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Sommario anno XII numero 3 - marzo 2003

 VISTO DA...
La Vita…
(Antonio Pisicchio) - scorre nelle vene fino a esaurire le nostre forze. Ci prende, ci porta in seno alla gioia fin dalla nascita, ci dona l’oggetto della nostra felicità.
Albe e tramonti si susseguono come eventi eterni iscritti in un disegno unico,  “Divino”,  ma non nel senso cristiano del termine direi più “animista”. Una sorta di ciclicità in cui siamo costretti a essere contestualizzati. Il ribelle, il filosofo, il politico, l’inetto: tutte figure di un palcoscenico che superficialmente definiamo Vita.  Sì, un palcoscenico contornato da luci, melodie, stoffe pregiate, un palcoscenico sul quale dovrà necessariamente calare il sipario. È la consueta metafora della vita, è l’espressione retorica a cui ci appelliamo ma è l’unica che ancora risveglia l’inerme massa degli inetti silenti che subiscono la vita.
Non vorrei essere tacciato di classismo o razzismo, né considerato un elitario falsamente prestato alla voce della letteratura spiccia. No! Non sono questo, sento piuttosto la rabbia salire in corpo d’innanzi al vuoto di cui molti si circondano e non ne comprendo la ratio.
È vero: “l’inflazione dell’informazione” è sinonimo di una volontà politica subdola che tenta di erigere il silenzio delle masse, l’analfabetismo di popolazioni solo “nominalmente” acculturate. Ma è altresì vero che siamo noi gli artefici di questa possibilità!
Subendo “il tutto” passivamente, rendiamo “il tutto” privo del fondamento teorico su cui si fonda. Ogni evento, ogni oggetto, ogni sensazione viene sminuito al puro valore terminologico, il significante a cui appartiene, perdendo il contatto con il significato. Si rende il termine inerme di fronte al nostro cuore, svuotandolo di senso. Sicché, un albero è “solo un albero”, un tramonto è “solo un tramonto”, la guerra è “solo una guerra”, l’Amore è “solo l’amore” e così via. Qui risiede secondo me l’origine del nostro malessere, il dolore di noi Occidentali.
Il vocabolo
“SOLO” in questa accezione banalizza il concetto, lo semplifica ai minimi termini perché chiaramente inflazionato da altri concetti ed eventi che si susseguono minuto per minuto, secondo per secondo. Tutto ciò rispecchia sempre più l’altro aspetto di questa società, quello meno introspettivo che ben rappresenta il concetto di “solo”. Il capitalismo liberista che vivremo nei prossimi decenni è orientato interamente all’”uso e getta” di ogni elemento: morale, materiale, vivente o inerme.  Ecco allora che si chiude il cerchio da cui è partita questa piccola digressione.
La nostra esistenza superficiale di Occidentali è dedita all’acquisto sfrenato dell’oggetto all’ultimo grido che poco dopo si banalizza inflazionandosi per la sua estrema popolarità  e diffusione e quindi cede la sua fama all’indifferenza.
Mentre un tempo si viveva nel motto del pessimismo “del doman non v’è certezza”, oggi si sopravvive nell’inconscia e puerile certezza che un domani vi sia per tutti.
Nell’inesorabile corsa verso questo domani, certi della nostra onnipotenza e immortalità, ci facciamo vivere dagli eventi senza mai viverli nella loro interezza, nel loro significato…senso… sostanza.
Schiavi di questo, v’è solo una certezza: il declino!
Un declino inesorabile perché sordi innanzi alle frustate di “analfabetismo” studiato e mirato dai potenti.
Coscienze popolari sopite, arrugginite da talk show inetti, volutamente demenziali; dalle telenovela e da telefilm che miserabilmente fotografano una falsa e buonista Italia; dal calcio in tutte le “salse”,  espressione infantile di un popolo da tenere a bada. Poi…
Poi scopriamo d’improvviso la realtà cruda e amara della morte.
In uno scorcio d’inverno ormai che volge al desio, nel mezzo di una serata fredda, ognuno di noi torna a fare i conti con il destino, con la propria esistenza, riscoprendo che nulla ci può iscrivere  nell’“aura” dell’immortalità.
Quel che scorreva nelle vene cessa d’improvviso il suo percorso, degenera in silenzio, in polvere.
Ma…
...scopriamo tutto ciò, come sempre, affiancati dalla teatralità di questa società: riflettori diretti sulla folla che silenziosa si insinua in una delle più belle piazze di Roma, il Campidoglio; cronisti avvoltoi che avvinghiano l’anziana donna piangente; telecamere che scrutano il volto di tutti noi senza ritegno per il dolore.
E poi, come a una fiera: maxi cartelloni, applausi ripetuti, voci teatrali di sottofondo.
Bel palcoscenico!
Un palcoscenico pirandelliano, dove noi d’improvviso diveniamo gli attori di quello spettacolo finale che è la Morte; noi attori all’ultimo atto ci facciamo applaudire dall’unico vero spettatore in sala, dall’unico uomo spettatore della vita,
                                                                        Grazie Alberto Sordi
“La vita è fugace sensazione di un idillio che cela un possibile immediato baratro”
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Sommario anno XII numero 3 - marzo 2003