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Sommario anno XI numero 11 - novembre 2002

 STORIA
Via Caetani: Bonifacio VIII Caetani… Celestino V… e…
L’Aquila - Santa Maria di Colle  Maggio(Alberto Restivo) - Mi ero convinto, ormai, che per poter rivisitare il centro storico di Roma, sarei dovuto uscire di casa alle 8 e di domenica mattina.
Con l’installazione delle telecamere a presidio della zona blu era praticamente impossibile farla in barba alla Polizia municipale. Così, pieno di rabbia per essere stato colto in fallo più di una volta e desideroso, comunque, di gettare il cuore oltre l’ostacolo (in questo caso, oltre il varco elettronico), decisi di seguire il consiglio di un commerciante di Via del Corso: “A giovenò (bontà sua…) si te voi gòde Roma per un par d’ore, devi da venì alle 8 e de domenica matina…”.
Prima meta il Vittoriano...: parcheggiata l’utilitaria in Piazza del Collegio Romano, proprio davanti al Distretto di Polizia (..non si sa mai…) mi incamminai con la mia “compagna” verso il monumento che risplendeva nel sole di un mattino domenicale di fine giugno.
Era vero: avevamo riconquistato quegli spazi impraticabili durante i giorni feriali, il suono delle campane delle chiese si spandeva discretamente nell’aria e nulla sembrava disturbare quell’atmosfera mista di buoni profumi provenienti dai bar appena aperti e con i primi tavoli sui marciapiedi, pronti ad accogliere e “spennare” i primi turisti che si vedevano girare a naso in su nei pressi della Chiesa di S. Carlo al Corso.
La michelangiolesca fontana del “Facchino” in Via Lata, era in parte baciata da un raggio di sole che passando fra i tetti dei palazzi principeschi si posava sulla botticella da cui sgorga da secoli un’acqua freschissima e ancora buona da bere.
Volevo fare sfoggio delle mie conoscenze con la mia accompagnatrice, narrandole degli “acquarenari” (portatori di acqua attinta dal Tevere e per questo mista a sabbia, all’epoca in cui i barbari per conquistare Roma, la assetavano facendo saltare gli acquedotti), ma ella mi distolse subito con un: “...Ma non mi avevi promesso un favoloso cappuccino in un bar che conosci molto bene qui nei pressi? ...Facciamo presto che a casa abbiamo molto da fare!..”
Via Caetani era sotto i nostri passi e così riuscii per il momento a distoglierla dalla caffetteria e ad interessarla al nuovo ambiente ricordandole gli eventi che portavano il nome di Aldo Moro, il cui corpo senza vita per mano delle famigerate Brigate rosse fu rinvenuto il 9 maggio 1978, adagiato nel bagagliaio di una Renault, proprio in quella strada che stavamo percorrendo. Facilmente la memoria si sposta su Via Fani, sui cinque morti della scorta, sul prigioniero, Presidente della allora DC, “chiuso nel carcere del popolo”: quei cinque cadaveri peseranno come macigni, durante i 55 giorni della prigionia di Moro, sulle polemiche tra i sostenitori della fermezza e i sostenitori della trattativa. La trattativa poteva avere come interlocutori solo gli esecutori ed i mandanti della strage di Via Fani ed equivaleva a dare un riconoscimento di legittimità guerriera per chi non aveva esitato a decidere lo sterminio.
I brigatisti invocavano per il loro crimine moventi di comodo, intrisi di mal digerita e rozza ideologia. (cfr. Indro Montanelli: L’Italia degli anni di piombo).
Ma siamo in Via Caetani, ed il senso di angoscia, provocato da questi eventi accaduti oltre 20 anni fa, viene allontanato da memorie ancora più antiche che ci ricollegano a personaggi che non hanno mai finito di solleticare l’interesse di cronisti e storici di tutti i tempi.
La memoria stimolata dall’ambiente, incomincia ad agitarsi in tutte le direzioni realizzando i collegamenti più strani in uno spasmodico tentativo di richiamare alla realtà personaggi che hanno avuto il privilegio di fare la storia della nostra nazione. Ed ecco emergere dal passato per collocarsi al fresco ombroso dei portici di Palazzo Caetani, due figure appartenute ad epoche diverse, ma che dovevano essere “assidue” di quella particolare zona del centro storico romano che va appunto da Via Caetani a Piazza del Gesù dove, forse si saranno incontrati nel loro eterno girovagare, nel mondo dell’al di là.
La prima figura in ordine di tempo e luogo (siamo nei pressi di Palazzo Caetani) è appunto Benedetto Caetanoi - alias Bonifacio VIII, papa dal 1294 al 1303.
La storia della sua vita è nota: nato ad Anagni nel 1235 e divenuto dotto giurista, fece la sua carriera presso la Curia romana, divenendo Cardinale nel 1281 e Papa nel 1294 (24 dicembre) dal Conclave riunito a Napoli.
Ricordato per il suo carattere impetuoso ed autoritario, consolidò la sua posizione personale e familiare a Roma sgominando i suoi avversari, in particolare i Colonna, con la distruzione di Palestrina nel 1298.
Protagonista della politica del tempo, tentò di concretizzare il suo programma inteso alla realizzazione della supremazia pontificia nel campo spirituale e in quello temporale su tutto il mondo cristiano.
Non ebbe, però il successo sperato, infatti i suoi tentativi di fungere da pacificatore ed arbitro nei molti e gravi conflitti del tempo, non solo fallirono, ma gli procurarono impopolarità, accuse ed odi implacabili.
Questo fu l’esito dei suoi interventi nelle lotte fra Genova e Venezia, Angioini ed Aragonesi, tra Bianchi e Neri di Firenze, da cui i severissimi giudizi di Dante, il quale vide in lui, non soltanto il pericoloso nemico della libertà fiorentina, ma anche il pontefice assetato di potenza terrena al punto da farsi usurpatore dei diritti allora spettanti all’impero per destinazione divina.
Ma la forza e l’impeto del suo carattere emersero nella lunga lotta che sostenne contro Filippo il Bello, re di Francia, in varie occasioni: originariamente, reagendo con la Bolla “Clericis Laicos” alle pretese del re di sottoporre gli ecclesiastici francesi alle imposte, senza il consenso della Santa Sede e successivamente, con La Bolla “Unam Sanctam”, espresse la più solenne dichiarazione della supremazia pontificia contro lo stesso Filippo il Bello, che a sua volta scatenò una violenta campagna contro il papa che dovette subire, per opera di Guglielmo di Nogaret e di Sciarra Colonna, l’oltraggio di Anagni.
Liberato dal popolo di Anagni, scomunicò Filippo il Bello il 20.09.1303.
Morì a Roma l’11.10.1303.
Celestino VMa qual’è il motivo che, in un assolato mattino di giugno, ci ha portato ad immaginare una presenza come quella di Bonifacio VIII vicino al luogo del ritrovamento del corpo di un uomo politico, protagonista e artefice di eventi che hanno fatto la storia dell’Italia... molti pensieri, riflessioni, sensazioni di profonde analogie nelle vite di questi personaggi, forse anch’esse prese nel vortice dei corsi e ricorsi storici? Forse un’altra figura che, analogamente a quella dei giorni nostri, ha lasciato una lunga traccia di ricordi e di inquietanti interrogativi. In molti ancora oggi si inginocchiano all’altare che, nella Basilica di Collemaggio (L’Aquila), conserva la teca con le spoglie di Celestino V, papa contadino ed eremita che sconvolse con la sua elezione, nel 1294 e per pochi mesi, ogni attesa, gettando sorpresa e scandalo anche per la sua decisione di dimettersi dall’incarico, il “gran rifiuto” bollato come noto da Dante.
Ancora oggi, viene celebrato in L’Aquila il rito della “Perdonanza” che, con l’esposizione della Bolla papale, vuole ricordare appunto la Bolla con cui il Papa Santo intese offrire ai fedeli la purificazione da tutti i peccati, Bolla che, come ogni altra da lui pubblicata, fu subito annullata dal suo successore e grande avversario Bonifacio VIII che però, qualche anno più tardi, ideò realmente il Giubileo, cercando così di cancellare ogni traccia e ricordo del suo scomodo predecessore.
Intorno alla reliquia c’è una legittima curiosità se non un vero e proprio giallo, una morte violenta, un omicidio su commissione “papale”...?!
Studiosi, cronisti, storici del medioevo sostengono ancora che Pietro da Morrone, appena abbandonato il Pontificato, sia divenuto un vero problema per il suo potentissimo cardinale Caetani, subito eletto Papa dopo di lui. Già in precedenza, il futuro Bonifacio VIII avrebbe tentato con ogni mezzo di spingerlo alla fatale decisione di mettersi da parte con mezzi leciti e non.
Comunque, il Caetani (e ciò è documentato da storici) rinchiuse nel Castello di Fumone presso Anagni, Pietro Morrone, ormai ottantenne, per annullarne ogni vanità, sottoponendolo ad ogni tipo di vessazione, fino a (e qui inizia la leggenda) fargli infilzare un bel chiodo in testa.
L’uomo “imprevedibile” che aveva tanto consenso per le sue idee e per la convinzione che la Chiesa si potesse governare solo con il potere spirituale, doveva scomparire altrimenti sarebbe divento un simbolo vivente di contestazione del principio allora in vigore che aveva visto Bonifacio VIII rivendicare il potere temporale della Chiesa, nel contrasto con Filippo il Bello di Francia.
Sembra che quel “chiodo”, recante tracce di sangue, fosse stato conservato in un muro della Chiesa celestiniana di Santo Spirito a Maiella.
Ma c’è ancora di più nella storia di Papa Celestino V: le sue reliquie, trafugate nel 1988 e ritrovate nel cimitero di un paese vicino, prima di essere ricomposte nella teca, furono sottoposte ad esami tossicologici ed il cranio in particolare fu sottoposto ad una TAC.
Studiosi di storia medievale e storici illustri si sono cimentati nel tentativo di dare una spiegazione al foro trovato nel cranio e fra le tante ipotesi ne è scaturita una, l’ultima, per cui il foro nel cranio di CelestinoV sarebbe una specie di prova costruita a posteriori nell’ambiente francese di Filippo il Bello, contro Bonifacio VIII (nel rispetto delle più nefande regole della politica) per dimostrare le torture a cui egli avrebbe sottoposto in carcere Celestino V.
Serviva cioè il martirio di un santo da usare contro l’avversario politico del momento, il Caetani, il quale nel frattempo era morto e non poteva quindi più difendersi dall’accusa. L’antico mistero sembra essere ancora di attualità, perché ruota intorno ad un personaggio definito dagli storici “profeta disarmato”, vittima di un gesto senza precedenti, “campione di un’utopia” contro ogni forma di crudele gestione del potere.
Dante Alighieri nel definire Celestino V come colui che “oppose il gran rifiuto “volle sottolineare l’inadeguatezza psicologica del personaggio, tanto amato dal popolo, ma pur tuttavia penalizzato da una incapacità di reggere il peso del mondo e delle sue decisioni firmando, come avvenne, bolle pontificie in bianco...
Insomma, quella mattina ci è sembrato di avvertire in Via Caetani la stessa atmosfera caratterizzante i due cruenti fatti, scaturiti da presupposti diremmo analoghi: la debolezza della classe politica dei giorni nostri che innescò la spirale perversa del terrore fino ad arrivare ad un vero e proprio “colpo alle istituzioni dello Stato” con la strage di Via Fani, prima, e l’omicidio dell’uomo politico che, può senza dubbio meritare il titolo di “campione di un’utopia” nella lotta contro ogni forma di crudele gestione del potere politico.
Riflessioni troppo serie nel corso di una domenica mattina nel centro di Roma dove gli edifici ci parlano della storia della città e delle tante dinastie regali che vi si susseguirono.
Non possiamo tralasciare di evidenziare come il potere papale, con il suo risvolto politico-statuale, non solo ha avuto una considerevole influenza sulla storia della città, ma ha impresso anche tracce profonde al suo sviluppo urbanistico ed alla sua edilizia monumentale.
I Caetani non furono da meno nel conquistarsi le residenze più “in” dell’epoca. Originari di Gaeta, si hanno loro notizie dal XII secolo: il ramo più importante, quello di Anagni si divise in due intorno al 1420 formando il ramo di Aragona (con feudi compresi nel regno di Napoli) e il ramo di Sermoneta (comprendente feudi dello Stato della Chiesa).
Forti dei loro dominii nel Lazio centrale e meridionale, risiedettero al tempo delle loro lotte con le altre famiglie nobili romane, negli ambienti fortificati della Torre delle Milizie, detta la Torre pendente di Roma, dalla sua inclinazione che si nota guardando la struttura da V. Nazionale, pendenza causata dal terremoto del 1348 che provocò la caduta del terzo piano. Proveniente dagli Annibaldi, la Torre passò ai Prefetti di Vico e poi a Bonifacio VIII Caetani; secondo alcuni si trattava di una Torre di età romana da cui Nerone, assistendo all’incendio di Roma, cantò la distruzione di Troia, indossando l’abito di scena.
Altra residenza dei Caetani fu il Castello suburbano di Campo di Bove (presso la Tomba di Cecilia Metella) e poi nel castello dell’isola Tiberina originariamente di proprietà dei Pierleone (1192) e passato ai Caetani, nel 1300, che lo rinforzarono con ingenti lavori di trasformazione e consolidamento per resistere alle piene del Tevere.
Il castello ospitò la Contessa Matilde di Canossa, sostenitrice della Chiesa dal suo dominio in Etruria.
Con una certa preferenza per le residenze sul fiume, i Caetani nel 1550, costruivano un palazzo detto “All’Orso”, sulla riva del fiume vicino al superstite albergo dell’ Orso, cedendolo nel 1639 come Convento all’Ordine dei Celestini, in quanto infastiditi dalle frequenti piene del Tevere.
Successivamente, si insediarono a Palazzo Caetani, oggi Ruspoli, edificato sul Corso dai fiorentini Ruccellai.
Nel 1776 presero sede in quel palazzo che oggi porta il loro nome, ubicato in Via delle Botteghe Oscure, costruito nel 1550 da Alessandro Mattei.
Fulcro della potenza dei Caetani nel Lazio meridionale rimane il Castello di Sermoneta: già feudo dei Conti di Tuscolo, fu ceduto alla famiglia di origine germanica degli Annibaldi che, nel 1297, lo vendettero a Pietro Caetani dietro pagamento di 140 mila fiorini d’oro.
Fu il primo di una serie di atti che portarono i Caetani ad acquisire ampie proprietà e feudi come Bassiano, Norma e Ninfa.
Con un gigantesco esborso, la famiglia che aveva a capo Benedetto Caetani, consolidò la sua notevole posizione con i territori verso il mare e con quelli di Campagna e Ciociaria.
La crescita di importanza di Sermoneta è legata dunque alla crescita di potenza dei Caetani che si imposero in tutto il Lazio a sud, ma comunque sempre in conflitto con le altre famiglie feudali come i Colonna e con i Borgia, contro i quali perdettero alla fine del 400 tutto il feudo sermonetano.
Morto Alessandro VI Borgia, i Caetani con Guglielmo Caetani (1503) furono reintegrati nei loro possedimenti, riottenendo i loro beni che non avrebbero più perduto, stabilendo così una continuità di rapporto fra Famiglia e luogo.
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