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Sommario anno XII numero 4 - aprile 2003

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Pensieri “in guerra” per “un’altra Guerra”…
(Sergio Maria Faini) - È primo pomeriggio, sono seduto alla mia scrivania e scrivo. Sto cercando di elaborare un canovaccio-guida per le mie conferenze su “Il pellegrinaggio nel Medioevo: motivazioni, percorsi, problemi aperti”. Dopo la mattinata dedicata alla correzione delle bozze del mio prossimo libro, le Storie di fra’ Nessuno, ho cambiato lavoro per distrarmi un po’ dal filo di certi pensieri che si è fatto spazio nella mente con prepotenza. La finestra è aperta e la luce esterna irrompe nel mio studio assieme ai profumi e al canto degli uccelli… gli oggetti intorno a me si ricolorano, perdendo l’aspetto smorto dei giorni invernali. È primavera finalmente!… Ma perché non provo il solito benessere, la solita sensazione di piacere dei primi giorni di primavera? Cosa mi disturba? Cos’è che non va? Avverto una sorta di smania che mi tira verso una direzione… mi impedisce di lavorare e nel contempo non mi permette di distendermi, di liberare la fantasia, di sciogliere i pensieri. Seguita a trattenermi e a spingermi verso… Non riesco a concentrarmi sul disturbo…

Ecco qualcosa accade… l’impedimento si mostra… la mente è di nuovo invasa, riattivata e presa nel filo dei pensieri, che ho combattuto tutta la mattina.
«Siamo in guerra! Cos’è la guerra? Perché gli uomini si combattono? Chi vuole la guerra? Chi sono i pacifisti? Cosa rimane dopo la guerra? Oltre i cadaveri da seppellire, oltre le macerie da rimuovere, oltre le opere da ricostruire?».
Gli uomini di tutti i tempi hanno conosciuto in modo diretto o indiretto la guerra. Alcuni l’hanno vissuta personalmente, combattendo sul campo o nelle trincee; altri l’hanno subita con le devastazioni dei bombardamenti, aspettando congiunti, perdendo casa e beni, sperimentando fame, povertà e malasorte; altri ancora l’hanno avvicinata sui libri di scuola o attraverso i racconti dei sopravvissuti.
Ma mai si è vista una guerra in diretta TV, in tempo reale, a tutto campo e in ogni sua espressione di tragico dolore e d’impensabile violenza, come in questi giorni di marzo, di primavera, del 2003… con in campo gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna e altri alleati… contro l’Irak e contro il terrorismo islamico fondamentalista!
Davanti ai nostri occhi, di utenti passivi della televisione, vengono esposte le “peggiori brutture” del più antico comportamento umano, ampiamente illustrate da osservatori sempre attenti, disseminati nell’intera area di guerra. Non si risparmia nessuno: né vecchi, né bambini. A tutti, e in tutto il mondo ‘civilizzato’ dai ripetitori TV, gli efficienti e logorroici reporter – inviati speciali e prosatori della guerra – distribuiscono le notizie in tempo reale su quanto accade nelle aree belligeranti. Con crudi commenti e drammatiche immagini, al limite della sopportazione visiva, si collegano con i vari ‘ripetitori umani’ di ogni paese, i quali – eccitati virtualmente dai colleghi – entrano in risonanza ed esplodono in miriadi di altri collegamenti – coinvolgendo esperti, tromboni laici e religiosi, del partito della guerra e di quello della pace –, affinché il pubblico degli ascoltatori ‘conosca’, sia ‘informato’, o meglio ‘partecipi’ allo spettacolo delirante della ‘Prima Guerra Mondiale del Terzo Millennio’.
Con gli occhi incollati sullo schermo, impressionati e addolorati, ora attratti dalle descrizioni, ora rattristati dalle immagini di violenza organizzata, assorbiamo ogni parola, ogni commento, senza battere ciglio e facendoci coinvolgere nell’emotività di superficie, di prima e incontrollata reazione, fino a rimanere intrappolati in schemi semplicistici ‘pro’ e ‘contro’ la guerra. È difficile costruire una riflessione ‘su quanto accade’ e ‘su quanto si sta trasformando in noi’ con questa esperienza.
Cos’è la guerra? È sempre morte! Nel corpo, nella mente, nell’anima e nello spirito. È morte nell’essere totale e per tutti: per vinti e per vincitori. È conseguenza dell’incapacità di guardare oltre la natura istintiva, quella meramente e animalescamente egoistica.
Frutto dell’avversione, dell’odio, delle rivalse, della brama, del non riconoscimento delle diversità e dell’istinto alla sopraffazione per paura… la guerra sacrifica all’ego contingente  il principio della coscienza: l’Io superiore! È soprattutto mancanza di Amore! Cecità! Ignoranza! Tradimento della vita! Non c’è ‘giustificazione’ alla guerra!
Perché gli uomini si combattono? Perché non sanno amare! Né la vita, né i propri simili! Perché ‘credono’ ad una esistenza qualificata da beni materiali, esente da sacrifici e ricca di momenti di godimento fisico e psichico. Perché temono la morte…
Purtroppo, queste rappresentazioni di pensiero – in verità, molto antiche –, questi giudizi, questo modo di sentire il mondo e di leggere tra gli eventi ‘è roba ormai vecchia’, non fa più parte del nostro patrimonio genetico. Sono, ahinoi, contenuti astratti, teorici e didascalici, ingenui e retorici di una ‘visione del mondo’ che non può più incidere sulla vita degli uomini e dei popoli dei nostri tempi.
E allora la riflessione potrebbe terminare qui. Il disturbo chi lo sente se lo tiene. La TV si può tenere spenta. Si possono evitare i giornali e i commenti di altri…
Ma è saggio – o ‘modernamente’ corretto – girare la testa e non guardare? Non sentire, non pensare? Si possono leggere gli eventi spregiudicatamente, conservando una certa equanimità? Si può evitare di cadere emotivamente in uno o nell’altro schieramento?
Chi vuole la guerra? Quali sono le motivazioni dichiarate e quelle non espresse che hanno motivato questa guerra? Chi sono gli oppositori, i cosiddetti pacifisti?
Ho provato a raccogliere ‘i pensati della gente’, ho ascoltato in giro i commenti di uomini, donne e ragazzi. Ho fatto la mia ‘inchiesta’…
Chi vuole la guerra? Questo è quanto ho sentito:
-la vogliono George W. Bush e i finanziatori della sua campagna elettorale (l’industria bellica americana, l’élite militarista, la lobby ebraica americana, ecc.);
-la chiede l’economia USA (dipendente dal controllo delle fonti energetiche – petrolio in primis –, disturbata dalla concorrenza europea, e bisognosa di nuove colonizzazioni, per iniziative di respiro, e di espansione, per l’imprenditoria statunitense);
-la vuole buona parte del popolo americano, ancora sconvolto e terrorizzato e, soprattutto, arrabbiato per l’efferato attentato alle Torri simbolo;
-la vuole una buona parte del mondo occidentale, filo americano o semplicemente preoccupato, e spaventato, per l’escalation del fondamentalismo islamico;
-la vogliono i detentori del potere occulto e una certa logica di mercato.
Quali sono le motivazioni dichiarate? Sono:
-la neutralizzazione del terrorismo e dei suoi sostenitori;
-la liberazione del popolo iracheno dal dittatore Saddam Hussein;
-l’affermazione dei valori occidentali: di democrazia, di libertà e del diritto civile.
E quali altre motivazioni non espresse hanno spinto alla guerra? A questa domanda possiamo associare due motivazioni esposte da ‘dotti del momento’, o apparentemente tali:
-la principale motivazione non espressa è l’aspirazione all’egemonia mondiale  (di Bush, dei suoi ‘compari’, e, in generale, dei  portatori – più monolitici – della peculiarità di pensiero anglo-austro-americana);
-l’altra giustifica l’azione di guerra come l’azione necessaria che si aspettava «per dire ‘basta’ a un modo di pensare e di agire dei nostri tempi… che protegge ‘espressioni barbariche’ del mondo arabo islamizzato e fondamentalista».
Chi sono gli oppositori, i cosiddetti pacifisti?
-i ‘pacifisti’ sono presentati, volta per volta, o come la maggioranza del popolo cosciente, oppure come un fronte variegato che si oppone alla guerra: per motivazioni individuali, per solidarietà di bandiera, o per ragioni diverse laico-religiose;
-‘pacifisti’ sono coloro che si oppongono alla guerra con cortei e con bandiere arcobaleno; con scioperi di disturbo, con blocchi stradali e ferroviari; con azioni di sabotaggio, dove possibile, con il fine di ostacolare i programmi e l’organizzazione della guerra;
-‘pacifisti’ sono anche coloro che accolgono l’invito del Papa, e di altre autorità religiose, alla preghiera, al digiuno propiziatorio e alla diffusione incruenta dei valori della pace;
-‘pacifisti’ sono, infine, anche coloro che ‘prediligono’ la giusta forma della guerra, la giusta prassi, il giusto gioco delle parti: il preavviso, l’avviso, la minaccia, il controllo, la riflessione sulle cose riscontrate, il nuovo avviso, la nuova minaccia, la ricerca dell’accordo su come “picchiare” il colpevole, la distribuzione degli incarichi secondo opportuna gerarchia, la divisione delle spese e, soprattutto, gli accordi per la suddivisione dei futuri ritorni del capitale investito.
Non so se tali ‘pensati’ – più o meno popolari e ‘del popolo’ –  siano il frutto di un autonomo pensiero individuale o piuttosto il prodotto e la somma delle varie ‘inculcazioni’ televisive, arricchite con i pareri di esperti, di aspiranti politologi e di improvvisati stratega. E forse non è importante conoscere ciò.
C’è uno show sul ‘palcoscenico del mondo’, non perdiamolo!
Non chiediamoci se quanto sta accadendo debba essere letto come ‘la somma di effetti, originati da cause poste nel passato’. Non sforziamoci a capire ‘cose difficili’ e, soprattutto, ‘impopolari’. Partecipiamo con passione, facciamo il tifo per la ‘nostra squadra’, senza riserve, liberamente e con più rumore possibile.
La ‘vera tragedia’ che si presenta al nostro sguardo, purtroppo, e non solo attraverso le immagini e i commenti di guerra, è rappresentata – anche se non percepita dai più – dalla condizione di estrema alienazione in cui si trova il pensare umano, in continua e inarrestabile degenerazione. Esso, ormai prigioniero della dialettica – ossia estraniato da se stesso e divenuto strumento passivo, succube degli oggetti e delle realtà materiali da lui stesso prodotte – non è capace di intravedere, nel suo operare, l’elemento ‘demoniaco distorcente’ che lo sta conducendo alla rovina. Nel suo agire, l’uomo non si accorge di essere ormai in balia della legge di ‘causa ed effetto’; non avverte di essere egli stesso l’origine dei suoi mali; accusa ancora, e con convinzione, gli altri per la propria malasorte e si scaglia con risolutezza contro chi e coloro che, a suo giudizio, sono i responsabili del suo disagio, della sua sofferenza esistenziale o i presunti aggressori del suo benessere materiale acquisito.
Gli iracheni, e soprattutto i più indifesi… i vecchi e i bambini, oggi certamente piangono… ma noi, occidentali portatori del pensiero lucido e razionale, creativo, costruttivo e concreto… non possiamo sicuramente ridere o essere soddisfatti e orgogliosi del nostro modo di essere nell’esistere.
L’argomento, in ogni caso, non si può chiudere qui. Ancora una domanda dovrebbe premere nelle coscienze degli spettatori del grande show attuale: Cosa accadrà dopo la guerra? Difficile prevederlo. Con certezza dovremo seppellire i cadaveri, assistere gli storpi e i mutilati, curare le ferite invisibili nell’anima, e nello spirito, dei vinti sopravvissuti. Dovremo rimuovere le macerie; fare i conti con le discariche per materiali bellici non riciclabili; occuparci dell’inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque; e, soprattutto, dovremo fronteggiare i nostri mutamenti dell’anima, il nostro vuoto, la nostra solitudine, la nostra alienazione. Probabilmente ci chiederemo, ancora e per l’ennesima volta, se Dio esiste… se gli uomini dopo quest’altra esperienza cambieranno… se avranno imparato da quest’ultima guerra…  Si ripeteranno, come sempre, i riti della pace, propiziatori alla ricostruzione – gestita dal vincitore –, si canteranno le lodi agli eroi, si piangeranno i martiri… e si continuerà a scrivere la ‘storia dei vincitori’… Comincerà un’altra fase del mondo, con nuove alleanze, con nuovi accordi, con nuovi servi per vecchi padroni. Tutto ‘sembrerà’ cambiato, perché noi ci ‘sentiremo’ cambiati. Ma noi ‘non saremo’ cambiati… e tutto tornerà come prima!
Note:
1 È interessante, a questo proposito, un trafiletto riportato in ottava pagina dal Corriere della sera del 23.03.03. Non è firmato. Titolo: Ricostruire l’Irak: tutti gli appalti a società pro Bush. Il giornalista riporta così la notizia: «Prima ancora che l’offensiva militare scattasse, il presidente Bush aveva già dato mandato alla Usaid di mettere a punto un piano per la ricostruzione dell’Irak e di distribuire gli appalti ad aziende Usa. Degli 1,5 miliardi di dollari di ‘primo intervento’, 600 milioni andranno alla Halliburton, di cui fino al 2000 è stato presidente Richard Cheney (foto). Il resto andrà a Betchel, Flour, Parson, Washington Group: tutte aziende che hanno finanziato la campagna elettorale di Bush». Interessante! Veramente interessante… per il popolo del mondo! Per gli iracheni, per il dissenziente Presidente dei francesi, per l’intellettuale ‘impegnato’ che auspicava l’intervento di un ‘nuovo crociato’, capace di dire ‘Basta!’ a certi comportamenti…
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