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Sommario anno XI numero 11 - novembre 2002

 I NOSTRI PAESI - pag. 07
lettera da monte compatri
Il Paese di Nessuno - 2

(Alessandra Felici)
- Quello che è accaduto prima della venuta del Commissario prefettizio nel nostro paese è un episodio molto significativo ed in quanto tale deve diventare uno stimolo forte di riflessione ed autocritica. Sia per gli amministratori, sia per gli amministrati. La mancanza di una vigile, attenta e matura opinione pubblica costringe, ancora una volta, la comunità compatrese ad assistere a questi slalom tra cavilli amministrativi argutamente suggeriti da coloro i quali, si ritiene, custodiscano in maniera esclusiva l’ars amministrandi, ossia il grande vecchio e la sua Junior School al seguito. Quello che vediamo di fronte a noi non è infatti ciò che ci aspetteremmo da una rappresentanza matura e consapevole del proprio ruolo, ossia in grado di utilizzare correttamente e tempestivamente gli strumenti di indirizzo e di controllo del Consiglio Comunale, alla luce di una visibile motivazione etica. Quello che vediamo invece è superficialità, arroganza e soprattutto inadeguatezza.
La cattiva amministrazione cui abbiamo costantemente assistito - ormai da tempi immemorabili, almeno per me - trascina regolarmente i singoli Uffici Comunali in controversie legali costose ed improbabili a carico della collettività, nonostante la conclamata perizia amministrativa dei guru in adozione nel nostro modesto comune. I motivi? Si adduce spesso l’incapacità o la negligenza ma, ad una più attenta analisi, si nota soprattutto il desiderio smodato di mostrarsi capaci di duelli amministrativi all’ultimo atto quasi sempre per ostentare le stanche carambole di Mangiafuoco, alias cupola-legis, e della sua scuola: “Piccoli Managers Pubblici crescono”. Perché è accaduto tutto ciò? E come mai questa comunità permette che ciò continui ad accadere oggi? Ho provato a dare una risposta. In questo nostro bel paese lo studio e la ricerca circa le attitudini ed i comportamenti della cittadinanza compatrese dovrebbero avvalersi di risorse a carattere storico e sociologico, tuttavia mi limito qui ad analizzare gli aspetti più evidenti.
Uno degli strumenti che permette il perpetuarsi di questi episodi di politichetta sub-amministrativa (degna di una vera e propria sit-com dell’ente locale con tanto di caratteristi e macchiette d.o.c.) è lo stato di soggezione che pietrifica il cittadino nativo al solo pensiero dello sguardo di Mangiafuoco. La soggezione pietrifica, è vero, ma infonde anche un senso di riverenza, di gratitudine e rassicura nel delegare a “Colui il Quale Sa” la gestione della cosa pubblica. È tutto qui il risultato strabiliante della filosofia spicciola del compatrese sia esso amministratore od amministrato: complesso di inferiorità e poco orgoglio.
Tutto questo non ha promosso a Monte Compatri nessun miglioramento nell’impegno civico, né favorito la nascita di una rappresentanza politica responsabile, né auspicato lontanamente lo sviluppo di una collettività critica e propositiva, anzi ne ha ritardato la formazione impedendo i presupposti più elementari di crescita culturale. Tuttavia lo show dei pubblici saltimbanchi è ancora garantito - al servizio del cittadino - e la cupola-legis, la cui speculazione teorica ed ostentazione giurisprudenziale non interessano altri che lui ed i suoi epigoni, continua a fare scuola e a pietrificare, come una Gòrgone.
In questo contesto ipnotizzante, l’opinione pubblica perde la voce e scatta così l’autocensura del pensiero e della comunicazione di esso. Non è superfluo affermare come questa esecranda abitudine mortifichi di per sé il concetto di partecipazione popolare alla vita pubblica, sancito anche dal nostro statuto comunale. Un’attività politica alla quale partecipano e contribuiscono le varie forze sociali, produttive, e culturali non ha mai avuto luogo in questo paese. Tutto viene incasellato da paletti rigorosi: per esempio, faccio attività ricreative e/o folcloristiche, prendo parte a piccole iniziative culturali e di aggregazione, oppure seguo le attività dei gruppi sportivi e della pro loco, faccio un po’ di volontariato alla Caritas, però non faccio politica!
Io non mi sento di condividere questa idea che vuole fuori dalla politica chiunque voglia dare un contributo a questa comunità. È proprio la politica infatti che può dare impulso a queste attività rendendole istituzionali e riconoscendone la legittimità, in altre parole, creando sì una incisiva cultura del costruire, insieme però ad una forte e visibile volontà politica.
Ora è più che mai auspicabile che queste risorse sul territorio promuovano un cambiamento per una politica partecipativa, fuori dai vecchi schemi consolidati da personaggi di chiara provenienza e di dubbia destinazione, senza idee né stimoli.
Non è questa la sede nella quale stabilire i criteri, le motivazioni personali o di gruppo, le scelte di una classe dirigente incapace di rinnovarsi da circa 40 anni, tutta inadeguata nel rappresentare la politica locale, nel fare opposizione o persino nel giustificare il mandato agli occhi della collettività. Non ci interessa più. Non è in questo che vogliamo impiegare le nostre risorse. Perché non è saggio essere contro gli uomini, ma lo è invece essere contro alcune delle loro idee.
Ci sentiamo di condividere con i cittadini questa riflessione perché da qui si può dare inizio ad un percorso di scoperta e di conquista di se stessi attraverso un cambiamento concreto, visibile. Per affermare il diritto alla rinascita di una comunità da troppo tempo indegnamente rappresentata.
Un buon funzionamento della Pubblica amministrazione presuppone, a monte, una classe politica a sua volta eticamente irreprensibile. […]
In sostanza il rinnovamento delle amministrazioni pubbliche incontra comunque due limiti, quali che siano le tecniche adottate per introdurlo. Da una parte non c’è amministrazione efficiente se alle sue spalle non esiste un sistema politico sostanzialmente integro e responsabile nei confronti dell’opinione pubblica. Dall’altra, quanto è più alto l’impegno all’innovazione, tanto maggiore dovrebbe risultare il rafforzamento di un’etica del compito, perché lavorare per conto dello Stato in rapporto con i cittadini è cosa diversa dal dirigere un ristorante o dal ricevere clienti in un grande albergo, e ciò per una ragione molto semplice: i cittadini hanno dei diritti, che l’amministrazione ha l’obbligo di rispettare.
La discrezionalità operativa di cui tanto oggi si parla è insomma possibile, purché non escluda il principio della responsabilità dell’esecutivo e, nello stesso tempo, non mini quei valori universali di cittadinanza sui quali è nato in Occidente il servizio pubblico. Ma qui il discorso si ferma perché tanto nel caso dei politici quanto in quello degli amministratori (dirigenti), l’etica o i valori sono come il coraggio e chi non li ha non se li può dare da solo, a meno che qualcuno non lo spinga in questo senso. Nei paesi moderni questo compito è affidato alle istituzioni, ma non solo a queste. L’analisi sin qui condotta ci porta perciò a credere che la qualità delle amministrazioni, la loro aderenza ai bisogni del cittadino, generalmente risultino tanto maggiori quanto più sono assicurate, oltre che dalle leggi, dai comportamenti individuali e dai valori morali di coloro che ne hanno la responsabilità agli occhi del cittadino. Sembrerà strano, ma in realtà un buon sistema pubblico è tale quando al suo interno presenta anche una elevata componente etica.
(M. Fedele - Come cambiano le amministrazioni pubbliche - BE Laterza, 1998, pp.117-118).
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Cara Alessandra,
condivido la sua analisi sui motivi che hanno portato la classe politica di Monte Compatri all’attuale basso livello da tutti riconosciuto.
Sono in accordo con lei e con M. Fedele quando egli afferma che “un buon sistema pubblico è tale quando al suo interno presenta anche una elevata componente etica”. Credo anche di interpretare il suo pensiero in merito alla necessità di un “completo rinnovamento” della classe politica stimolando l’impegno in prima persona di tutti coloro che già sono rivolti agli ambiti culturali-associativi.
Credo, però, che le motivazioni da lei espresse in merito al processo di “degradamento” della classe politica, riconducibili all’atteggiamento dei monticiani, siano anche e ancora un impedimento culturale per il raggiungimento dell’obiettivo auspicato.
È bene,comunque, che si inizi a parlare in questi termini per iniziare anche il relativo “processo culturale” che porterà frutti in un futuro, speriamo, il più prossimo possibile.                    Armando Guidoni

ariccia
Mostra sulle dimore principesche del Lazio
(Luca Ceccarelli) - Si sta tenendo (andrà avanti ancora per pochi giorni) ad Ariccia, nella splendida cornice del Palazzo Chigi, una mostra intitolata Castelli e Castellani, sulle dimore principesche del Lazio. Attraverso quadri, suppellettili preziose di palazzi signorili, incisioni e soprattutto un imponente rassegna fotografica, questa esposizione, promossa dalla Provincia di Roma e dal Comune di Ariccia in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio e la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, fornisce un esauriente rendiconto dell’evoluzione storica e dei suoi riflessi sull’arte e sull’architettura negli edifici signorili dei Castelli Romani, ma anche dei dintorni e di altre località del Lazio.
I Castelli (intesi come edifici, non unicamente per indicare i paesi dei Colli Albani e Tuscolani) sono una realtà che nasce, nel Lazio, a partire dal X secolo. In quest’epoca, con la riorganizzazione dello Stato Pontificio, abbandonato a sé stesso prima dai greci e poi da un Sacro Romano Impero fortemente indebolito, molti territori vennero affidati ai baroni, e ad autorità similari come la castellania, la defensoria e la guardiania. Era un’epoca di continue incursioni da parte dei Saraceni, pertanto i primi castelli e i centri abitati che vi sorsero intorno ebbero carattere prettamente difensivo, come dimostrano nomi come Castrum Gandulphi, Castrum Gentiani, Castrum Mareni (Marino), Castrum Rocce de Pape. Essi erano retti da feudatari del luogo, come per esempio i Conti di Tuscolo a Frascati, i Colonna nel borgo che da loro prende il nome, i Savelli sui Colli Albani.
Per tutto il Medio Evo il loro assetto rimase questo. Nel Quattrocento le famiglie cominciarono ad acquistare dei titoli nobiliari onorifici. E’ il caso degli Orsini a Bracciano, dei Savelli ad Albano o di un ramo della famiglia Colonna a Paliano (i “Colonna di Paliano”). Questo è anche il periodo in cui i papi, come viene messo in luce dall’esposizione, cominciarono a soggiornare sempre più frequentemente sui Castelli Romani, per sfuggire al clima malsano e apportatore di malaria che si creava d’estate a Roma e in genere nelle aree pianeggianti.
A partire dal Cinquecento, e poi nel corso del Seicento cominciarono poi a sorgere nell’area tuscolana delle ville, che crebbero fino a che l’area tra Monteporzio e Frascati non divenne un immenso giardino, come ancora in gran parte è oggi. Sempre in questo periodo, le antiche famiglie nobiliari di origine medievale perdevano importanza in favore di nuove famiglie, tutte provenienti da fuori (i Chigi, gli Aldobrandini, i Corsini, i Barberini, e altre ancora) ognuna delle quali inserita ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica, che acquistarono feudi nella Campagna romana, e in modo particolare nell’area dei Castelli. Si passava via via dalle semplici rocche turrite agli sfarzosi palazzi per i quali venivano incaricati i più prestigiosi architetti: l’esempio più evidente è quello del Palazzo Chigi di Ariccia, realizzato da Gianlorenzo Bernini. Da tempo la funzione del castello non era più difensiva, e il suo fine diventava quello di esaltare la potenza e il prestigio di una famiglia o dell’altra, non diversamente da quanto accadeva con i palazzi romani di nuova costruzione. Questo viene messo in evidenza sia dalle suppellettili, a cui si è già accennato, e che costituiscono una parte di un arredamento sempre più fastoso, sia dai quadri della mostra, alcuni dei quali sono di autori celebri come Hackert, Vouet e Van Wittel, quadri che a partire dal Cinquecento esaltano i pontefici e gli aristocratici nella ritrattistica, e, dal Settecento in poi, il paesaggio dei Castelli Romani, con risultati, a volte, decisamente interessanti.

 I NOSTRI PAESI - pag. 07

Sommario anno XI numero 11 - novembre 2002