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Sommario anno XI numero 12 - dicembre 2002

 I NOSTRI PAESI - pag. 13
frascati
Tusculum  Riemerge una città
(Luca Ceccarelli) - Tusculum era una città latina che divenne colonia romana nel III secolo, pur conservando una larga autonomia. Durante la tarda età repubblicana e in epoca imperiale fu una meta di soggiorno dei patrizi romani. Nel corso del Medio Evo si trasformò nella sede fortificata della famiglia dei Conti, finché nel 1191 la città non venne distrutta e rasa al suolo dai romani con il benestare dell’Imperatore Enrico VI (il cui padre, Federico Barbarossa, non aveva mai acconsentito alla sua distruzione). La popolazione superstite di Tusculum si rifugiò attorno alle chiese di Santa Maria e San Sebastiano in Frascata, così dette perché la popolazione vi aveva diritto “di frasca”, ossia, di tagliare la legna dei boschi. Da qui nacque nel Medio Evo il nuovo borgo di Frascati, che nel XIV secolo venne cinto di mura.  Di Tusculum per moltissimo tempo non si parlò più, anche se le numerose ville che vennero edificate a partire dal Cinquecento, quando il paese divenne dominio della Santa Sede, accrebbero l’importanza della città di Frascati.

L’esposizione che si è svolta nelle Scuderie Aldobrandini di Frascati, curata da Giovanna Cappelli e Susanna Pasquali dedicata a Tusculum. Luigi Canina e la riscoperta di un’antica città, che è durata fino al 10 novembre, con l’Alto Patrocinio della Presidenza della Repubblica, ha proposto un’abbondante messe di materiali archeologici rinvenuti nell’area dove sorgeva l’antica città, oltre a documenti che, corredati da un’esposizione chiara ed esaustiva, mostrano come, a partire dal XVII secolo l’antica Tusculum sia lentamente riemersa, come una specie di Atlantide, dalla sepoltura a cui l’avevano condannata il tempo e le catastrofi storiche. Del suo nuovo volto comincia ad esserci traccia nelle carte topografiche del Seicento e del Settecento, in cui il nucleo abitato circondato dalle mura appare circondato da ville. Ne abbiamo un esempio in un’incisione di Jean Bleu del 1704, in una di Matthäus Greuter del 1620, in Havart de Rogissart (1709) e nelle topografie del celebre Athanasius Kircher (1671), a cui è stato dedicato recentemente un convegno qui ai Castelli. Nel XVII e nel XVIII secolo ci fu un’intenso dibattito a distanza tra eruditi su dove fosse ubicata l’antica Tusculum, e furono ipotizzati diversi  luoghi in corrispondenza di ruderi tra Frascati e Grottaferrata.
La villa Rufinella si chiama così perché il suo nucleo originario fu sistemato dai Rufini nel tardo Cinquecento. Passata di mano più di una volta, nel 1741 essa divenne la residenza estiva della Compagnia di Gesù, e il Collegio Romano dei gesuiti incaricò di restaurarla il celebre architetto Luigi Vanvitelli, che le diede l’aspetto attuale. Gli scavi che vennero effettuati nei decenni successivi rivelarono che Tusculum aveva sede proprio in corrispondenza della Rufinella e dei possedimenti limitrofi. L’importanza della scoperta di Tusculum fu enorme, soprattutto per comprendere l’assetto urbanistico delle città dell’Antica Roma.
Nel 1773 la Compagnia di Gesù, com’è noto, venne sciolta, e i suoi beni, compresa la Rufinella e i nuovi reperti archeologici, vennero incamerati dalla Camera Apostolica pontificia. Qualche anno dopo, con l’espansione dell’Impero napoleonico, la villa passò a Luciano Bonaparte, che ne fu proprietario fino al 1820. Sotto l’Impero gli scavi ricevettero un nuovo impulso, tanto che il celebre antichista Antonio Nibby poté pubblicare una rappresentazione topografica del Tuscolo, con la pianta della cittadella, i resti dei due teatri e un tratto dell’antica via, che non si discostava molto da quello confermato dalle planimetrie effettuate in epoca contemporanea. Di questo periodo, nella mostra è stato proposto un disegno ad inchiostro di seppia su carta di Charles Chatillon raffigurante i membri della famiglia Bonaparte (dello stesso Chatillon è stato esposto un acquerello nella mostra su carta che raffigura la Rufinella).
Nel 1820 la Rufinella e i suoi possedimenti passarono ai Savoia, che diedero nuovo impulso alla prosecuzione degli scavi, finché nel 1826 l’architetto e incisore Luigi Rossini presentò una serie di tavole con i nuovi ritrovamenti, tre delle quali sono state esposte nella mostra. L’impulso maggiore agli scavi lo diede Maria Cristina di Borbone, vedova di Carlo Felice, che promosse la villa a sua residenza estiva dal 1838 al 1842, ribattezzandola Villa Tusculana. La villa e gli scavi furono visitati dal Papa Gregorio XVI, grande appassionato di archeologia, e la visita è immortalata in un acquerello di Salomon Corrodi conservato al Castello d’Agliè ed esposto nella mostra. Ebbene, fu proprio la principessa Maria Cristina ad incaricare della direzione degli scavi Luigi Canina, giovane architetto piemontese assai esperto di archeologia. Sotto la sua direzione l’area del foro venne resa visitabile, e il Canina, con il patrocinio della principessa, promosse anche l’edizione della Descrizione dell’antico Tuscolo, del 1841, una raccolta di tavole in cui venivano riprodotti, in stampe davvero pregevoli, i nuovi reperti. Alcune tavole, presenti nella mostra, erano di mano del Canina, altre di un incisore di grande valore Eugenio Landesio, come la Veduta dell’anfiteatro tusculano e la Veduta del Teatro Tuscolano. Con il lavoro di ricognizione e di riproduzione del Canina (che morirà nel 1856 a soli 39 anni) abbiamo l’ultima e decisiva stagione di ritrovamenti dell’Ottocento, prima che i terrenti passassero, nel 1873, dai Savoia agli Aldobrandini Borghese. Interessanti sono, tuttavia, anche le acquisizioni di una scuola archeologica spagnola che in anni recenti ha formulato un’ipotesi interessante sulla vera identità della presunta villa di Cicerone (che già il Canina sapeva non essere realmente tale). Sembra che si tratti di un tempio non dissimile da quello della Fortuna Primigenia di Palestrina, e da altri templi pagani le cui rovine costellano il Lazio.

lettera a controluce
Democrazia
(Luigi  Baldassarre) - Ho letto l’articolo  “Il Paese di Nessuno – 2” di Alessandra   Felici sul numero scorso di CONTROLUCE…… apprezzandone il contenuto e condividendo appieno l’analisi sui motivi del degrado politico -amministrativo della nostra comunità. Vorrei soltanto aggiungere e rafforzare l’idea che la “politica”, nel significato più profondo della parola, è uno strumento utile per realizzare idee e progetti a favore di uno Stato, Regione, Provincia o di una qualsiasi comunità, piccola o grande che sia.

Accade spesso, però, specialmente nell’immaginario collettivo dei piccoli Centri, come il nostro, credere che questa debba essere ideata e gestita  unicamente dai Partiti, i quali, quasi sempre, si configurano  con gli Amministratori locali.  Ciò  potrebbe anche essere accettabile a patto che sia  gestita  da persone dotate di valori etici, cioè, di una istintiva percezione del giusto e dell’onesto.
Sebbene alcuni politici,  ( quasi sempre politicanti…) abbiano queste nobili prerogative, non sempre riescono a mantenere ferma quella dirittura morale che li dovrebbe contraddistinguere, in quanto cadono quasi sempre,  nella spirale, a dir poco “pericolosa”, di una gestione troppo personale, influenzando negativamente sulle legittime aspirazioni civili della società... Questo modo malsano di concepire e usare la politica umilia e rallenta la crescita delle coscienze! Per evitare questa infelice situazione, secondo il mio modesto parere, si dovrebbe espandere, allargare la  gestione stessa della politica,  coinvolgendo l’intera comunità… Ma per realizzare ciò bisogna crederci, puntare verso questo obiettivo, volerlo veramente, senza confondere  e mescolare l’interesse personale con il bisogno collettivo, staccando, innanzitutto, la spina della furbizia e della riserva mentale. (È chiaro che questo principio vale anche per tutte  quelle “istituzioni e organizzazioni sociali “ esistenti sul territorio...).
Occorre, perciò,fare uno sforzo culturale per uscire da questa situazione perversa che non è facile, riconosco, ma  neanche impossibile: è questione, ripeto, di credere, di volere e di essere propensi, innanzitutto, ad ascoltare,mettendo da parte l’arroganza e la presunzione di chi crede di poter comandare a proprio piacimento, sol perché occupa una determinata carica elettiva……
Con questa mia modesta e breve analisi, non mi illudo di aver dato la soluzione al problema, bensì spero di stimolare tutti gli uomini di buona volontà ad una riflessione seria ed accorata, senza faziosità di parte.
Concludo e ribadisco che: la mancanza di attuazione di una “politica democratica”, a qualsiasi livello, intesa come reale partecipazione popolare di ascolto, di coinvolgimento e di operatività, porta la società tutta ad una difficoltà nel camminare con le proprie gambe, nell’immaginare e nell’organizzare quelle giuste condizioni di vivibilità  e di qualità della vita come scelta responsabile e consapevole.

 I NOSTRI PAESI - pag. 13

Sommario anno XI numero 12 - dicembre 2002