lettera
da monte compatri
Il Paese di Nessuno - 2
(Alessandra Felici) - Quello che è accaduto prima della
venuta del Commissario prefettizio nel nostro paese è un episodio molto
significativo ed in quanto tale deve diventare uno stimolo forte di
riflessione ed autocritica. Sia per gli amministratori, sia per gli
amministrati. La mancanza di una vigile, attenta e matura opinione
pubblica costringe, ancora una volta, la comunità compatrese ad assistere
a questi slalom tra cavilli amministrativi argutamente suggeriti da coloro
i quali, si ritiene, custodiscano in maniera esclusiva l’ars
amministrandi, ossia il grande vecchio e la sua Junior School al
seguito. Quello che vediamo di fronte a noi non è infatti ciò che ci
aspetteremmo da una rappresentanza matura e consapevole del proprio ruolo,
ossia in grado di utilizzare correttamente e tempestivamente gli strumenti
di indirizzo e di controllo del Consiglio Comunale, alla luce di una
visibile motivazione etica. Quello che vediamo invece è superficialità,
arroganza e soprattutto inadeguatezza.
La cattiva amministrazione cui abbiamo costantemente assistito - ormai da
tempi immemorabili, almeno per me - trascina regolarmente i singoli Uffici
Comunali in controversie legali costose ed improbabili a carico della
collettività, nonostante la conclamata perizia amministrativa dei guru in
adozione nel nostro modesto comune. I motivi? Si adduce spesso
l’incapacità o la negligenza ma, ad una più attenta analisi, si nota
soprattutto il desiderio smodato di mostrarsi capaci di duelli
amministrativi all’ultimo atto quasi sempre per ostentare le stanche
carambole di Mangiafuoco, alias cupola-legis, e della sua scuola:
“Piccoli Managers Pubblici crescono”. Perché è accaduto tutto ciò?
E come mai questa comunità permette che ciò continui ad accadere oggi?
Ho provato a dare una risposta. In questo nostro bel paese lo studio e la
ricerca circa le attitudini ed i comportamenti della cittadinanza
compatrese dovrebbero avvalersi di risorse a carattere storico e
sociologico, tuttavia mi limito qui ad analizzare gli aspetti più
evidenti.
Uno degli strumenti che permette il perpetuarsi di questi episodi di
politichetta sub-amministrativa (degna di una vera e propria sit-com
dell’ente locale con tanto di caratteristi e macchiette d.o.c.) è lo
stato di soggezione che pietrifica il cittadino nativo al solo pensiero
dello sguardo di Mangiafuoco. La soggezione pietrifica, è vero, ma
infonde anche un senso di riverenza, di gratitudine e rassicura nel
delegare a “Colui il Quale Sa” la gestione della cosa pubblica. È
tutto qui il risultato strabiliante della filosofia spicciola del
compatrese sia esso amministratore od amministrato: complesso di
inferiorità e poco orgoglio.
Tutto questo non ha promosso a Monte Compatri nessun miglioramento
nell’impegno civico, né favorito la nascita di una rappresentanza
politica responsabile, né auspicato lontanamente lo sviluppo di una
collettività critica e propositiva, anzi ne ha ritardato la formazione
impedendo i presupposti più elementari di crescita culturale. Tuttavia lo
show dei pubblici saltimbanchi è ancora garantito - al servizio del
cittadino - e la cupola-legis, la cui speculazione teorica ed ostentazione
giurisprudenziale non interessano altri che lui ed i suoi epigoni,
continua a fare scuola e a pietrificare, come una Gòrgone.
In questo contesto ipnotizzante, l’opinione pubblica perde la voce e
scatta così l’autocensura del pensiero e della comunicazione di esso.
Non è superfluo affermare come questa esecranda abitudine mortifichi di
per sé il concetto di partecipazione popolare alla vita pubblica, sancito
anche dal nostro statuto comunale. Un’attività politica alla quale
partecipano e contribuiscono le varie forze sociali, produttive, e
culturali non ha mai avuto luogo in questo paese. Tutto viene incasellato
da paletti rigorosi: per esempio, faccio attività ricreative e/o
folcloristiche, prendo parte a piccole iniziative culturali e di
aggregazione, oppure seguo le attività dei gruppi sportivi e della pro
loco, faccio un po’ di volontariato alla Caritas, però non faccio
politica!
Io non mi sento di condividere questa idea che vuole fuori dalla politica
chiunque voglia dare un contributo a questa comunità. È proprio la
politica infatti che può dare impulso a queste attività rendendole
istituzionali e riconoscendone la legittimità, in altre parole, creando sì
una incisiva cultura del costruire, insieme però ad una forte e visibile
volontà politica.
Ora è più che mai auspicabile che queste risorse sul territorio
promuovano un cambiamento per una politica partecipativa, fuori dai vecchi
schemi consolidati da personaggi di chiara provenienza e di dubbia
destinazione, senza idee né stimoli.
Non è questa la sede nella quale stabilire i criteri, le motivazioni
personali o di gruppo, le scelte di una classe dirigente incapace di
rinnovarsi da circa 40 anni, tutta inadeguata nel rappresentare la
politica locale, nel fare opposizione o persino nel giustificare il
mandato agli occhi della collettività. Non ci interessa più. Non è in
questo che vogliamo impiegare le nostre risorse. Perché non è saggio
essere contro gli uomini, ma lo è invece essere contro alcune delle loro
idee.
Ci sentiamo di condividere con i cittadini questa riflessione perché da
qui si può dare inizio ad un percorso di scoperta e di conquista di se
stessi attraverso un cambiamento concreto, visibile. Per affermare il
diritto alla rinascita di una comunità da troppo tempo indegnamente
rappresentata.
Un buon funzionamento della Pubblica amministrazione presuppone, a
monte, una classe politica a sua volta eticamente irreprensibile. […]
In sostanza il rinnovamento delle amministrazioni pubbliche incontra
comunque due limiti, quali che siano le tecniche adottate per introdurlo.
Da una parte non c’è amministrazione efficiente se alle sue spalle
non esiste un sistema politico sostanzialmente integro e responsabile nei
confronti dell’opinione pubblica. Dall’altra, quanto è più alto
l’impegno all’innovazione, tanto maggiore dovrebbe risultare il
rafforzamento di un’etica del compito, perché lavorare per conto dello
Stato in rapporto con i cittadini è cosa diversa dal dirigere un
ristorante o dal ricevere clienti in un grande albergo, e ciò per una
ragione molto semplice: i cittadini hanno dei diritti, che
l’amministrazione ha l’obbligo di rispettare.
La discrezionalità operativa di cui tanto oggi si parla è insomma
possibile, purché non escluda il principio della responsabilità
dell’esecutivo e, nello stesso tempo, non mini quei valori universali di
cittadinanza sui quali è nato in Occidente il servizio pubblico. Ma qui
il discorso si ferma perché tanto nel caso dei politici quanto in quello
degli amministratori (dirigenti), l’etica o i valori sono come il
coraggio e chi non li ha non se li può dare da solo, a meno che qualcuno
non lo spinga in questo senso. Nei paesi moderni questo compito è
affidato alle istituzioni, ma non solo a queste. L’analisi sin qui
condotta ci porta perciò a credere che la qualità delle amministrazioni,
la loro aderenza ai bisogni del cittadino, generalmente risultino tanto
maggiori quanto più sono assicurate, oltre che dalle leggi, dai
comportamenti individuali e dai valori morali di coloro che ne hanno la
responsabilità agli occhi del cittadino. Sembrerà strano, ma in realtà
un buon sistema pubblico è tale quando al suo interno presenta anche una
elevata componente etica. (M. Fedele - Come cambiano le
amministrazioni pubbliche - BE Laterza, 1998, pp.117-118).
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Cara Alessandra,
condivido la sua analisi sui motivi che hanno portato la classe politica
di Monte Compatri all’attuale basso livello da tutti riconosciuto.
Sono in accordo con lei e con M. Fedele quando egli afferma che “un
buon sistema pubblico è tale quando al suo interno presenta anche una
elevata componente etica”. Credo anche di interpretare il suo
pensiero in merito alla necessità di un “completo rinnovamento” della
classe politica stimolando l’impegno in prima persona di tutti coloro
che già sono rivolti agli ambiti culturali-associativi.
Credo, però, che le motivazioni da lei espresse in merito al processo di
“degradamento” della classe politica, riconducibili
all’atteggiamento dei monticiani, siano anche e ancora un impedimento
culturale per il raggiungimento dell’obiettivo auspicato.
È bene,comunque, che si inizi a parlare in questi termini per iniziare
anche il relativo “processo culturale” che porterà frutti in un
futuro, speriamo, il più prossimo possibile.
Armando Guidoni
ariccia
Mostra sulle dimore principesche del Lazio
(Luca
Ceccarelli) - Si sta tenendo (andrà avanti ancora per pochi
giorni) ad Ariccia, nella splendida cornice del Palazzo Chigi, una mostra
intitolata Castelli e Castellani, sulle dimore principesche del
Lazio. Attraverso quadri, suppellettili preziose di palazzi signorili,
incisioni e soprattutto un imponente rassegna fotografica, questa
esposizione, promossa dalla Provincia di Roma e dal Comune di Ariccia in
collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Ambientali e
Architettonici del Lazio e la Soprintendenza per i Beni Artistici e
Storici di Roma, fornisce un esauriente rendiconto dell’evoluzione
storica e dei suoi riflessi sull’arte e sull’architettura negli
edifici signorili dei Castelli Romani, ma anche dei dintorni e di altre
località del Lazio.
I Castelli (intesi come edifici, non unicamente per indicare i paesi dei
Colli Albani e Tuscolani) sono una realtà che nasce, nel Lazio, a partire
dal X secolo. In quest’epoca, con la riorganizzazione dello Stato
Pontificio, abbandonato a sé stesso prima dai greci e poi da un Sacro
Romano Impero fortemente indebolito, molti territori vennero affidati ai
baroni, e ad autorità similari come la castellania, la defensoria e la
guardiania. Era un’epoca di continue incursioni da parte dei Saraceni,
pertanto i primi castelli e i centri abitati che vi sorsero intorno ebbero
carattere prettamente difensivo, come dimostrano nomi come Castrum
Gandulphi, Castrum Gentiani, Castrum Mareni (Marino), Castrum
Rocce de Pape. Essi erano retti da feudatari del luogo, come per
esempio i Conti di Tuscolo a Frascati, i Colonna nel borgo che da loro
prende il nome, i Savelli sui Colli Albani.
Per tutto il Medio Evo il loro assetto rimase questo. Nel Quattrocento le
famiglie cominciarono ad acquistare dei titoli nobiliari onorifici. E’
il caso degli Orsini a Bracciano, dei Savelli ad Albano o di un ramo della
famiglia Colonna a Paliano (i “Colonna di Paliano”). Questo è anche
il periodo in cui i papi, come viene messo in luce dall’esposizione,
cominciarono a soggiornare sempre più frequentemente sui Castelli Romani,
per sfuggire al clima malsano e apportatore di malaria che si creava
d’estate a Roma e in genere nelle aree pianeggianti.
A partire dal Cinquecento, e poi nel corso del Seicento cominciarono poi a
sorgere nell’area tuscolana delle ville, che crebbero fino a che
l’area tra Monteporzio e Frascati non divenne un immenso giardino, come
ancora in gran parte è oggi. Sempre in questo periodo, le antiche
famiglie nobiliari di origine medievale perdevano importanza in favore di
nuove famiglie, tutte provenienti da fuori (i Chigi, gli Aldobrandini, i
Corsini, i Barberini, e altre ancora) ognuna delle quali inserita ai più
alti livelli della gerarchia ecclesiastica, che acquistarono feudi nella
Campagna romana, e in modo particolare nell’area dei Castelli. Si
passava via via dalle semplici rocche turrite agli sfarzosi palazzi per i
quali venivano incaricati i più prestigiosi architetti: l’esempio più
evidente è quello del Palazzo Chigi di Ariccia, realizzato da Gianlorenzo
Bernini. Da tempo la funzione del castello non era più difensiva, e il
suo fine diventava quello di esaltare la potenza e il prestigio di una
famiglia o dell’altra, non diversamente da quanto accadeva con i palazzi
romani di nuova costruzione. Questo viene messo in evidenza sia dalle
suppellettili, a cui si è già accennato, e che costituiscono una parte
di un arredamento sempre più fastoso, sia dai quadri della mostra, alcuni
dei quali sono di autori celebri come Hackert, Vouet e Van Wittel, quadri
che a partire dal Cinquecento esaltano i pontefici e gli aristocratici
nella ritrattistica, e, dal Settecento in poi, il paesaggio dei Castelli
Romani, con risultati, a volte, decisamente interessanti. |