Linguaggio e mente - De
Saussure & Wittgenstein
Con questo numero diamo seguito, con piacere, a una nuova rubrica
monografica di una disciplina giovane ma molto promettente. La rubrica
proseguirà su queste pagine per almeno un anno. La cura personalmente Silvia
Coletti, laureata in Filosofia della Scienza. L’autrice si occupa di
studi teorici e storici relativi alle origini delle scienze naturali
antiche (Euclide, Pappo, Pitagora, Plinio il vecchio e Lucrezio) e delle
scienze naturali moderne (Buffon, Lamarck, Darwin, Spencer, Mendel).
Successivi studi di Filosofia della Mente l’hanno condotta a
specializzarsi sul mondo logico e linguistico di John R. Searle, docente
presso l’Università di California a Berkeley. Attualmente studia le
interconnessioni tra scienze cognitive e robotica.
Una definizione.
La linguistica
è una scienza che ha per oggetto lo studio della lingua, la quale
rappresenta un codice verbale umano. Attraverso questa codifica si
realizza in modi storicamente determinati la facoltà del linguaggio. La
lingua è studiata su diversi livelli ciascuno dei quali costituisce un
vero e proprio ambito disciplinare. I quattro ambiti principali sono: (a)
linguistica; (b) neurolinguistica; (c) psicolinguistica; (d)
sociolinguistica. La linguistica si articola nei seguenti sottoinsiemi:
(i) morfologia; (ii) semantica; (iii) sintattica; (iv) pragmatica; (v)
fonetica; (vi) fonologia; (vii) atto linguistico; (viii) universali
linguistici; (ix) lingua e parola. La psicolinguistica si articola nei due
seguenti sottoinsiemi: (i) distribuzionalismo; (ii) generativismo.
Ferdinand de Saussure (1857–1913).
Linguista
svizzero, uno dei fondatori della linguistica moderna, Ferdinand de
Saussure, ha per primo affrontato lo studio strutturale del linguaggio,
enfatizzando la natura arbitraria delle relazioni che esistono tra i segni
linguistici e il significato cui corrispondono. L’autore distingue una
linguistica sincronica (lo studio del linguaggio in un arbitrario stato
temporale) da una linguistica diacronica (lo studio del cambiamento di
stato del linguaggio al trascorrere del tempo). L’autore oppone inoltre
quello che egli chiama langue (stato del linguaggio in un
determinato tempo) alla parole (il discorso individuale). Il lavoro
principale dell’autore è intitolato Corso di linguistica generale, pubblicato
postumo nel 1916, che comprende una compilazione di appunti e note
rielaborati da studenti allievi delle sue lezioni universitarie svolte tra
il 1906-1911.
Dal Cratilo
di Platone.
I primi a porsi
interrogativi sulla natura dl linguaggio furono i filosofi del mondo
greco. Il problema affrontato da Platone nel Cratilo, riprendendo
argomenti già avanzati dai sofisti, riguarda la natura della relazione
che intercorre tra i nomi e le cose a cui i primi corrispondono: alle cose
si associano nomi per natura o per convenzione? Platone, fedele alla
teoria delle idee, critica il convenzionalismo, che ha come conseguenza la
tesi che ciascuna cosa può essere convenzionalmente denominata con
qualunque nome e quindi, non si spiega come una certa cosa venga chiamata
in un modo piuttosto che in un altro. In seguito a ciò, Platone propone
una sua versione, secondo la quale ciò che fa di un termine associato, il
nome corretto di una cosa, è il fatto che esso è l’incarnazione di un
unico “nome ideale” della cosa stessa e che quindi è il medesimo per
ogni uomo (dibattito fra naturalisti e convenzionalisti). Per Platone la
conoscenza per esempio della parola albero non deriva dall’esperienza
sensibile. Il significato della parola viene dal riemergere nella
coscienza della nozione o idea dell’Albero ideale, ossia del prototipo,
la fonte concettuale di tutti gli alberi materiali. Il problema del
concetto è uno degli argomenti più ostici affrontato soprattutto nel
campo dell’Intelligenza artificiale, nel tentativo per esempio di dotare
il computer di capacità riconoscitive degli oggetti e ancor più delle
forme degli oggetti stessi.
Segno,
significato e significante.
Il segno, in
linguistica e in particolare secondo la concezione di de Saussure, è un
entità costituita di un significante e di un significato e analizzabile
in relazione ad un piano dell’espressione ed a uno del contenuto. Il
segno linguistico è un elemento di un insieme di segni o codice
proprio di una lingua ed unisce un concetto (significato) ad un’immagine
acustica (significante). Il segno è dunque secondo de Saussure,
un’entità psichica a due facce: concetto e immagine acustica.Il
significante è l’immagine acustica a cui è associato il concetto
(significato) nel cervello del parlante. Il significante del segno
linguistico è una figura di sostanza acustica. Da esso dipende tutto il
meccanismo della lingua. Il significato è il concetto associato
all’immagine acustica (significante) nel cervello del parlante. Esso è
inteso da de Saussure come elemento di un sistema di significati e come
unità del piano del contenuto nell’espressione linguistica. Significato
e significante sono gli organizzatori dell’espressione comunicata e
dalla sostanza comunicante. Il legame che unisce il significato al
significante è arbitrario e quindi possiamo dire che il segno
linguistico, poiché è il risultante dell’associazione di significato e
significante, è anch’esso arbitrario.
Ludwig
Wittgenstein (1889-1951).
Nella
prima metà del XX secolo un uomo più di ogni altro ha cercato di capire
come funziona il linguaggio e in particolare le parole. Era austriaco,
ingegnere e poi filosofo: Ludwig Wittgenstein. Ancor giovane, ha scritto
un primo libro molto importante con un titolo latino Tractatus
logico-philosophicus 1921, ma il resto del libro era in tedesco.
Questo testo costituisce l’ultima grande opera scientifica nella quale
si sia cercato di sostenere che una lingua è un calcolo, che le frasi
sono come operazioni aritmetiche con i loro simboli funzionali
(preposizioni, congiunzioni, implicazioni, negazioni) e i loro numeri
(vale a dire le parole). La frase è quindi una fila ordinata di simboli,
una struttura né più e né meno delle espressioni dell’aritmetica e
dell’algebra. Dopo la fine della prima guerra mondiale in cui l’autore
è stato militare e prigioniero in Italia, gli venne offerto di insegnare
e studiare a Cambridge in Inghilterra, dove ha vissuto fino alla morte.
Il vissuto
privato come canone individuale.
In secondo tempo
Wittgenstein è stato condotto a concludere che il linguaggio è forgiato
non secondo una sintassi inflessibile, ma secondo i contesti, gli usi, le
convenzioni e soprattutto le invenzioni espressive e le immagini di cui la
vita umana è fonte inesauribile. Il filosofo combatte anzitutto la
convinzione che i fenomeni psichici siano una risorsa esclusiva della
coscienza individuale. Infatti il linguaggio per esprimere il vissuto
privato (per esempio il dolore) come dato immediato e incomunicabile, deve
pur sempre ricorrere a qualche prassi condivisa, a un accordo stipulato
tra individui dialoganti. Tuttavia Wittgenstein si rifiuta di negare
l’esistenza di “processi psichici” o “spirituali”: per quanto
finzioni, si tratta di “finzioni grammaticali”, cioè di atteggiamenti
profondamente radicati nella vita, alla stregua della esperienze oniriche.
La regola
normativa: una prassi.
Interpretare una
regola con un’altra significa usare un proprio modo di seguire una
regola. Non si può seguire una regola privatim, perché non
sarebbe conforme a ciò che conviene alla comunità, alla loro forma di
vita e saremo per questo isolati. Infatti credere di seguire la regola non
è seguire la regola. Procedure e materiali di tali discussioni sembrano
rifarsi a vedute tipiche del comportamentismo e del pragmatismo, in
particolare quello di William James, noto scienziato e autore di Principi
di psicologia (1890). La tesi principale di Wittgenstein sostiene la
pubblicità dei criteri di evidenza, controllabilità, di nozioni quali
“coscienza”, “interno”, “vissuto”, trasparenza delle
connessioni corporee. È rimasta celebre la frase di Wittgenstein nelle Ricerche:
“Il corpo umano è la migliore immagine dell’anima umana”. Se ogni
concetto instaura un codice di senso compiuto, la differenza tra l’uno e
l’altro concetto equivale non a difformità tra fatti di uno stesso
mondo, ma ad uno scarto di evidenza tra due mondi, tra due forme
autosufficienti e incommensurabili. Siamo di fronte a uno stile
epistemologico inedito, ispirato soprattutto alla morfologia di Goethe, ma
anche ad alcuni suoi riadattamenti novecenteschi (Spenler, Huizinga); uno
stile a sua volta precursore di una linea anticonformista nella filosofia
della scienza (Kuhn, Feyerabend). Vi emergono le discontinuità, le
analogie, le continuità tra le forme di vita: vi restano nella penombra
le omogeneità, le generalità, la necessita dei nessi. È un indirizzo in
apparenza convergente con quello della Gestalt, la cui tesi principale, la
precedenza delle configurazioni percettive su qualsiasi vissuto e
intenzione, viene però respinta come un pregiudizio realistico. |