Pensieri “in
guerra” per “un’altra Guerra”…
(Sergio Maria Faini) - È primo pomeriggio, sono seduto alla
mia scrivania e scrivo. Sto cercando di elaborare un canovaccio-guida per
le mie conferenze su “Il pellegrinaggio nel Medioevo: motivazioni,
percorsi, problemi aperti”. Dopo la mattinata dedicata alla
correzione delle bozze del mio prossimo libro, le Storie di fra’
Nessuno, ho cambiato lavoro per distrarmi un po’ dal filo di certi
pensieri che si è fatto spazio nella mente con prepotenza. La finestra è
aperta e la luce esterna irrompe nel mio studio assieme ai profumi e al
canto degli uccelli… gli oggetti intorno a me si ricolorano, perdendo
l’aspetto smorto dei giorni invernali. È primavera finalmente!… Ma
perché non provo il solito benessere, la solita sensazione di piacere dei
primi giorni di primavera? Cosa mi disturba? Cos’è che non va? Avverto
una sorta di smania che mi tira verso una direzione… mi impedisce di
lavorare e nel contempo non mi permette di distendermi, di liberare la
fantasia, di sciogliere i pensieri. Seguita a trattenermi e a spingermi
verso… Non riesco a concentrarmi sul disturbo…
Ecco qualcosa
accade… l’impedimento si mostra… la mente è di nuovo invasa,
riattivata e presa nel filo dei pensieri, che ho combattuto tutta la
mattina.
«Siamo in
guerra! Cos’è la guerra? Perché gli uomini si combattono? Chi vuole la
guerra? Chi sono i pacifisti? Cosa rimane dopo la guerra? Oltre i cadaveri
da seppellire, oltre le macerie da rimuovere, oltre le opere da
ricostruire?».
Gli uomini di
tutti i tempi hanno conosciuto in modo diretto o indiretto la guerra.
Alcuni l’hanno vissuta personalmente, combattendo sul campo o nelle
trincee; altri l’hanno subita con le devastazioni dei bombardamenti,
aspettando congiunti, perdendo casa e beni, sperimentando fame, povertà e
malasorte; altri ancora l’hanno avvicinata sui libri di scuola o
attraverso i racconti dei sopravvissuti.
Ma mai si è vista
una guerra in diretta TV, in tempo reale, a tutto campo e in ogni sua
espressione di tragico dolore e d’impensabile violenza, come in questi
giorni di marzo, di primavera, del 2003… con in campo gli Stati Uniti
d’America, la Gran Bretagna e altri alleati… contro l’Irak e contro
il terrorismo islamico fondamentalista!
Davanti ai nostri
occhi, di utenti passivi della televisione, vengono esposte le “peggiori
brutture” del più antico comportamento umano, ampiamente illustrate da
osservatori sempre attenti, disseminati nell’intera area di guerra. Non
si risparmia nessuno: né vecchi, né bambini. A tutti, e in tutto il
mondo ‘civilizzato’ dai ripetitori TV, gli efficienti e
logorroici reporter – inviati speciali e prosatori della guerra –
distribuiscono le notizie in tempo reale su quanto accade nelle aree
belligeranti. Con crudi commenti e drammatiche immagini, al limite della
sopportazione visiva, si collegano con i vari ‘ripetitori umani’
di ogni paese, i quali – eccitati virtualmente dai colleghi – entrano
in risonanza ed esplodono in miriadi di altri collegamenti –
coinvolgendo esperti, tromboni laici e religiosi, del partito della guerra
e di quello della pace –, affinché il pubblico degli ascoltatori ‘conosca’,
sia ‘informato’, o meglio ‘partecipi’ allo
spettacolo delirante della ‘Prima Guerra Mondiale del Terzo
Millennio’.
Con gli occhi
incollati sullo schermo, impressionati e addolorati, ora attratti dalle
descrizioni, ora rattristati dalle immagini di violenza organizzata,
assorbiamo ogni parola, ogni commento, senza battere ciglio e facendoci
coinvolgere nell’emotività di superficie, di prima e incontrollata
reazione, fino a rimanere intrappolati in schemi semplicistici ‘pro’
e ‘contro’ la guerra. È difficile costruire una riflessione
‘su quanto accade’ e ‘su quanto si sta trasformando in noi’
con questa esperienza.
Cos’è la
guerra? È sempre morte! Nel corpo, nella mente, nell’anima e nello
spirito. È morte nell’essere totale e per tutti: per vinti e per
vincitori. È conseguenza dell’incapacità di guardare oltre la natura
istintiva, quella meramente e animalescamente egoistica.
Frutto
dell’avversione, dell’odio, delle rivalse, della brama, del non
riconoscimento delle diversità e dell’istinto alla sopraffazione per
paura… la guerra sacrifica all’ego contingente
il principio della coscienza: l’Io superiore! È soprattutto
mancanza di Amore! Cecità! Ignoranza! Tradimento della vita! Non c’è
‘giustificazione’ alla guerra!
Perché gli uomini
si combattono? Perché non sanno amare! Né la vita, né i propri simili!
Perché ‘credono’ ad una esistenza qualificata da beni
materiali, esente da sacrifici e ricca di momenti di godimento fisico e
psichico. Perché temono la morte…
Purtroppo, queste
rappresentazioni di pensiero – in verità, molto antiche –, questi
giudizi, questo modo di sentire il mondo e di leggere tra gli eventi ‘è
roba ormai vecchia’, non fa più parte del nostro patrimonio
genetico. Sono, ahinoi, contenuti astratti, teorici e didascalici,
ingenui e retorici di una ‘visione del mondo’ che non può più
incidere sulla vita degli uomini e dei popoli dei nostri tempi.
E allora la
riflessione potrebbe terminare qui. Il disturbo chi lo sente se lo tiene.
La TV si può tenere spenta. Si possono evitare i giornali e i commenti di
altri…
Ma è saggio – o
‘modernamente’ corretto – girare la testa e non guardare? Non
sentire, non pensare? Si possono leggere gli eventi spregiudicatamente,
conservando una certa equanimità? Si può evitare di cadere emotivamente
in uno o nell’altro schieramento?
Chi vuole la
guerra? Quali sono le motivazioni dichiarate e quelle non espresse che
hanno motivato questa guerra? Chi sono gli oppositori, i cosiddetti
pacifisti?
Ho provato a
raccogliere ‘i pensati della gente’, ho ascoltato in giro i
commenti di uomini, donne e ragazzi. Ho fatto la mia ‘inchiesta’…
Chi vuole la
guerra? Questo
è quanto ho sentito:
-la vogliono
George W. Bush e i finanziatori della sua campagna elettorale
(l’industria bellica americana, l’élite militarista, la lobby ebraica
americana, ecc.);
-la chiede
l’economia USA (dipendente dal controllo delle fonti energetiche –
petrolio in primis –, disturbata dalla concorrenza europea, e bisognosa
di nuove colonizzazioni, per iniziative di respiro, e di espansione, per
l’imprenditoria statunitense);
-la vuole
buona parte del popolo americano, ancora sconvolto e terrorizzato e,
soprattutto, arrabbiato per l’efferato attentato alle Torri simbolo;
-la vuole
una buona parte del mondo occidentale, filo americano o semplicemente
preoccupato, e spaventato, per l’escalation del fondamentalismo
islamico;
-la vogliono
i detentori del potere occulto e una certa logica di mercato.
Quali sono le
motivazioni dichiarate? Sono:
-la
neutralizzazione del terrorismo e dei suoi sostenitori;
-la liberazione
del popolo iracheno dal dittatore Saddam Hussein;
-l’affermazione
dei valori occidentali: di democrazia, di libertà e del diritto civile.
E quali altre
motivazioni non espresse hanno spinto alla guerra? A
questa domanda possiamo associare due motivazioni esposte da
‘dotti del momento’, o apparentemente tali:
-la principale
motivazione non espressa è l’aspirazione all’egemonia mondiale
(di Bush, dei suoi ‘compari’1 , e, in
generale, dei portatori –
più monolitici – della peculiarità di pensiero anglo-austro-americana);
-l’altra
giustifica l’azione di guerra come l’azione necessaria che si
aspettava «per dire ‘basta’ a un modo di pensare e di agire
dei nostri tempi… che protegge ‘espressioni barbariche’ del
mondo arabo islamizzato e fondamentalista».
Chi sono gli
oppositori, i cosiddetti pacifisti?
-i ‘pacifisti’
sono presentati, volta per volta, o come la maggioranza del popolo
cosciente, oppure come un fronte variegato che si oppone alla guerra: per
motivazioni individuali, per solidarietà di bandiera, o per ragioni
diverse laico-religiose;
-‘pacifisti’
sono coloro che si oppongono alla guerra con cortei e con bandiere
arcobaleno; con scioperi di disturbo, con blocchi stradali e ferroviari;
con azioni di sabotaggio, dove possibile, con il fine di ostacolare i
programmi e l’organizzazione della guerra;
-‘pacifisti’
sono anche coloro che accolgono l’invito del Papa, e di altre autorità
religiose, alla preghiera, al digiuno propiziatorio e alla diffusione
incruenta dei valori della pace;
-‘pacifisti’
sono, infine, anche coloro che ‘prediligono’ la giusta forma
della guerra, la giusta prassi, il giusto gioco delle parti: il preavviso,
l’avviso, la minaccia, il controllo, la riflessione sulle cose
riscontrate, il nuovo avviso, la nuova minaccia, la ricerca dell’accordo
su come “picchiare” il colpevole, la distribuzione degli incarichi
secondo opportuna gerarchia, la divisione delle spese e, soprattutto, gli
accordi per la suddivisione dei futuri ritorni del capitale investito.
Non so se tali ‘pensati’
– più o meno popolari e ‘del popolo’ –
siano il frutto di un autonomo pensiero individuale o piuttosto il
prodotto e la somma delle varie ‘inculcazioni’ televisive,
arricchite con i pareri di esperti, di aspiranti politologi e di
improvvisati stratega. E forse non è importante conoscere ciò.
C’è uno show
sul ‘palcoscenico del mondo’, non perdiamolo!
Non chiediamoci se
quanto sta accadendo debba essere letto come ‘la somma di effetti,
originati da cause poste nel passato’. Non sforziamoci a capire ‘cose
difficili’ e, soprattutto, ‘impopolari’. Partecipiamo con
passione, facciamo il tifo per la ‘nostra squadra’, senza
riserve, liberamente e con più rumore possibile.
La ‘vera
tragedia’ che si presenta al nostro sguardo, purtroppo, e non solo
attraverso le immagini e i commenti di guerra, è rappresentata – anche
se non percepita dai più – dalla condizione di estrema alienazione in
cui si trova il pensare umano, in continua e inarrestabile degenerazione.
Esso, ormai prigioniero della dialettica – ossia estraniato da se stesso
e divenuto strumento passivo, succube degli oggetti e delle realtà
materiali da lui stesso prodotte – non è capace di intravedere, nel suo
operare, l’elemento ‘demoniaco distorcente’ che lo sta
conducendo alla rovina. Nel suo agire, l’uomo non si accorge di essere
ormai in balia della legge di ‘causa ed effetto’; non avverte
di essere egli stesso l’origine dei suoi mali; accusa ancora, e con
convinzione, gli altri per la propria malasorte e si scaglia con
risolutezza contro chi e coloro che, a suo giudizio, sono i responsabili
del suo disagio, della sua sofferenza esistenziale o i presunti aggressori
del suo benessere materiale acquisito.
Gli iracheni, e
soprattutto i più indifesi… i vecchi e i bambini, oggi certamente
piangono… ma noi, occidentali portatori del pensiero lucido e razionale,
creativo, costruttivo e concreto… non possiamo sicuramente ridere o
essere soddisfatti e orgogliosi del nostro modo di essere
nell’esistere.
L’argomento, in
ogni caso, non si può chiudere qui. Ancora una domanda dovrebbe premere
nelle coscienze degli spettatori del grande show attuale: Cosa
accadrà dopo la guerra? Difficile prevederlo. Con certezza dovremo
seppellire i cadaveri, assistere gli storpi e i mutilati, curare le ferite
invisibili nell’anima, e nello spirito, dei vinti sopravvissuti. Dovremo
rimuovere le macerie; fare i conti con le discariche per materiali bellici
non riciclabili; occuparci dell’inquinamento dell’aria, del suolo e
delle acque; e, soprattutto, dovremo fronteggiare i nostri mutamenti
dell’anima, il nostro vuoto, la nostra solitudine, la nostra
alienazione. Probabilmente ci chiederemo, ancora e per l’ennesima volta,
se Dio esiste… se gli uomini dopo quest’altra esperienza
cambieranno… se avranno imparato da quest’ultima guerra…
Si ripeteranno, come sempre, i riti della pace, propiziatori alla
ricostruzione – gestita dal vincitore –, si canteranno le lodi agli
eroi, si piangeranno i martiri… e si continuerà a scrivere la ‘storia
dei vincitori’… Comincerà un’altra fase del mondo, con nuove
alleanze, con nuovi accordi, con nuovi servi per vecchi padroni. Tutto ‘sembrerà’
cambiato, perché noi ci ‘sentiremo’ cambiati. Ma noi ‘non
saremo’ cambiati… e tutto tornerà come prima!
Note:
1
È interessante, a questo proposito, un trafiletto riportato in
ottava pagina dal Corriere della sera del 23.03.03. Non è firmato.
Titolo: Ricostruire l’Irak: tutti gli appalti a società pro Bush.
Il giornalista riporta così la notizia: «Prima ancora che l’offensiva
militare scattasse, il presidente Bush aveva già dato mandato alla Usaid
di mettere a punto un piano per la ricostruzione dell’Irak e di
distribuire gli appalti ad aziende Usa. Degli 1,5 miliardi di dollari di
‘primo intervento’, 600 milioni andranno alla Halliburton, di cui fino
al 2000 è stato presidente Richard Cheney (foto). Il resto andrà a
Betchel, Flour, Parson, Washington Group: tutte aziende che hanno
finanziato la campagna elettorale di Bush». Interessante! Veramente
interessante… per il popolo del mondo! Per gli iracheni, per il
dissenziente Presidente dei francesi, per l’intellettuale
‘impegnato’ che auspicava l’intervento di un ‘nuovo crociato’,
capace di dire ‘Basta!’ a certi comportamenti… |