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Sommario anno XII numero 1 - gennaio 2003

 I NOSTRI SENTIMENTI
Se tutti fossimo come toro Ferdinando…
(Luca Nicotra) - Lo ricordo perfettamente, come se fosse davanti a me. Un librone di poche pagine, ciascuna tanto spessa da sembrare di legno, con i caratteri grossi, adatti alla lettura da parte di un bimbo di sei o sette anni e con le illustrazioni che occupavano pagine intere. È il libro, per bambini, della storia fantastica di “toro Ferdinando”, un giovane torello madrileno, dotato dalla natura di un incredibile carattere mite e poetico, insolito per un animale di quella specie. Mi è rimasto scolpito nella memoria, fin dalla lettura della mia prima infanzia, il disegno di quel pacifico torello, dall’aria sorniona e con i grandi occhi sorridenti e buoni, che, catturato per essere addestrato ai combattimenti della corrida, ricalcitrante, era trainato a forza da un trattore per la coda, mentre, estasiato, continuava imperterrito ad annusare il profumo di un grosso fiore che teneva fra le zampe anteriori, come se fosse un essere umano. E chi più di lui poteva meritare l’appellativo umano! Lui, che amava tanto la bellezza della natura, lui che pur avendo i requisiti dell’esser feroce, era così sensibile e ricco interiormente, da rimanere incantato di fronte alle manifestazioni più poetiche della natura. Quant’era paradossale tanta umanità in quell’animale dall’aspetto minaccioso, contrapposta ad altrettanta bestialità negli uomini che a forza volevano inferocirlo, per soddisfare il desiderio di violenza della folla che riempiva della sua insana voglia di sangue le scalinate delle corride. Un grottesco scambio di virtù, che dimostra palesemente come l’essere razionale non è necessario per essere pio. Io non sono un santo, né aspiro ad esserlo. Troppa responsabilità morale delle proprie azioni, troppe rinunce per un peccatore come me. Eppure, credetemi, a volte la mia sensibilità mi porta a fare miei i mali altrui e ne soffro terribilmente. Allora penso: se un essere umano avesse tanta sensibilità da “sentire” su di sé i mali di tutti gli uomini, impazzirebbe dal dolore, dal terrore, di fronte alle iniquità e sofferenze cui è esposta tanta parte dell’umanità. Gesù Cristo riportava su di sé i patimenti di tutti gli uomini, e la sua sofferenza era universale, perché sentiva e voleva espiare tutti i peccati dell’umanità. Era il figlio di Dio! Ma per un comune mortale essere altruista e sensibile verso i problemi e i dolori degli altri deve avere un limite, pena il rischio d’impazzire. Forse l’egoismo, non portato all’esasperazione, è una necessaria espressione dell’istinto di sopravvivenza dell’uomo ed ha questo fine benefico: porre al riparo il proprio io dalla mole schiacciante dei mali del mondo. La favola di toro Ferdinando mi torna in mente spesso, e penso quanta più felicità ci sarebbe nel mondo, se tutti fossimo un po’ come lui.
L’umanità finora è stata afflitta e decimata da una miriade di guerre. Non c’è nulla di più terribile e disumano di una guerra, eppure l’uomo, da che è comparso sulla terra, l’ha sempre fatta, spesso in nome di “giusti principi” e invocando dalla propria parte l’aiuto divino. Non esistono guerre giuste, ma se mai soltanto iniquamente necessarie, così com’è assurdo, perché contraddittorio con la stessa idea che abbiamo di Dio, invocarlo in nostro aiuto a danno di altri uomini. Se Dio è infinitamente buono, come può aiutare ad uccidere, come può rendersi Egli stesso complice dei progetti delittuosi di alcuni uomini verso altri uomini? E non sono tutti figli suoi? Eppure i militari, nel loro delirio d’irrazionalità e di disprezzo della dignità umana e della divinità stessa, invocano a sé il favore di Dio, chiedendogli la morte dei propri nemici. Si allestiscono nei campi di guerra messe in cui si chiede a Dio la propria salvezza e la morte dei nemici. Ma altrettanto fanno i nemici! Ugualmente, nelle competizioni sportive: si prega Dio per farci vincere contro il nostro avversario. Ma lo stesso fanno i nostri avversari! E Dio chi deve favorire? Non è più al Dio “supra partes” della nostra religione cristiana (o di qualunque altra religione monoteista) che pensiamo in queste circostanze, bensì riesumiamo gli dei del vecchio Olimpo greco-romano, meschini partecipi in prima persona degli intrighi e delle delittuose vicende umane dei propri protetti. Tempo fa, su un importante quotidiano, a caratteri cubitali, uscì un articolo che, a giudicare dal titolo, poteva essere scambiato per un ennesimo saggio filosofico sull’esistenza di Dio: “Dio esiste, adesso lo so, perché abbiamo vinto!” (una partita di calcio). È assurdo, è indegno, è pagano un gesto del genere. Ma come può seriamente pensare il cervello di un adulto che Dio, che purtroppo spesso sembra dimenticarsi di eventi ben più importanti, si preoccupi dell’esito di una partita di calcio e anzi se ne serva per mostrare la propria esistenza al nostro bravo sportivo, facendone un nuovo Paolo, “folgorandolo” sulla via di Damasco del calcio? Ecco, io credo che i veri atei siano costoro, che pensano a Dio come al garante dei loro piccoli e grandi egoismi, e non chi vacilla nel dubbio amoroso e pietoso di chi desidera ardentemente l’esistenza di una luce meravigliosa che tutto e tutti illumini e riscaldi, senza distinzioni. Ci dimentichiamo, paradossalmente, dei principi elementari della nostra religione e insultiamo il nome di Dio, chiamandolo in causa in questioni non degne della Sua attenzione, o per futilità o per bestiale iniquità. Una prova di più che la maggior parte degli uomini non è ancora matura per vivere dentro di sé l’idea del Dio cristiano, espressione somma dell’amore, della sapienza, della perfezione.
Fin da bambini abbiamo studiato la storia, imbattendoci in una serie interminabile di guerre, anzi la storia stessa che abbiamo studiato, dalle elementari al liceo e all’università, sembra identificarsi con la storia delle guerre che gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze hanno compiuto contro altri uomini. Ma queste guerre ci sono state presentate con distacco emotivo, dandone notizia come di un qualsiasi evento normale e quasi innocuo, come qualcosa di asettico, con date, nomi di battaglie, di generali e ammiragli, di eroi e di martiri, accompagnate da fredde motivazioni economico-sociali, da giustificazioni nobili o ingiuste, ma tutte oggetti crudeli di una mostruosa vetrina: la vetrina dell’ambizione, dell’odio, della sopraffazione, della ribellione, del potere, della volontà di potenza dell’uomo sull’uomo. Ma pensate quanto disgusto, quanto orrore, quanto dolore ciascuna di queste innumerevoli guerre, anche la meno cruenta, susciterebbe in noi se, invece, le nostre orecchie potessero sentire, come in un film, l’eco delle urla di dolore delle vittime e vedere le mutilazioni degli uomini, gli squarciamenti, gli sventramenti, le crudeltà, le torture, le distruzioni delle case e delle città, le perdite di affetti e di cose care, che hanno sempre costituito l’essenza vera e unica di ogni guerra, anche la più “giusta”. E allora lo studio di ogni guerra dovrebbe farci venire le lacrime agli occhi e farci tremare di vergogna per l’ignominia di cui si è sempre coperto l’uomo! Dovrebbe farci riflettere su cosa ancora non è l’uomo, o almeno gran parte dell’umanità. Se l’uomo è stato fatto a somiglianza di Dio, allora vuol dire che o Dio non possiede al sommo grado tutte le qualità “benefiche” che gli attribuiamo, il che è in contraddizione con l’idea stessa di Dio che il nostro spirito si è formata nei secoli della storia umana come somma e necessaria espressione del Bene, o che gran parte degli uomini sono una Sua pessima e vergognosa copia, immeritevoli del nome di uomo, nemmeno animali, ma mostri dello spirito, immagini viventi del demoniaco.
Da bambino facevo spesso un sogno soave, che al risveglio mi lasciava una gran pace interiore. Una bassa scogliera, contro cui vanno ad infrangersi violente le onde del mare, più in là una folta macchia di vegetazione, una piccola montagna da una parte e dall’altra un ridente e assolato laghetto. Un’isola felice, popolata da gente onesta e buona, operosa e rispettosa del bene altrui, dove tutti si conoscono e chiamano per nome. Un’isola dove l’unica competizione è la ricerca del bene di tutti. Un’isola che non esiste nella realtà, ma che forse potrebbe realmente esistere, se cominciasse ad esistere nel cuore di tutti noi.
 I NOSTRI SENTIMENTI

Sommario anno XII numero 1 - gennaio 2003