Death
is a star: Joe Strummer non c’è più
(Roberto
Esposti flann.obrien@email.it)
- Lo scorso 22 dicembre ci ha lasciato a causa di un infarto Joe Strummer,
storico leader dei Clash. John Graham Mellor era nato ad Ankara, in
Turchia, nel 1952: il nome Strummer (“Strimpellatore”) lo adottò per
giustificare le sue terribili esecuzioni di “Johnny Be Good” fatte con
l’ukulele sotto la Tube, la metro di Londra. Nel 1976 assistendo ad un
concerto dei primissimi Sex Pistols decide, assieme a Mick Jones di
formare i “Clash”, parola inglese che significa “scontro”, un
destino nel nome. Ben presto la band diventerà popolare aprendo spesso i
concerti dei Pistols, in quei meravigliosi anni in cui a Londra in una
sera potevi sentir suonare in uno stesso posto Joe Strummer, Johnny Rotten
e Siouxie. “The Clash”, il loro primo album esce nel 1977 e si capisce
subito la differenza enorme tra loro e le altre punk band: i Clash
scrivono testi molto impegnati politicamente, dicono che le cose vanno
male nei sobborghi di Londra, soprattutto tra gli immigrati; sono la
bandiera di un disagio, ma anche di una nuova musica che porta in paradiso
i suoni delle minoranze londinesi. Giamaica, delta del Mississippi, punk e
rock and roll si mescolano per formare un suono che non si era mai sentito
prima e che farà ballare i “rude boys” del 1977 come i ragazzi del
2077. “London Calling”, “Spanish Bombs”, “Brand New Cadillac”
e le altre decine di canzoni che scriveranno per i loro primi 5 dischi
faranno pensare e ballare il mondo fino al 1983, inventando un genere, il
“dub” che cambierà le coordinate del rock verso il reggae e
l’elettronica. I Clash si scioglieranno dopo un disco sbagliato, nel
1985, andando tutti per la propria strada: Joe per un pò reciterà,
inciderà dischi solisti fino a sostituire Shawn McGowan nei Pogues per un
breve periodo di tempo. Nel 1999 fonderà il suo ultimo gruppo, i
Mescaleros, con cui verrà anche in Italia.
Personaggio “contro” per definizione, uno dei pochi musicisti ai
quali si riconosce di aver cambiato il rock, è stato la voce del
proletariato giovanile londinese ed ha anticipato alcune istanze no global
di vent’anni. La musica è ora un po’ più povera, ma mi rincuora
avere la certezza che quando mio figlio andrà in discoteca ballerà
“Should I stay or should I go” come faccio io adesso. |