Costa
Rica, natura
(Roberto
Pulcini) - È ormai Dicembre, il Natale si avvicina e con esso
l’idea di serate fredde, possibilmente innevate, magari davanti al
camino. Qualche volta però, viene la voglia di rompere questa logica. In
fondo, quando noi usiamo gli ombrelli, in altre parti del mondo usano gli
occhiali da sole, quando noi indossiamo cappotti altri indossano costumi
da bagno. Seguendo questo ragionamento, circa un anno fa decidemmo quindi
di spezzare il nostro inverno europeo con una buona dose di estate
extra-continentale.
Girammo il mappamondo e fermammo il dito su un piccolo staterello del
Centro America, di dimensioni simili alla Lombardia: il Costa Rica. La
nostra scelta fu dettata da un insieme di fattori. Il Costa Rica è il
paese più sicuro dell’America Latina, ha la più alta percentuale di
territorio dedicato a parchi nazionali al mondo, una enorme varietà di
flora e fauna ed una topografia molto varia. Questo è un paese che ha
saputo conciliare sviluppo e protezione della natura, tanto da avere oggi
nell’ecoturismo una delle sue maggiori fonti di guadagno.
Il nostro viaggio ci portò su montagne e spiagge, in foreste pluviali ed
in acque vulcaniche, in
villaggi sperduti ed in trafficate città. Descrivere un viaggio tanto
vario richiederebbe molto più spazio di quello a disposizione. Mi dovrò
quindi limitare a saltare qua e la, tirando fuori dalla memoria quello che
più mi ha colpito.
Eccoci quindi nel Parque Nacional Chirripò, nella catena montuosa
centrale, dominata dal Cerro Chirripò. Con i suoi 3820 metri, questa è
una delle cime più alte del Centro America. Seguiamo una strada sterrata,
tortuosa, piena di ripide salite che il vecchio autobus affronta senza
timore. In alto, montagne verdissime, in basso un precipizio che si tuffa
nel fiume. L’autobus si ferma nel piccolo villaggio di San Gerardo, da
dove inizia il sentiero che porta alla cima. Per affrontare la lunga
salita si parte al mattino presto, quando è ancora buio. Si cammina per
ore attraversando una fitta vegetazione che quasi nasconde i raggi del
sole che si alza. Poi il paesaggio cambia, diventa infernale, con
scheletri di alberi sotto un sole cocente. Qualche ora ancora e si giunge
al rifugio. Si cena con cappotto e cappello, in una gelida stanza piena di
sorridenti turisti costaricani e stranieri, accomunati dalla voglia di
raccontare e di godersi quell’estremo ed intimo frammento di Centro
America. Il mattino seguente si affronta l’ultima salita. Giunti sulla
cima il paesaggio che si presenta agli occhi è magnifico. Si possono
vedere due oceani, l’Atlantico ed il Pacifico, un’esperienza unica che
fa dimenticare le fatiche e fa sentire totalmente soddisfatti.
Facendo
un salto sulla costa pacifica, al confine con il Panama, siamo al Parque
Nacional Corcovado, uno dei luoghi più selvaggi e remoti del paese. Il
modo più veloce per raggiunterlo è attraversando in autobus sterminate
distese di palme da olio, poi in barca via Rio Sierpe e Bahia Drake. Già
prima di arrivare al parco si è circondati da animali e piante in quantità
che stordiscono noi italiani, abituati a sobbalzare di felicità quando
vediamo uno scoiattolo. Basta una passeggiata sulla spiaggia per vedere
gli splendidi Ara scarlatti, i pappagalli più grandi al mondo, o i Tucani
con il loro lungo becco colorato. Poi scimmie, iguana, farfalle enormi. Le
acque sono ricche di pesci dai mille colori. Se da un lato della spiaggia
c’è uno splendido mare, dall’altro c’è la fitta giungla.
Seguendo i sentieri, si entra nella lussureggiante vegetazione, con
un’umidità insopportabile e la costante sensazione di essere guardati.
Da queste parti vivono piccole e coloratissime rane velenose, scimmie
urlatrici, bradipi e giaguari. Qui l’arroganza dell’uomo va messa da
parte, ci si sente uno dei tanti esseri viventi, niente di più.
Un
ultimo salto ci porta al villaggio di Puerto Viejo de Talamanca, sulla
costa caraibica. Questa area è caratterizzata da una cultura diversa dal
resto del paese. Da queste parti i costaricani, o ticos come amano
chiamarsi, sono in maggioranza neri, discendenti dagli immigrati dalla
Giamaica di inizio dello scorso secolo. La lingua è un dialetto
dell’inglese e non lo spagnolo, il cibo è più speziato e gustoso, la
musica raggae sostituisce i ritmi latini, il taglio di capelli è quello
rasta. A colpire è il miscuglio di razze e culture felicemente amalgamate
tra loro. Ticos ispanici e anglofoni, turisti appena arrivati ed
ex-turisti arrivati chissà quando e mai più ripartiti. Tutti si godono
un’atmosfera particolare.
Al mattino l’aria sonnolenta di un villaggio di pescatori, surfisti,
venditori di braccialetti, dove si fa colazione con mango e papaya e si gira in bici.
Di notte, i locali in riva al mare si riempiono e musiche trascinanti
vanno avanti per ore.
Poi si finisce sulla spiaggia, osservando il gioco di luci. Quelle delle
stelle, quelle dei loro riflessi sul mare e quelle dei pescatori, che con
le loro barche sono già in attività. |