazione)
ed ammette che “difficile è determinare obbiettivamente
l’insopportabilità del dolore” (e, ancora una volta, la
determinazione del grado di insopportabilità viene sempre –in
definitiva- a gravare sul medico).
[Continua]
Note:
1 È interessante che i termini impiegati per indicare
il risultato finale dell’eutanasia utilizzino generalmente quelli che
potremmo indicare come “giri di parole”; sarebbe forse opportuno uno
studio inteso a valutare il significato profondo di un tale comportamento.
3 Organizzato a Cesena dalla locale Cassa di Risparmio
il 24 gennaio 2002.
2 Cfr. al sito: http://www.minbuza.nl/english/Content.asp
(rilevato il 13/01/2002)
Cronologia nell’avvicinamento olandese alla legge sull’eutanasia
1973
Un tribunale (“Court”) olandese indica le condizioni che
possono far sì che un medico non abbia il dovere di prolungare la vita.
Sono imposte alcune (limitate) “condanne” ad un medico che aveva
iniettato una dose letale di morfina alla propria madre.
1984 La Corte
Suprema olandese cancella la condanna di un medico che aveva “terminato
la vita” 1 di una donna
anziana la quale aveva espresso la volontà di essere soggetto passivo di
una eutanasia. La Corte stabilì che il medico aveva “risolto nella
maniera più opportuna” il conflitto tra il dovere di mantenimento della
vita e quello dell’alleviamento delle sofferenze.
1993 Il
Parlamento olandese approva una legge per regolare la “morte
misericordiosa” (“mercy killing”: la traduzione più esatta dovrebbe
essere: uccisione pietosa); la legge comporta un elenco in 28 punti che il
medico deve seguire nei casi di eutanasia. Il medico deve accertarsi che
il paziente sia un malato terminale, abbia un dolore insopportabile, e
abbia ripetutamente chiesto di morire. Dopo questa legge, l’eutanasia
resta un atto criminale (“criminal offence”) che comporta una pena
massima pari a 12 anni, ma i medici che seguono i punti elencati
nella legge possono attendersi di non essere puniti. Spetta all’accusa
pubblica (“public prosecutor”) decidere se rinviare o meno a giudizio
il medico.
1994 La Corte
Suprema olandese emette un giudizio di colpevolezza, ma sceglie di non
comminare una pena, per un medico che ha aiutato, dopo averne ricevuto
richiesta, una donna a suicidarsi. La donna non era una malata terminale,
ma aveva una lunga storia di depressione. La Corte stabilisce che il
medico avrebbe dovuto consultarsi con un “esperto medico indipendente”
prima di agire.
1995 La Corte
stabilisce che i medici che, su richiesta dei genitori, hanno “terminato
la vita” (“ended the lives”) di due bambini colpiti da grave
handicap sono da considerare giustificati. I medici –stabilisce la
Corte- non sarebbero stati puniti anche se fosse stata provata l’accusa
di “assassinio”. Si tratta del primo caso in cui i medici sono stati
accusati per la morte di pazienti incapaci di esprimere la loro volontà.
1997 Il
Governo olandese avvia un disegno di legge sull’eutanasia dopo che una
inchiesta ufficiale ha rivelato che circa il 60% delle “uccisioni
pietose” (“mercy killing”)
non sono riferite alle Autorità dai medici per paura di atti legali. In
base alle nuove disposizioni legali, i casi di eutanasia che vengono
denunciati non sono più deferiti
automaticamente ai pubblici ministeri (“prosecutors”), ma ad un panel
indipendente di esperti medici, legali e morali.
1999 Il
Governo propone un disegno di legge per legalizzare l’eutanasia sotto
rigide condizioni.
2000 (28 nov.) La Camera Bassa vota la legalizzazione dell’eutanasia
sotto rigide condizioni.
2001 (marzo) Un medico di Amsterdam viene dichiarato colpevole di
assassinio, ma non viene
condannato ad alcuna pena restrittiva, dopo che un Tribunale ha stabilito
che egli non ha seguito i principi per l’eutanasia.
2001 (10 aprile) Il Senato olandese approva (46 vs 28) la legalizzazione
dell’eutanasia sotto rigide condizioni
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