In un’isola delle
Piccole Antille
(Roberto
Pulcini) - Quando si sogna di sole e mare si sogna spesso di
Caraibi. Il semplice nome, Caraibi, fa venire in mente acque turchesi,
pesci colorati, palme da cocco. Tutto qui? Almeno secondo quello che film
e agenzie turistiche ci mostrano. In realtà i Caraibi sono molto di più,
un complesso insieme di entità, ognuna con proprie caratteristiche. Un
esempio? Immaginate di volare per otto ore sull’Oceano Atlantico,
atterrare su un’isola a forma di farfalla, uscire dall’aereo ed essere
avvolti da un calore intenso. Subito dopo però vedete bandiere blu,
bianche e rosse e sentite parlare in una lingua a voi molto famigliare,
usata al di là delle Alpi, cioè francese. Impazziti? No, siete
semplicemente atterrati a Guadeloupe, isola delle Piccole Antille che ho
avuto la fortuna di conoscere da vicino. Prestando attenzione, noterete
che i locali usano, nei discorsi più animati e famigliari, una lingua dal
suono estremamente piacevole e musicale. È il creolo, miscuglio di
francese e africano con influenze inglesi e spagnole. Questo riflette la
storia dell’isola che, come il resto dei caraibi, ha visto susseguirsi
popoli diversi: gli arawak, sopraffatti dai caribe, uccisi dagli spagnoli
prima e dai francesi poi, i quali dovettero a periodi cedere agli inglesi
il controllo dell’isola. Inoltre, in più di due secoli francesi e
inglesi deportarono decine di migliaia di schiavi africani, i cui
discendenti combatterono più volte per la loro libertà. Questa orribile
situazione ebbe fine solo quando la schiavitù venne definitivamente
abolita. Tutti gli
abitanti
divennero quindi cittadini francesi, con oggi gli stessi diritti e doveri
dei loro compatrioti europei. Guadeloupe è infatti un dipartimento
francese a tutti gli effetti, come la Provenza e la Normandia, popolata
principalmente da francesi di pelle nera,
con minoranze di pelle bianca e di varie zone dell’Asia. Stesso
sistema amministrativo, scolastico, sanitario, stessi supermercati, stessi
uffici postali color giallo canarino. Ma non è la Francia che conosciamo,
è qualcosa di estremamente diverso, di unico. Dal punto di vista
geografico, Guadeloupe è formata in realtà da due isole dai nomi legati
ai venti, separate solo da uno stretto canale. A est c’è Grande
Terre, principalmente pianeggiante, con lunghe spiagge come quelle di Sant’Anne
e Port Louis bagnate da tranquille acque trasparenti, ma anche
coste frastagliate e battute da violente onde come quelle di Pointe des
Chateaux. A ovest c’è invece l’isola di Basse Terre, con
anse più intime e un interno più selvaggio, una vegetazione
lussureggiante che ricopre il rugoso paesaggio, dominato dall’imponente
vulcano della Soufrière. La fitta vegetazione tropicale nasconde
alte cascate e innumerevoli ruscelli che formano vasche di acqua fredda,
tiepida e calda. La ricchezza di acque dolci è il motivo per cui i Caribe
avevano chiamato l’isola Karukera, cioè Terra delle Acque. Il
nome attuale fu invece dato da Cristoforo Colombo, il quale invocò la
vergine di Guadalupa (Spagna) in una tempesta. Dal nome di una delle sue
caravelle, il navigatore battezzò un’altra isola oggi dipendente dalla
Guadeloupe, cioè Marie-Galante, essenzialmente pianeggiante e con
splendide spiagge. La regione comprende altre isole, tra cui La Desirade,
montuosa e rurale, e Les Saintes, popolate soprattutto dai
discendenti dei primi coloni bretoni e con quella che è stata giudicata
la terza più bella baia del mondo. Isole con caratteristiche proprie ma
tutte accomunate dalla stessa cultura creolo-francese, la quale otre alla
lingua include anche la musica. Quella più popolare è il Zouk, allegro e
sensuale. C’è però anche il tradizionale Gwo-Ka, toccante, con
strumenti a percussione e radici affondate nei ritmi tribali degli
schiavi, il loro unico legame con la lontana Africa. Non è raro
ascoltarlo di notte, in lontanza, in occasione di qualche cerimonia
importante come un matrimonio. È inoltre il ritmo portante durante il
pittoresco carnevale. Come è chiaro per noi italiani però, cultura vuole
anche dire cibo, che qui sfrutta l’enorme disponibilità di pesce,
frutta e spezie, regalando sapori forti ed esotici. Alcuni esempi sono i
granchi farciti, gli accras (bignè di baccalà ed erbe), il blaff
(pesce in salsa di limone e spezie), il kassav (dolce di manioca e
cocco). Non dimentichiamo poi la bevanda regionale e uno dei principali
prodotti da esportazione, cioè il rum, che preparato con frutta
diventa planteur. Con limone verde e zucchero di canna diventa
invece ti-punch, bevuto prima dei pasti o sorseggiato durante le
partite di belote, popolarissimo gioco di carte. È questa quindi
la Guadeloupe, ricca di contrasti e di soprese, un luogo dove poter vivere
i caraibi e non semplicemente visitarne turistiche spiagge. Dove poter
attraversare fitte giungle o nuotare in limpide acque. Dove visitare musei
o passeggiare tra casette di legno d’altri tempi. O dove fare come me in
questo momento, seduto in veranda, impegnato nell’arduo compito di
oziare davanti al mare. Ma tutto ha una fine, devo partire… belote e
ti-punch mi attendono. |