Le
famiglie che scandalizzarono la storia:
I Borgia
(di
Alberto Restivo)
Le città dopo “il mille”
Dopo la caduta dell’Impero romano e fino all’anno Mille, la carta
geografica dell’Italia appariva profondamente mutata. Assunto come
titolo dagli Imperatori di Germania, esisteva anche se solo virtualmente,
il Regno d’Italia, distribuito nelle mani di una moltitudine di potenti
locali, indipendenti in una campagna aspra e addormentata.
Non c’era una capitale, ma una serie di capoluoghi in continua lotta fra
loro: Milano, Pavia, Ivrea, Cremona, Firenze, Bologna. Si trattava di
borghi con pochi abitanti ove il borgo appariva circondato da alte mura
con alte porte che si serravano al tramonto e si riaprivano all’alba,
quando la vita si rianimava con il mercato che si svolgeva intorno alla
Cattedrale e al Palazzo Pubblico. La Cattedrale con il suo Vescovo e la
sua Curia era il centro religioso, mentre il Palazzo Pubblico era il
centro politico della città ove risiedevano il Conte ed i suoi ufficiali
con compiti amministrativi, giudiziari e militari, con vari assessori
all’annona, ai tributi, alle acque e così via.
La scomparsa delle città
Fino all’anno Mille, una delle caratteristiche del Medioevo, fu, tra
l’altro, la decadenza e in qualche caso la scomparsa delle città.
È cosa nota che Roma repubblicana prima ed imperiale dopo, attraverso le
città, che aveva fondato numerose, era riuscita a diffondere nel mondo la
sua lingua, i suoi costumi, le sue leggi. Infatti, “Civiltà” deriva
da Civitas, città. Sia in Italia che in Francia e Spagna, la Civitas
era una “succursale di Roma”, costruita a sua immagine e
somiglianza con un centro amministrativo, militare, giudiziario,
commerciale. La popolazione (prevalentemente formata da agricoltori)
viveva assorbendo il riflesso di quella civiltà e conseguentemente ne
alimentava lo sviluppo.
Ad un certo punto, però, questo tipo di società viene spazzato via dalle
invasioni barbariche. Non che i barbari avevano materialmente distrutto le
città (anche se ciò in qualche caso avvenne); il fatto è che essi non
avevano gli uomini per conservarle e farle sviluppare, cioè quei
funzionari e quei tecnici che Roma aveva formato. Essi non erano più
disponibili o perché fuggiti di fronte al pericolo o perché uccisi, né
gli invasori avevano con chi sostituirli non conoscendo essi quei mestieri
che avevano costituito le basi dell’artigianato della Roma repubblicana
e poi della Roma dei Cesari.
Per cui se un ponte crollava o la facciata di una costruzione o una parte
della muro rimaneva danneggiata, mancava colui che (architetto,
carpentiere, manovale) potesse ricostruirla. La stessa Roma in quel
periodo era ridotta ad un quartiere di Trastevere denominato “città
Leonina” dal nome del Papa che l’aveva fortificata con mura nuove. In
pratica non esisteva più né classe dirigente, né vita sociale:
l’unica autorità era quella religiosa nella persona del Vescovo, a cui
si riferiva la popolazione sia per le necessità spirituali che per quelle
corporali.
La Cattedrale rimase al centro della struttura urbanistica che si veniva
delineando e quindi anche al centro della vita sociale della nuova città.
Di qui la vera origine del potere temporale che la Chiesa doveva in
seguito assumere.
Sermoneta e i Borgia
Dal belvedere di Sermoneta in uno splendido mattino di luglio, l’occhio
spazia tutto intorno e sembra accarezzare dall’alto la pianura
circostante e la vegetazione sempreverde che si arrampica intorno alla
collina.
I pensieri, le riflessioni, i ricordi storici sembrano ad un certo momento
animarsi, prendere forma e manifestarsi ai nostri occhi di visitatori in
un gruppo di cavalieri dalle lucenti armature che mandano lampi sotto i
raggi del sole, mentre attraversano al trotto la campagna sottostante che
da Sermoneta degrada verso il mare.
Dal nostro punto di osservazione notiamo le insegne, esse appartengono ai
Caetani, signori dell’imponente castello. D’improvviso, mentre il
drappello di armati sembra convergere verso il borgo per rientrare al
Castello, ecco apparire, dai boschi limitrofi, un altro manipolo di
cavalieri dalle scure armature che assale di fianco il primo gruppo dei
Caetani: si accende una zuffa, uno scontro violento a colpi di spada, di
lancia e mazze ferrate. I Caetani cercano di difendersi ma i cavalieri
neri hanno il vantaggio della sorpresa ed in breve hanno il sopravvento e
dopo aver quasi totalmente eliminato i cavalieri avversari, si allontanano
velocemente così come erano apparsi. Era questa forse un’aggressione
per intimidire i padroni del feudo e ricordare loro che presto sarebbero
stati cacciati dai loro possedimenti? Chi potevano essere quegli
assalitori così agguerriti? È l’immagine del loro capo che primeggia
in mezzo alla battaglia dove, spalleggiato dai suoi compagni con pochi
colpi della sua leggendaria spada, in breve tempo finisce per sbaragliare
i suoi avversari. Dalla spada e dalla preziosa armatura abbiamo immaginato
di riconoscere in lui il Valentino Cesare Borgia.
Le immagini dello scontro si sono ora dissolte, lasciando il posto a nuove
riflessioni in un luogo come Sermoneta, ricco di storia e tradizioni che
rimane legato al nome di quelle famiglie nobili e potenti come i Caetani
e, anche se per un periodo, i Borgia.
La storia medioevale di questo centro risale ai Conti di Tuscolo che poi
cedettero il feudo alla famiglia di origine germanica degli Annibaldi.
Questi ultimi, nel 1297, la cedettero, dietro pagamento di 140 mila
fiorini, ai Caetani che, grazie anche all’influenza del loro capo
Benedetto Caetani (papa Bonifacio VIII nel 1294) ampliarono e
consolidarono i loro possedimenti in tutto il Lazio meridionale fino al
mare.
Furono motivi essenzialmente difensivi quelli che portarono alla
formazione ed allo sviluppo di Sermoneta e che hanno segnato profondamente
l’aspetto urbanistico del paese che si sviluppa in forma allungata sullo
sperone di faccia al monte Carbolino.
Il Castello è la parte dominante di tutto il panorama: iniziato
probabilmente nell’XI° secolo, subì due fondamentali interventi
costruttivi, di cui il primo iniziato dagli Annibaldi, ha conosciuto il
massimo impulso sotto i Caetani; il secondo intervento avvenne sotto il
dominio dei Borgia, i quali con la loro intensa presenza eseguirono nel
castello una serie di importanti lavori, allo scopo di farne probabilmente
il fulcro della loro difesa in campagna.
Ignoti gli architetti dei primi interventi, mentre è invece noto che gli
ampliamenti dei Borgia furono affidati ad un grande progettista, Antonio
da Sangallo il Vecchio che aveva già realizzato le rocche di Nettuno, di
Nepi e di Civita Castellana.
Il castello di Sermoneta divenne così una formidabile macchina da guerra,
articolata su un sistema progressivo di difese che passavano dalla
cittadella, al fossato, ai ponti levatoi, alla grande porta sbarrata da un
cancello che cadeva dall’alto (detta calatora), ad una serie di passaggi
obbligati esposti al fuoco, alla piazza d’armi anch’essa esposta al
fuoco dalle mura circostanti, fino al “maschietto” ed al possente,
essenziale ed elegante “maschio”, anch’essi isolabili con levatoi e
scalette.
Nella piazza d’armi era edificata la Chiesa di San Pietro in Corte, che
ospitava le spoglie di alcuni Caetani: essa fu distrutta nel 1499 da
Cesare Borgia durante il suo dominio ed i resti degli odiati nemici
vennero dispersi.
I Borgia
Si è tenuta a Roma, al Palazzo Ruspoli, una mostra intitolata “I
Borgia, l’arte del potere”. Dal titolo è facile risalire ai motivi
per i quali questa famiglia fu tanto calunniata (qualcuno li ha definiti i
Terribili Tre): lo stesso Papa Giulio II che succedette ad Alessandro VI°
non volle vivere nell’appartamento Borgia, sotto gli affreschi del
Pinturicchio celebranti l’Apoteosi della odiata famiglia. Ordina quindi
(per nostra fortuna) nuove stanze, conosciute oggi con il nome di Stanze
di Raffaello.
Il nome dei Borgia finì per essere sinonimo di obbrobrio, vituperio,
oscurantismo e chi più ne ha, più ne metta. Secondo alcuni storici, con
i Borgia, lo splendore del Rinascimento sembrò ripiombare nel Medioevo,
ma è anche vero che intorno ad essi gravitarono scienziati e artisti,
letterati fra i più prodigiosi del tempo: l’astronomo Copernico, Enea
Silvio Piccolomini, umanista, Pinturicchio, Raffaello, Botticelli, Tiziano
e, con essi, Antonio da Sangallo il Vecchio che mise mano, tra l’altro,
alle opere di difesa in Castel S. Angelo ove realizzò un ulteriore
torrione quasi sul Tevere, affrescato dal Pinturicchio, opera mirabile ma
demolita circa 60 anni dopo la sua realizzazione.
Di origine aragonese e nipote di Alfonso, anch’egli papa col nome di
Callisto III, Rodrigo Borgia diveniva papa anch’egli con il nome di
Alessandro VI° nell’anno della scoperta dell’America (1492) e fece di
Cesare Borgia, suo figlio, il suo braccio destro, mentre usò la figlia
Lucrezia - nata dalla tresca con Vannozza Caetani - come strumento
sessuale che servì per effettuare la politica delle alleanze matrimoniali
indispensabili per il rafforzamento del potere. In altri termini,
Alessandro VI° si servì di lei per la parte diplomatica e di Cesare per
quella militare.
Non ci è possibile descrivere in questa sede tutte le vicende che hanno
coinvolto il casato dei Borgia; possiamo ricordare tuttavia come anche
Cesare Borgia fosse attirato da sponsali d’affari: prese in sposa la
cugina del Re di Francia Carlo VIII° e sorella del Re di Navarra
ottenendo così il ducato ed il titolo di Valentois.
Fu tuttavia la Romagna il suo campo preferito di battaglie dove il Duca
Valentino doveva rivendicare i diritti papali su quelle terre e dove, di
fatto, iniziò la costruzione di un suo regno personale, conquistando
Imola, Forlì e ingrandendosi fino a raggiungere Perugia e Città di
Castello.
Storici e cronisti riportano che il Valentino diede prova in queste
campagne di una crudeltà senza pari, ricorrendo al tradimento e
all’inganno quando lo reputava conveniente. Non escluse neppure
l’omicidio facendo uccidere, all’interno del Vaticano, Alfonso di
Aragona, che Lucrezia che aveva dovuto sposare quando il padre Alessandro,
interessato a stringere alleanza con la casa di Aragona, fece dichiarare
nullo il primo matrimonio della figlia con Giovanni Sforza.
Queste vicende sommariamente descritte hanno il sapore “di leggenda”,
ma c’è da chiedersi se la loro vera storia fu così truculenta come la
leggenda.
Forse aveva ragione Machiavelli che, preso Cesare Borgia a modello del suo
”Principe“, giudicava il Valentino “molto splendido e magnifico,
victorioso et formidabile”. Per Machiavelli “non si poteva governare
altrimenti” , da cui: “con ogni mezzo”, ovvero “il fine giustifica
i mezzi”. Nessun limite alla ragion di Stato.
L’immoralità o meglio la separazione fra la morale e l’agire politico
è il condimento con cui apparentemente Machiavelli dà sapore alle sue
riflessioni sul Principe. “Il Principe deve essere pronto a venire meno
ai patti quando la situazione ve lo obbliga”.
Nel romanzo di Manuel Vasquez Montalban “O Cesare o nulla” (Il titolo
di per sé suggerisce la volontà di potenza che anima il protagonista) ,
leggiamo: “Qui troviamo la tragicità della politica. Ogni grande sogno
porta con sé il suo annullamento, la sconfitta. È quanto accade a Cesare
Borgia che, fino alla sua caduta, incarna il sogno del Principe che è
quello di unire una parte dell’Italia. Dopo la sua morte (avvenuta in un
agguato in terra di Navarra all’età di trent’anni) resta in
Machiavelli la nostalgia della potenza di Cesare. E questo fa del
terribile Borgia un personaggio profondamente romantico”. La morte di
Cesare Borgia è la fine di un’utopia, di una speranza.
M. V. Montalban prosegue nel suo “O Cesare o nulla” : “Malgrado
tutto, il Valentino ha incarnato un progetto di libertà e di
trasformazione dell’Italia fra il 400 e il 500. Libertà intesa non in
senso liberale, ma come estremo tentativo di emarginazione dalla potenza
francese e spagnola. La sua fu una rivoluzione fallita. E ogni
rivoluzione, come la storia ci ha insegnato, da quella francese, alla
sovietica per finire con quella cubana, ha in sé i germi della propria
caduta”.
La complessa figura di Lucrezia, forse la più romanzesca, rimane un po’
in ombra in quanto vittima ed anche se in realtà si innamora di tutti i
suoi mariti, deve accettare la legge della famiglia e, travolta
inizialmente dalle vicende politiche del casato, trova il suo riscatto a
Ferrara alla corte degli Estensi: fu prodiga di figli (nove) per il marito
Alfonso d’Este, cullandosi fra Tiziano ed Ariosto, fu anfitriona di
Erasmo da Rotterdam,… oltre che … amante di Pietro Bembo, ma forse
solo platonicamente… Morì di parto a 39 anni.
Una recente rassegna ferrarese ha lo scopo di scalfire il marchio di
infamia che pesa sui Borgia in particolare su Lucrezia che, dopo le nozze
del 1502, sarebbe rinata: duchessa illuminata, moglie e madre devota.
In ultima analisi, tornando al “Principe” possiamo dire che
Machiavelli vedeva nel sogno egemonico di Cesare la possibilità di
contrastare validamente le invasioni barbariche. Inoltre stimava la civiltà
italiana l’ereditaria naturale della civiltà classica che in quel
momento aveva bisogno di un uomo forte, deciso, e senza scrupoli.
In realtà, il sogno temporale del Valentino dipendeva da quello
spirituale del padre: con la morte di Alessandro VI il potere del figlio
diminuì inesorabilmente e finì inevitabilmente nelle mani del suo nemico
Papa Giulio II e successivamente, dopo la rocambolesca fuga dal carcere in
cui era stato imprigionato, finiva la sua vita in Spagna al servizio del
Re di Aragona, lui che era stato maestro di agguati cadeva in
un’imboscata degli avversari degli aragonesi, tentando una difesa
personale disperata con la sua arma preferita “la regina delle spade”
su cui era inciso il motto “O Cesare o nulla”, spada istoriata per lui
su un disegno del Pinturicchio.
La fine di un sogno? Forse. Sta di fatto che, pur in mezzo alle teorie più
disparate, alle interpretazioni di storici e cronisti con notevoli
preconcetti e riserve mentali, tra leggenda e storia, non ci sentiamo di
non affermare che nei Borgia si sono visti i precursori di una, sia pure
parziale, unità d’Italia, con un loro disegno di egemonia nazionale. |