Guerra
e pace nel mondo cristiano
(Giovanna Ardesi) - Il primo cristianesimo condannava ogni
guerra. Sant’Agostino, nel IV sec., fu il primo ad abbozzare una teoria
della guerra giusta. Poi, nel VII sec. sant’Isidoro di Siviglia, alla
definizione agostiniana, aggiunse che la guerra è giusta, quando è fatta
dopo un avvertimento, e soltanto per recuperare i beni o per respingere i
nemici. Questa argomentazione nella Chiesa cristiana giustificò le
successive crociate, il cui scopo fu quello di recuperare i luoghi santi
occupati dai mussulmani, per essa infedeli.
Papa Gregorio VII (1073 – 85) parlò di guerra giusta contro il
principe malvagio per recuperare o proteggere i beni della Santa Sede. Ai
cavalieri che s’impegnavano a difendere il patrimonio di San Pietro, con
la forza, prometteva in cambio la remissione dei peccati. Fino ad allora,
erano stati chiamati cavalieri i professionisti del combattimento a
cavallo, spesso saccheggiatori dei beni della Chiesa.
“La guerra – diceva papa Gregorio VII – deve essere per il
cavaliere un pellegrinaggio di purificazione, dove si va a versare
sangue”. In questo modo, il cavaliere non abbandonava le armi, bensì le
usava in altro modo, per difendere la Chiesa, divenendo un modello di
santità.
Un altro personaggio che intervenne in modo incisivo a dare una
definizione di guerra giusta nel mondo cristiano fu Bernardo di
Chiaravalle, abate cistercense. Dopo la conquista di Gerusalemme, nella
prima crociata (1099), Bernardo apparve non apprezzare queste spedizioni
militari. La Terra Santa, infatti, era considerata la terra dei giusti già
dai mussulmani. Così pure, sempre nel mondo arabo, era già presente
l’idea della difesa della Terra Santa, in quanto appartenente al popolo
di Dio. Idea, questa, che fu subito accolta nel mondo cristiano, e
adattata alla difesa del Tempio di Salomone, mediante i cavalieri.
Su questa scia, in occasione del concilio di Troyes, nel 1128, Bernardo
di Chiaravalle, superando la sua reticenza sulle crociate,
chiarì il suo concetto sull’argomento. Parlò di guerra santa
per difendere il vero Dio, quello cristiano. La crociata, così, divenne
per Bernardo giusta solo come guerra difensiva dei luoghi santi.
Nonostante la svolta, l’abate continuò a tener conto del fatto che
l’ideologia della guerra santa era presente anche nel mondo mussulmano,
che considerava, invece, infedeli gli Stati Latini d’Oriente. Nella
mussulmana Siria del Nord, infatti, il principe Zengi al potere sosteneva
la “Jihad” (guerra santa) allo scopo di unire i Paesi mussulmani
contro i Franchi, principali protagonisti delle crociate.
In Oriente, nei testi dell’epoca, si arrivò a fare due categorie dei
Franchi: da un lato, i coloni, chiamati “poulains” (puledri), che
mostravano interesse a mettere radici nel luogo e ad assimilarsi agli
orientali, e per questo erano visti capaci di scendere a patto con i
locali; dall’altro lato, i crociati, considerati invece dei fanatici,
incapaci di dialogare, in quanto intendevano solo convertire gli altri
alla loro fede.
Ma nel 1129 scese in campo Jean Leclercq, altro uomo di chiesa, definendo
“la nuova mostruosità” quanto sosteneva S.Bernardo, e citò la
definizione del monaco cistercense Isaac de Stella, facendola sua:
“Quando una cosa potrebbe essere raggiunta per le vie legali, non saremo
invece tentati di fare la guerra per il gusto di farla?” Mentre si
filosofeggiava in entrambi i campi, quello cristiano e quello mussulmano,
sul concetto di guerra giusta, la seconda crociata (1147-48) si rivelò
disastrosa. Il mussulmano Saladino, nel 1157, nel giustiziare i cavalieri
dell’ordine templare ed ospedaliero, sentenziò: “Voglio purgare la
terra santa da questi due ordini immondi, le pratiche dei quali sono prive
di utilità, che non rinunceranno mai alla loro ostilità e non saranno
mai utili come schiavi”. Nel 1187 Saladino entrò a Gerusalemme, e il
Tempio di Salomone tornò ai mussulmani.
La contesa tra cristiani e mussulmani sulla Terra Santa si è protratta
nei secoli con l’illusione che prima o poi la guerra l’avrebbe
risolta. Ma la guerra, invece, non ha mai risolto il conflitto, lo ha solo
annientato temporaneamente, attraverso l’annientamento dell’altro
contendente, per vederselo poi riproporre sempre
nuovamente ed in modo sempre più drammatico. Si deduce che non si
può pensare che la giustizia si raggiunga con l’eliminazione fisica
dell’altro.
Oggi nella Chiesa cristiana è finalmente maturata la convinzione che la
convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e mussulmani in Terra Santa sia
ancora possibile, ma sotto l’egida dell’ONU. A questo punto si pone,
però, il problema che di fronte a conflitti gravi, come quello
Israelo-Palestinese, il governo sovranazionale debba essere
necessariamente forte e credibile. Nel senso che sia accettato da tutti, e
a cui tutti intendano sottomettersi. Si potrebbe ipotizzare che, per
essere tale, il governo dell’ONU non dovrebbe contemplare che esistano
potenze con diritto di veto, che di fatto impediscono l’applicazione
delle sue risoluzioni.
Potrebbe valere come esempio proprio quanto è avvenuto con il conflitto
tra israeliani e palestinesi, dal 1967 ad oggi. Si è visto, infatti, che
l’ONU non ha potuto far rispettare le centinaia di risoluzione di
condanna di Israele, con le quali ha imposto ai coloni ebrei di ritirarsi
dai territori occupati, in virtù del veto che ogni volta è stato imposto
dagli Stati Uniti. |