Se
tutti fossimo come toro Ferdinando…
(Luca Nicotra) - Lo
ricordo perfettamente, come se fosse davanti a me. Un librone di poche
pagine, ciascuna tanto spessa da sembrare di legno, con i caratteri
grossi, adatti alla lettura da parte di un bimbo di sei o sette anni e con
le illustrazioni che occupavano pagine intere. È il libro, per bambini,
della storia fantastica di “toro Ferdinando”, un giovane torello
madrileno, dotato dalla natura di un incredibile carattere mite e poetico,
insolito per un animale di quella specie. Mi è rimasto scolpito nella
memoria, fin dalla lettura della mia prima infanzia, il disegno di quel
pacifico torello, dall’aria sorniona e con i grandi occhi sorridenti e
buoni, che, catturato per essere addestrato ai combattimenti della
corrida, ricalcitrante, era trainato a forza da un trattore per la coda,
mentre, estasiato, continuava imperterrito ad annusare il profumo di un
grosso fiore che teneva fra le zampe anteriori, come se fosse un essere
umano. E chi più di lui poteva meritare l’appellativo umano! Lui, che
amava tanto la bellezza della natura, lui che pur avendo i requisiti
dell’esser feroce, era così sensibile e ricco interiormente, da
rimanere incantato di fronte alle manifestazioni più poetiche della
natura. Quant’era paradossale tanta umanità in quell’animale
dall’aspetto minaccioso, contrapposta ad altrettanta bestialità negli
uomini che a forza volevano inferocirlo, per soddisfare il desiderio di
violenza della folla che riempiva della sua insana voglia di sangue le
scalinate delle corride. Un grottesco scambio di virtù, che dimostra
palesemente come l’essere razionale non è necessario per essere pio. Io
non sono un santo, né aspiro ad esserlo. Troppa responsabilità morale
delle proprie azioni, troppe rinunce per un peccatore come me. Eppure,
credetemi, a volte la mia sensibilità mi porta a fare miei i mali altrui
e ne soffro terribilmente. Allora penso: se un essere umano avesse tanta
sensibilità da “sentire” su di sé i mali di tutti gli uomini,
impazzirebbe dal dolore, dal terrore, di fronte alle iniquità e
sofferenze cui è esposta tanta parte dell’umanità. Gesù Cristo
riportava su di sé i patimenti di tutti gli uomini, e la sua sofferenza
era universale, perché sentiva e voleva espiare tutti i peccati
dell’umanità. Era il figlio di Dio! Ma per un comune mortale essere
altruista e sensibile verso i problemi e i dolori degli altri deve avere
un limite, pena il rischio d’impazzire. Forse l’egoismo, non portato
all’esasperazione, è una necessaria espressione dell’istinto di
sopravvivenza dell’uomo ed ha questo fine benefico: porre al riparo il
proprio io dalla mole schiacciante dei mali del mondo. La favola di toro
Ferdinando mi torna in mente spesso, e penso quanta più felicità ci
sarebbe nel mondo, se tutti fossimo un po’ come lui.
L’umanità finora è stata afflitta e decimata da una miriade di guerre.
Non c’è nulla di più terribile e disumano di una guerra, eppure
l’uomo, da che è comparso sulla terra, l’ha sempre fatta, spesso in
nome di “giusti principi” e invocando dalla propria parte l’aiuto
divino. Non esistono guerre giuste, ma se mai soltanto iniquamente
necessarie, così com’è assurdo, perché contraddittorio con la stessa
idea che abbiamo di Dio, invocarlo in nostro aiuto a danno di altri
uomini. Se Dio è infinitamente buono, come può aiutare ad uccidere, come
può rendersi Egli stesso complice dei progetti delittuosi di alcuni
uomini verso altri uomini? E non sono tutti figli suoi? Eppure i militari,
nel loro delirio d’irrazionalità e di disprezzo della dignità umana e
della divinità stessa, invocano a sé il favore di Dio, chiedendogli la
morte dei propri nemici. Si allestiscono nei campi di guerra messe in cui
si chiede a Dio la propria salvezza e la morte dei nemici. Ma altrettanto
fanno i nemici! Ugualmente, nelle competizioni sportive: si prega Dio per
farci vincere contro il nostro avversario. Ma lo stesso fanno i nostri
avversari! E Dio chi deve favorire? Non è più al Dio “supra partes”
della nostra religione cristiana (o di qualunque altra religione
monoteista) che pensiamo in queste circostanze, bensì riesumiamo gli dei
del vecchio Olimpo greco-romano, meschini partecipi in prima persona degli
intrighi e delle delittuose vicende umane dei propri protetti. Tempo fa,
su un importante quotidiano, a caratteri cubitali, uscì un articolo che,
a giudicare dal titolo, poteva essere scambiato per un ennesimo saggio
filosofico sull’esistenza di Dio: “Dio esiste, adesso lo so, perché
abbiamo vinto!” (una partita di calcio). È assurdo, è indegno, è
pagano un gesto del genere. Ma come può seriamente pensare il cervello di
un adulto che Dio, che purtroppo spesso sembra dimenticarsi di eventi ben
più importanti, si preoccupi dell’esito di una partita di calcio e anzi
se ne serva per mostrare la propria esistenza al nostro bravo sportivo,
facendone un nuovo Paolo, “folgorandolo” sulla via di Damasco del
calcio? Ecco, io credo che i veri atei siano costoro, che pensano a Dio
come al garante dei loro piccoli e grandi egoismi, e non chi vacilla nel
dubbio amoroso e pietoso di chi desidera ardentemente l’esistenza di una
luce meravigliosa che tutto e tutti illumini e riscaldi, senza
distinzioni. Ci dimentichiamo, paradossalmente, dei principi elementari
della nostra religione e insultiamo il nome di Dio, chiamandolo in causa
in questioni non degne della Sua attenzione, o per futilità o per
bestiale iniquità. Una prova di più che la maggior parte degli uomini
non è ancora matura per vivere dentro di sé l’idea del Dio cristiano,
espressione somma dell’amore, della sapienza, della perfezione.
Fin da bambini abbiamo studiato la storia, imbattendoci in una serie
interminabile di guerre, anzi la storia stessa che abbiamo studiato, dalle
elementari al liceo e all’università, sembra identificarsi con la
storia delle guerre che gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze
hanno compiuto contro altri uomini. Ma queste guerre ci sono state
presentate con distacco emotivo, dandone notizia come di un qualsiasi
evento normale e quasi innocuo, come qualcosa di asettico, con date, nomi
di battaglie, di generali e ammiragli, di eroi e di martiri, accompagnate
da fredde motivazioni economico-sociali, da giustificazioni nobili o
ingiuste, ma tutte oggetti crudeli di una mostruosa vetrina: la vetrina
dell’ambizione, dell’odio, della sopraffazione, della ribellione, del
potere, della volontà di potenza dell’uomo sull’uomo. Ma pensate
quanto disgusto, quanto orrore, quanto dolore ciascuna di queste
innumerevoli guerre, anche la meno cruenta, susciterebbe in noi se,
invece, le nostre orecchie potessero sentire, come in un film, l’eco
delle urla di dolore delle vittime e vedere le mutilazioni degli uomini,
gli squarciamenti, gli sventramenti, le crudeltà, le torture, le
distruzioni delle case e delle città, le perdite di affetti e di cose
care, che hanno sempre costituito l’essenza vera e unica di ogni guerra,
anche la più “giusta”. E allora lo studio di ogni guerra dovrebbe
farci venire le lacrime agli occhi e farci tremare di vergogna per
l’ignominia di cui si è sempre coperto l’uomo! Dovrebbe farci
riflettere su cosa ancora non è l’uomo, o almeno gran parte
dell’umanità. Se l’uomo è stato fatto a somiglianza di Dio, allora
vuol dire che o Dio non possiede al sommo grado tutte le qualità
“benefiche” che gli attribuiamo, il che è in contraddizione con
l’idea stessa di Dio che il nostro spirito si è formata nei secoli
della storia umana come somma e necessaria espressione del Bene, o che
gran parte degli uomini sono una Sua pessima e vergognosa copia,
immeritevoli del nome di uomo, nemmeno animali, ma mostri dello spirito,
immagini viventi del demoniaco.
Da
bambino facevo spesso un sogno soave, che al risveglio mi lasciava una
gran pace interiore. Una bassa scogliera, contro cui vanno ad infrangersi
violente le onde del mare, più in là una folta macchia di vegetazione,
una piccola montagna da una parte e dall’altra un ridente e assolato
laghetto. Un’isola felice, popolata da gente onesta e buona, operosa e
rispettosa del bene altrui, dove tutti si conoscono e chiamano per nome.
Un’isola dove l’unica competizione è la ricerca del bene di tutti.
Un’isola che non esiste nella realtà, ma che forse potrebbe realmente
esistere, se cominciasse ad esistere nel cuore di tutti noi. |