Via Caetani: Bonifacio
VIII Caetani… Celestino V… e…
(Alberto
Restivo) - Mi ero
convinto, ormai, che per poter rivisitare il centro storico di Roma, sarei
dovuto uscire di casa alle 8 e di domenica mattina.
Con l’installazione delle telecamere a presidio della zona blu era
praticamente impossibile farla in barba alla Polizia municipale. Così,
pieno di rabbia per essere stato colto in fallo più di una volta e
desideroso, comunque, di gettare il cuore oltre l’ostacolo (in questo
caso, oltre il varco elettronico), decisi di seguire il consiglio di un
commerciante di Via del Corso: “A giovenò (bontà sua…) si te voi gòde
Roma per un par d’ore, devi da venì alle 8 e de domenica matina…”.
Prima meta il Vittoriano...: parcheggiata l’utilitaria in Piazza del
Collegio Romano, proprio davanti al Distretto di Polizia (..non si sa
mai…) mi incamminai con la mia “compagna” verso il monumento che
risplendeva nel sole di un mattino domenicale di fine giugno.
Era vero: avevamo riconquistato quegli spazi impraticabili durante i
giorni feriali, il suono delle campane delle chiese si spandeva
discretamente nell’aria e nulla sembrava disturbare quell’atmosfera
mista di buoni profumi provenienti dai bar appena aperti e con i primi
tavoli sui marciapiedi, pronti ad accogliere e “spennare” i primi
turisti che si vedevano girare a naso in su nei pressi della Chiesa di S.
Carlo al Corso.
La michelangiolesca fontana del “Facchino” in Via Lata, era in parte
baciata da un raggio di sole che passando fra i tetti dei palazzi
principeschi si posava sulla botticella da cui sgorga da secoli un’acqua
freschissima e ancora buona da bere.
Volevo fare sfoggio delle mie conoscenze con la mia accompagnatrice,
narrandole degli “acquarenari” (portatori di acqua attinta dal Tevere
e per questo mista a sabbia, all’epoca in cui i barbari per conquistare
Roma, la assetavano facendo saltare gli acquedotti), ma ella mi distolse
subito con un: “...Ma non mi avevi promesso un favoloso cappuccino in un
bar che conosci molto bene qui nei pressi? ...Facciamo presto che a casa
abbiamo molto da fare!..”
Via Caetani
era sotto i nostri passi e così riuscii per il momento a distoglierla
dalla caffetteria e ad interessarla al nuovo ambiente ricordandole gli
eventi che portavano il nome di Aldo Moro, il cui corpo senza vita per
mano delle famigerate Brigate rosse fu rinvenuto il 9 maggio 1978,
adagiato nel bagagliaio di una Renault, proprio in quella strada che
stavamo percorrendo. Facilmente la memoria si sposta su Via Fani, sui
cinque morti della scorta, sul prigioniero, Presidente della allora DC,
“chiuso nel carcere del popolo”: quei cinque cadaveri peseranno come
macigni, durante i 55 giorni della prigionia di Moro, sulle polemiche tra
i sostenitori della fermezza e i sostenitori della trattativa. La
trattativa poteva avere come interlocutori solo gli esecutori ed i
mandanti della strage di Via Fani ed equivaleva a dare un riconoscimento
di legittimità guerriera per chi non aveva esitato a decidere lo
sterminio.
I brigatisti invocavano per il loro crimine moventi di comodo, intrisi di
mal digerita e rozza ideologia. (cfr. Indro Montanelli: L’Italia degli
anni di piombo).
Ma siamo in Via Caetani, ed il senso di angoscia, provocato da questi
eventi accaduti oltre 20 anni fa, viene allontanato da memorie ancora più
antiche che ci ricollegano a personaggi che non hanno mai finito di
solleticare l’interesse di cronisti e storici di tutti i tempi.
La memoria stimolata dall’ambiente, incomincia ad agitarsi in tutte le
direzioni realizzando i collegamenti più strani in uno spasmodico
tentativo di richiamare alla realtà personaggi che hanno avuto il
privilegio di fare la storia della nostra nazione. Ed ecco emergere dal
passato per collocarsi al fresco ombroso dei portici di Palazzo Caetani,
due figure appartenute ad epoche diverse, ma che dovevano essere
“assidue” di quella particolare zona del centro storico romano che va
appunto da Via Caetani a Piazza del Gesù dove, forse si saranno
incontrati nel loro eterno girovagare, nel mondo dell’al di là.
La prima figura in ordine di tempo e luogo (siamo nei pressi di Palazzo
Caetani) è appunto Benedetto Caetanoi - alias Bonifacio VIII, papa dal
1294 al 1303.
La storia della sua vita è nota: nato ad Anagni nel 1235 e divenuto dotto
giurista, fece la sua carriera presso la Curia romana, divenendo Cardinale
nel 1281 e Papa nel 1294 (24 dicembre) dal Conclave riunito a Napoli.
Ricordato per il suo carattere impetuoso ed autoritario, consolidò la sua
posizione personale e familiare a Roma sgominando i suoi avversari, in
particolare i Colonna, con la distruzione di Palestrina nel 1298.
Protagonista della politica del tempo, tentò di concretizzare il suo
programma inteso alla realizzazione della supremazia pontificia nel campo
spirituale e in quello temporale su tutto il mondo cristiano.
Non ebbe, però il successo sperato, infatti i suoi tentativi di fungere
da pacificatore ed arbitro nei molti e gravi conflitti del tempo, non solo
fallirono, ma gli procurarono impopolarità, accuse ed odi implacabili.
Questo fu l’esito dei suoi interventi nelle lotte fra Genova e Venezia,
Angioini ed Aragonesi, tra Bianchi e Neri di Firenze, da cui i severissimi
giudizi di Dante, il quale vide in lui, non soltanto il pericoloso nemico
della libertà fiorentina, ma anche il pontefice assetato di potenza
terrena al punto da farsi usurpatore dei diritti allora spettanti
all’impero per destinazione divina.
Ma la forza e l’impeto del suo carattere emersero nella lunga lotta che
sostenne contro Filippo il Bello, re di Francia, in varie occasioni:
originariamente, reagendo con la Bolla “Clericis Laicos” alle pretese
del re di sottoporre gli ecclesiastici francesi alle imposte, senza il
consenso della Santa Sede e successivamente, con La Bolla “Unam Sanctam”,
espresse la più solenne dichiarazione della supremazia pontificia contro
lo stesso Filippo il Bello, che a sua volta scatenò una violenta campagna
contro il papa che dovette subire, per opera di Guglielmo di Nogaret e di
Sciarra Colonna, l’oltraggio di Anagni.
Liberato dal popolo di Anagni, scomunicò Filippo il Bello il 20.09.1303.
Morì a Roma l’11.10.1303.
Ma
qual’è il motivo che, in un assolato mattino di giugno, ci ha portato
ad immaginare una presenza come quella di Bonifacio VIII vicino al luogo
del ritrovamento del corpo di un uomo politico, protagonista e artefice di
eventi che hanno fatto la storia dell’Italia... molti pensieri,
riflessioni, sensazioni di profonde analogie nelle vite di questi
personaggi, forse anch’esse prese nel vortice dei corsi e ricorsi
storici? Forse un’altra figura che, analogamente a quella dei giorni
nostri, ha lasciato una lunga traccia di ricordi e di inquietanti
interrogativi. In molti ancora oggi si inginocchiano all’altare che,
nella Basilica di Collemaggio (L’Aquila), conserva la teca con le
spoglie di Celestino V, papa contadino ed eremita che sconvolse con la sua
elezione, nel 1294 e per pochi mesi, ogni attesa, gettando sorpresa e
scandalo anche per la sua decisione di dimettersi dall’incarico, il
“gran rifiuto” bollato come noto da Dante.
Ancora oggi, viene celebrato in L’Aquila il rito della “Perdonanza”
che, con l’esposizione della Bolla papale, vuole ricordare appunto la
Bolla con cui il Papa Santo intese offrire ai fedeli la purificazione da
tutti i peccati, Bolla che, come ogni altra da lui pubblicata, fu subito
annullata dal suo successore e grande avversario Bonifacio VIII che però,
qualche anno più tardi, ideò realmente il Giubileo, cercando così di
cancellare ogni traccia e ricordo del suo scomodo predecessore.
Intorno alla reliquia c’è una legittima curiosità se non un vero e
proprio giallo, una morte violenta, un omicidio su commissione
“papale”...?!
Studiosi, cronisti, storici del medioevo sostengono ancora che Pietro da
Morrone, appena abbandonato il Pontificato, sia divenuto un vero problema
per il suo potentissimo cardinale Caetani, subito eletto Papa dopo di lui.
Già in precedenza, il futuro Bonifacio VIII avrebbe tentato con ogni
mezzo di spingerlo alla fatale decisione di mettersi da parte con mezzi
leciti e non.
Comunque, il Caetani (e ciò è documentato da storici) rinchiuse nel
Castello di Fumone presso Anagni, Pietro Morrone, ormai ottantenne, per
annullarne ogni vanità, sottoponendolo ad ogni tipo di vessazione, fino a
(e qui inizia la leggenda) fargli infilzare un bel chiodo in testa.
L’uomo “imprevedibile” che aveva tanto consenso per le sue idee e
per la convinzione che la Chiesa si potesse governare solo con il potere
spirituale, doveva scomparire altrimenti sarebbe divento un simbolo
vivente di contestazione del principio allora in vigore che aveva visto
Bonifacio VIII rivendicare il potere temporale della Chiesa, nel contrasto
con Filippo il Bello di Francia.
Sembra che quel “chiodo”, recante tracce di sangue, fosse stato
conservato in un muro della Chiesa celestiniana di Santo Spirito a
Maiella.
Ma c’è ancora di più nella storia di Papa Celestino V: le sue
reliquie, trafugate nel 1988 e ritrovate nel cimitero di un paese vicino,
prima di essere ricomposte nella teca, furono sottoposte ad esami
tossicologici ed il cranio in particolare fu sottoposto ad una TAC.
Studiosi di storia medievale e storici illustri si sono cimentati nel
tentativo di dare una spiegazione al foro trovato nel cranio e fra le
tante ipotesi ne è scaturita una, l’ultima, per cui il foro nel cranio
di CelestinoV sarebbe una specie di prova costruita a posteriori
nell’ambiente francese di Filippo il Bello, contro Bonifacio VIII (nel
rispetto delle più nefande regole della politica) per dimostrare le
torture a cui egli avrebbe sottoposto in carcere Celestino V.
Serviva cioè il martirio di un santo da usare contro l’avversario
politico del momento, il Caetani, il quale nel frattempo era morto e non
poteva quindi più difendersi dall’accusa. L’antico mistero sembra
essere ancora di attualità, perché ruota intorno ad un personaggio
definito dagli storici “profeta disarmato”, vittima di un gesto senza
precedenti, “campione di un’utopia” contro ogni forma di crudele
gestione del potere.
Dante Alighieri nel definire Celestino V come colui che “oppose il gran
rifiuto “volle sottolineare l’inadeguatezza psicologica del
personaggio, tanto amato dal popolo, ma pur tuttavia penalizzato da una
incapacità di reggere il peso del mondo e delle sue decisioni firmando,
come avvenne, bolle pontificie in bianco...
Insomma, quella mattina ci è sembrato di avvertire in Via Caetani la
stessa atmosfera caratterizzante i due cruenti fatti, scaturiti da
presupposti diremmo analoghi: la debolezza della classe politica dei
giorni nostri che innescò la spirale perversa del terrore fino ad
arrivare ad un vero e proprio “colpo alle istituzioni dello Stato” con
la strage di Via Fani, prima, e l’omicidio dell’uomo politico che, può
senza dubbio meritare il titolo di “campione di un’utopia” nella
lotta contro ogni forma di crudele gestione del potere politico.
Riflessioni troppo serie nel corso di una domenica mattina nel centro di
Roma dove gli edifici ci parlano della storia della città e delle tante
dinastie regali che vi si susseguirono.
Non possiamo tralasciare di evidenziare come il potere papale, con il suo
risvolto politico-statuale, non solo ha avuto una considerevole influenza
sulla storia della città, ma ha impresso anche tracce profonde al suo
sviluppo urbanistico ed alla sua edilizia monumentale.
I Caetani non furono da meno nel conquistarsi le residenze più “in”
dell’epoca. Originari di Gaeta, si hanno loro notizie dal XII secolo: il
ramo più importante, quello di Anagni si divise in due intorno al 1420
formando il ramo di Aragona (con feudi compresi nel regno di Napoli) e il
ramo di Sermoneta (comprendente feudi dello Stato della Chiesa).
Forti dei loro dominii nel Lazio centrale e meridionale, risiedettero al
tempo delle loro lotte con le altre famiglie nobili romane, negli ambienti
fortificati della Torre delle Milizie, detta la Torre pendente di Roma,
dalla sua inclinazione che si nota guardando la struttura da V. Nazionale,
pendenza causata dal terremoto del 1348 che provocò la caduta del terzo
piano. Proveniente dagli Annibaldi, la Torre passò ai Prefetti di Vico e
poi a Bonifacio VIII Caetani; secondo alcuni si trattava di una Torre di
età romana da cui Nerone, assistendo all’incendio di Roma, cantò la
distruzione di Troia, indossando l’abito di scena.
Altra residenza dei Caetani fu il Castello suburbano di Campo di Bove
(presso la Tomba di Cecilia Metella) e poi nel castello dell’isola
Tiberina originariamente di proprietà dei Pierleone (1192) e passato ai
Caetani, nel 1300, che lo rinforzarono con ingenti lavori di
trasformazione e consolidamento per resistere alle piene del Tevere.
Il castello ospitò la Contessa Matilde di Canossa, sostenitrice della
Chiesa dal suo dominio in Etruria.
Con una certa preferenza per le residenze sul fiume, i Caetani nel 1550,
costruivano un palazzo detto “All’Orso”, sulla riva del fiume vicino
al superstite albergo dell’ Orso, cedendolo nel 1639 come Convento
all’Ordine dei Celestini, in quanto infastiditi dalle frequenti piene
del Tevere.
Successivamente, si insediarono a Palazzo Caetani, oggi Ruspoli, edificato
sul Corso dai fiorentini Ruccellai.
Nel 1776 presero sede in quel palazzo che oggi porta il loro nome, ubicato
in Via delle Botteghe Oscure, costruito nel 1550 da Alessandro Mattei.
Fulcro della potenza dei Caetani nel Lazio meridionale rimane il Castello
di Sermoneta: già feudo dei Conti di Tuscolo, fu ceduto alla famiglia di
origine germanica degli Annibaldi che, nel 1297, lo vendettero a Pietro
Caetani dietro pagamento di 140 mila fiorini d’oro.
Fu il primo di una serie di atti che portarono i Caetani ad acquisire
ampie proprietà e feudi come Bassiano, Norma e Ninfa.
Con un gigantesco esborso, la famiglia che aveva a capo Benedetto Caetani,
consolidò la sua notevole posizione con i territori verso il mare e con
quelli di Campagna e Ciociaria.
La crescita di importanza di Sermoneta è legata dunque alla crescita di
potenza dei Caetani che si imposero in tutto il Lazio a sud, ma comunque
sempre in conflitto con le altre famiglie feudali come i Colonna e con i
Borgia, contro i quali perdettero alla fine del 400 tutto il feudo
sermonetano.
Morto Alessandro VI Borgia, i Caetani con Guglielmo Caetani (1503) furono
reintegrati nei loro possedimenti, riottenendo i loro beni che non
avrebbero più perduto, stabilendo così una continuità di rapporto fra
Famiglia e luogo. |