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Sommario anno XII numero 3 - marzo 2003

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Guerra e pace nel mondo cristiano
(Giovanna Ardesi) - Il primo cristianesimo condannava ogni guerra. Sant’Agostino, nel IV sec., fu il primo ad abbozzare una teoria della guerra giusta. Poi, nel VII sec. sant’Isidoro di Siviglia, alla definizione agostiniana, aggiunse che la guerra è giusta, quando è fatta dopo un avvertimento, e soltanto per recuperare i beni o per respingere i nemici. Questa argomentazione nella Chiesa cristiana giustificò le successive crociate, il cui scopo fu quello di recuperare i luoghi santi occupati dai mussulmani, per essa infedeli.

Papa Gregorio VII (1073 – 85) parlò di guerra giusta contro il principe malvagio per recuperare o proteggere i beni della Santa Sede. Ai cavalieri che s’impegnavano a difendere il patrimonio di San Pietro, con la forza, prometteva in cambio la remissione dei peccati. Fino ad allora, erano stati chiamati cavalieri i professionisti del combattimento a cavallo, spesso saccheggiatori dei beni della Chiesa.
“La guerra – diceva papa Gregorio VII – deve essere per il cavaliere un pellegrinaggio di purificazione, dove si va a versare sangue”. In questo modo, il cavaliere non abbandonava le armi, bensì le usava in altro modo, per difendere la Chiesa, divenendo un modello di santità.
Un altro personaggio che intervenne in modo incisivo a dare una definizione di guerra giusta nel mondo cristiano fu Bernardo di Chiaravalle, abate cistercense. Dopo la conquista di Gerusalemme, nella prima crociata (1099), Bernardo apparve non apprezzare queste spedizioni militari. La Terra Santa, infatti, era considerata la terra dei giusti già dai mussulmani. Così pure, sempre nel mondo arabo, era già presente l’idea della difesa della Terra Santa, in quanto appartenente al popolo di Dio. Idea, questa, che fu subito accolta nel mondo cristiano, e adattata alla difesa del Tempio di Salomone, mediante i cavalieri.
Su questa scia, in occasione del concilio di Troyes, nel 1128, Bernardo di Chiaravalle, superando la sua reticenza sulle crociate,  chiarì il suo concetto sull’argomento. Parlò di guerra santa per difendere il vero Dio, quello cristiano. La crociata, così, divenne per Bernardo giusta solo come guerra difensiva dei luoghi santi. Nonostante la svolta, l’abate continuò a tener conto del fatto che l’ideologia della guerra santa era presente anche nel mondo mussulmano, che considerava, invece, infedeli gli Stati Latini d’Oriente. Nella mussulmana Siria del Nord, infatti, il principe Zengi al potere sosteneva la “Jihad” (guerra santa) allo scopo di unire i Paesi mussulmani contro i Franchi, principali protagonisti delle crociate.
In Oriente, nei testi dell’epoca, si arrivò a fare due categorie dei Franchi: da un lato, i coloni, chiamati “poulains” (puledri), che mostravano interesse a mettere radici nel luogo e ad assimilarsi agli orientali, e per questo erano visti capaci di scendere a patto con i locali; dall’altro lato, i crociati, considerati invece dei fanatici, incapaci di dialogare, in quanto intendevano solo convertire gli altri alla loro fede.
Ma nel 1129 scese in campo Jean Leclercq, altro uomo di chiesa, definendo “la nuova mostruosità” quanto sosteneva S.Bernardo, e citò la definizione del monaco cistercense Isaac de Stella, facendola sua: “Quando una cosa potrebbe essere raggiunta per le vie legali, non saremo invece tentati di fare la guerra per il gusto di farla?” Mentre si filosofeggiava in entrambi i campi, quello cristiano e quello mussulmano, sul concetto di guerra giusta, la seconda crociata (1147-48) si rivelò disastrosa. Il mussulmano Saladino, nel 1157, nel giustiziare i cavalieri dell’ordine templare ed ospedaliero, sentenziò: “Voglio purgare la terra santa da questi due ordini immondi, le pratiche dei quali sono prive di utilità, che non rinunceranno mai alla loro ostilità e non saranno mai utili come schiavi”. Nel 1187 Saladino entrò a Gerusalemme, e il Tempio di Salomone tornò ai mussulmani.
La contesa tra cristiani e mussulmani sulla Terra Santa si è protratta nei secoli con l’illusione che prima o poi la guerra l’avrebbe risolta. Ma la guerra, invece, non ha mai risolto il conflitto, lo ha solo annientato temporaneamente, attraverso l’annientamento dell’altro contendente, per vederselo poi riproporre sempre  nuovamente ed in modo sempre più drammatico. Si deduce che non si può pensare che la giustizia si raggiunga con l’eliminazione fisica dell’altro.
Oggi nella Chiesa cristiana è finalmente maturata la convinzione che la convivenza pacifica tra cristiani, ebrei e mussulmani in Terra Santa sia ancora possibile, ma sotto l’egida dell’ONU. A questo punto si pone, però, il problema che di fronte a conflitti gravi, come quello Israelo-Palestinese, il governo sovranazionale debba essere necessariamente forte e credibile. Nel senso che sia accettato da tutti, e a cui tutti intendano sottomettersi. Si potrebbe ipotizzare che, per essere tale, il governo dell’ONU non dovrebbe contemplare che esistano potenze con diritto di veto, che di fatto impediscono l’applicazione delle sue risoluzioni.
Potrebbe valere come esempio proprio quanto è avvenuto con il conflitto tra israeliani e palestinesi, dal 1967 ad oggi. Si è visto, infatti, che l’ONU non ha potuto far rispettare le centinaia di risoluzione di condanna di Israele, con le quali ha imposto ai coloni ebrei di ritirarsi dai territori occupati, in virtù del veto che ogni volta è stato imposto dagli Stati Uniti.
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Sommario anno XII numero 3 - marzo 2003