La
Vita…
(Antonio Pisicchio) - scorre nelle vene fino a esaurire le
nostre forze. Ci prende, ci porta in seno alla gioia fin dalla nascita, ci
dona l’oggetto della nostra felicità.
Albe
e tramonti si susseguono come eventi eterni iscritti in un disegno unico,
“Divino”, ma non
nel senso cristiano del termine direi più “animista”. Una sorta di
ciclicità in cui siamo costretti a essere contestualizzati. Il ribelle,
il filosofo, il politico, l’inetto: tutte figure di un palcoscenico che
superficialmente definiamo Vita. Sì,
un palcoscenico contornato da luci, melodie, stoffe pregiate, un
palcoscenico sul quale dovrà necessariamente calare il sipario. È la
consueta metafora della vita, è l’espressione retorica a cui ci
appelliamo ma è l’unica che ancora risveglia l’inerme massa degli
inetti silenti che subiscono la vita.
Non vorrei essere tacciato di classismo o razzismo, né considerato un
elitario falsamente prestato alla voce della letteratura spiccia. No! Non
sono questo, sento piuttosto la rabbia salire in corpo d’innanzi al
vuoto di cui molti si circondano e non ne comprendo la ratio.
È vero: “l’inflazione dell’informazione” è sinonimo di una
volontà politica subdola che tenta di erigere il silenzio delle masse,
l’analfabetismo di popolazioni solo “nominalmente” acculturate. Ma
è altresì vero che siamo noi gli artefici di questa possibilità!
Subendo “il tutto” passivamente, rendiamo “il tutto” privo del
fondamento teorico su cui si fonda. Ogni evento, ogni oggetto, ogni
sensazione viene sminuito al puro valore terminologico, il significante a
cui appartiene, perdendo il contatto con il significato. Si rende il
termine inerme di fronte al nostro cuore, svuotandolo di senso. Sicché,
un albero è “solo un albero”, un tramonto è “solo un tramonto”,
la guerra è “solo una guerra”, l’Amore è “solo l’amore” e
così via. Qui risiede secondo me l’origine del nostro malessere, il
dolore di noi Occidentali.
Il vocabolo “SOLO” in questa accezione banalizza il concetto, lo
semplifica ai minimi termini perché chiaramente inflazionato da altri
concetti ed eventi che si susseguono minuto per minuto, secondo per
secondo. Tutto ciò rispecchia sempre più l’altro aspetto di questa
società, quello meno introspettivo che ben rappresenta il concetto di
“solo”. Il capitalismo liberista che vivremo nei prossimi decenni è
orientato interamente all’”uso e getta” di ogni elemento: morale,
materiale, vivente o inerme. Ecco
allora che si chiude il cerchio da cui è partita questa piccola
digressione.
La nostra esistenza superficiale di Occidentali è dedita all’acquisto
sfrenato dell’oggetto all’ultimo grido che poco dopo si banalizza
inflazionandosi per la sua estrema popolarità
e diffusione e quindi cede la sua fama all’indifferenza.
Mentre un tempo si viveva nel motto del pessimismo “del doman non v’è
certezza”, oggi si sopravvive nell’inconscia e puerile certezza che un
domani vi sia per tutti.
Nell’inesorabile corsa verso questo domani, certi della nostra
onnipotenza e immortalità, ci facciamo vivere dagli eventi senza mai
viverli nella loro interezza, nel loro significato…senso… sostanza.
Schiavi di questo, v’è solo una certezza: il declino!
Un declino inesorabile perché sordi innanzi alle frustate di
“analfabetismo” studiato e mirato dai potenti.
Coscienze popolari sopite, arrugginite da talk show inetti, volutamente
demenziali; dalle telenovela e da telefilm che miserabilmente fotografano
una falsa e buonista Italia; dal calcio in tutte le “salse”,
espressione infantile di un popolo da tenere a bada. Poi…
Poi scopriamo d’improvviso la realtà cruda e amara della morte.
In uno scorcio d’inverno ormai che volge al desio, nel mezzo di una
serata fredda, ognuno di noi torna a fare i conti con il destino, con la
propria esistenza, riscoprendo che nulla ci può iscrivere nell’“aura” dell’immortalità.
Quel che scorreva nelle vene cessa d’improvviso il suo percorso,
degenera in silenzio, in polvere.
Ma…
...scopriamo tutto ciò, come sempre, affiancati dalla teatralità di
questa società: riflettori diretti sulla folla che silenziosa si insinua
in una delle più belle piazze di Roma, il Campidoglio; cronisti avvoltoi
che avvinghiano l’anziana donna piangente; telecamere che scrutano il
volto di tutti noi senza ritegno per il dolore.
E poi, come a una fiera: maxi cartelloni, applausi ripetuti, voci teatrali
di sottofondo.
Bel palcoscenico!
Un palcoscenico pirandelliano, dove noi d’improvviso diveniamo gli
attori di quello spettacolo finale che è la Morte; noi attori
all’ultimo atto ci facciamo applaudire dall’unico vero spettatore in
sala, dall’unico uomo spettatore della vita,
Grazie Alberto Sordi
“La vita è fugace sensazione di un idillio che cela un possibile
immediato baratro” |