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Sommario anno XII numero 4 - aprile 2003

 BREVIARIO DI NEUROSCIENZE
Linguaggio e mente - De Saussure & Wittgenstein

Con questo numero diamo seguito, con piacere, a una nuova rubrica monografica di una disciplina giovane ma molto promettente. La rubrica proseguirà su queste pagine per almeno un anno. La cura personalmente Silvia Coletti, laureata in Filosofia della Scienza. L’autrice si occupa di studi teorici e storici relativi alle origini delle scienze naturali antiche (Euclide, Pappo, Pitagora, Plinio il vecchio e Lucrezio) e delle scienze naturali moderne (Buffon, Lamarck, Darwin, Spencer, Mendel). Successivi studi di Filosofia della Mente l’hanno condotta a specializzarsi sul mondo logico e linguistico di John R. Searle, docente presso l’Università di California a Berkeley. Attualmente studia le interconnessioni tra scienze cognitive e robotica.

Una definizione.

La linguistica è una scienza che ha per oggetto lo studio della lingua, la quale rappresenta un codice verbale umano. Attraverso questa codifica si realizza in modi storicamente determinati la facoltà del linguaggio. La lingua è studiata su diversi livelli ciascuno dei quali costituisce un vero e proprio ambito disciplinare. I quattro ambiti principali sono: (a) linguistica; (b) neurolinguistica; (c) psicolinguistica; (d) sociolinguistica. La linguistica si articola nei seguenti sottoinsiemi: (i) morfologia; (ii) semantica; (iii) sintattica; (iv) pragmatica; (v) fonetica; (vi) fonologia; (vii) atto linguistico; (viii) universali linguistici; (ix) lingua e parola. La psicolinguistica si articola nei due seguenti sottoinsiemi: (i) distribuzionalismo; (ii) generativismo.
Ferdinand de Saussure (1857–1913).
Linguista svizzero, uno dei fondatori della linguistica moderna, Ferdinand de Saussure, ha per primo affrontato lo studio strutturale del linguaggio, enfatizzando la natura arbitraria delle relazioni che esistono tra i segni linguistici e il significato cui corrispondono. L’autore distingue una linguistica sincronica (lo studio del linguaggio in un arbitrario stato temporale) da una linguistica diacronica (lo studio del cambiamento di stato del linguaggio al trascorrere del tempo). L’autore oppone inoltre quello che egli chiama langue (stato del linguaggio in un determinato tempo) alla parole (il discorso individuale). Il lavoro principale dell’autore è intitolato Corso di linguistica generale, pubblicato postumo nel 1916, che comprende una compilazione di appunti e note rielaborati da studenti allievi delle sue lezioni universitarie svolte tra il 1906-1911.
Dal Cratilo di Platone.
I primi a porsi interrogativi sulla natura dl linguaggio furono i filosofi del mondo greco. Il problema affrontato da Platone nel Cratilo, riprendendo argomenti già avanzati dai sofisti, riguarda la natura della relazione che intercorre tra i nomi e le cose a cui i primi corrispondono: alle cose si associano nomi per natura o per convenzione? Platone, fedele alla teoria delle idee, critica il convenzionalismo, che ha come conseguenza la tesi che ciascuna cosa può essere convenzionalmente denominata con qualunque nome e quindi, non si spiega come una certa cosa venga chiamata in un modo piuttosto che in un altro. In seguito a ciò, Platone propone una sua versione, secondo la quale ciò che fa di un termine associato, il nome corretto di una cosa, è il fatto che esso è l’incarnazione di un unico “nome ideale” della cosa stessa e che quindi è il medesimo per ogni uomo (dibattito fra naturalisti e convenzionalisti). Per Platone la conoscenza per esempio della parola albero non deriva dall’esperienza sensibile. Il significato della parola viene dal riemergere nella coscienza della nozione o idea dell’Albero ideale, ossia del prototipo, la fonte concettuale di tutti gli alberi materiali. Il problema del concetto è uno degli argomenti più ostici affrontato soprattutto nel campo dell’Intelligenza artificiale, nel tentativo per esempio di dotare il computer di capacità riconoscitive degli oggetti e ancor più delle forme degli oggetti stessi.
Segno, significato e significante.
Il segno, in linguistica e in particolare secondo la concezione di de Saussure, è un entità costituita di un significante e di un significato e analizzabile in relazione ad un piano dell’espressione ed a uno del contenuto. Il segno linguistico è un elemento di un insieme di segni o codice proprio di una lingua ed unisce un concetto (significato) ad un’immagine acustica (significante). Il segno è dunque secondo de Saussure, un’entità psichica a due facce: concetto e immagine acustica.Il significante è l’immagine acustica a cui è associato il concetto (significato) nel cervello del parlante. Il significante del segno linguistico è una figura di sostanza acustica. Da esso dipende tutto il meccanismo della lingua. Il significato è il concetto associato all’immagine acustica (significante) nel cervello del parlante. Esso è inteso da de Saussure come elemento di un sistema di significati e come unità del piano del contenuto nell’espressione linguistica. Significato e significante sono gli organizzatori dell’espressione comunicata e dalla sostanza comunicante. Il legame che unisce il significato al significante è arbitrario e quindi possiamo dire che il segno linguistico, poiché è il risultante dell’associazione di significato e significante, è anch’esso arbitrario.
Ludwig Wittgenstein (1889-1951).
Nella prima metà del XX secolo un uomo più di ogni altro ha cercato di capire come funziona il linguaggio e in particolare le parole. Era austriaco, ingegnere e poi filosofo: Ludwig Wittgenstein. Ancor giovane, ha scritto un primo libro molto importante con un titolo latino Tractatus logico-philosophicus 1921, ma il resto del libro era in tedesco. Questo testo costituisce l’ultima grande opera scientifica nella quale si sia cercato di sostenere che una lingua è un calcolo, che le frasi sono come operazioni aritmetiche con i loro simboli funzionali (preposizioni, congiunzioni, implicazioni, negazioni) e i loro numeri (vale a dire le parole). La frase è quindi una fila ordinata di simboli, una struttura né più e né meno delle espressioni dell’aritmetica e dell’algebra. Dopo la fine della prima guerra mondiale in cui l’autore è stato militare e prigioniero in Italia, gli venne offerto di insegnare e studiare a Cambridge in Inghilterra, dove ha vissuto fino alla morte.
Il vissuto privato come canone individuale.
In secondo tempo Wittgenstein è stato condotto a concludere che il linguaggio è forgiato non secondo una sintassi inflessibile, ma secondo i contesti, gli usi, le convenzioni e soprattutto le invenzioni espressive e le immagini di cui la vita umana è fonte inesauribile. Il filosofo combatte anzitutto la convinzione che i fenomeni psichici siano una risorsa esclusiva della coscienza individuale. Infatti il linguaggio per esprimere il vissuto privato (per esempio il dolore) come dato immediato e incomunicabile, deve pur sempre ricorrere a qualche prassi condivisa, a un accordo stipulato tra individui dialoganti. Tuttavia Wittgenstein si rifiuta di negare l’esistenza di “processi psichici” o “spirituali”: per quanto finzioni, si tratta di “finzioni grammaticali”, cioè di atteggiamenti profondamente radicati nella vita, alla stregua della esperienze oniriche.
La regola normativa: una prassi.
Interpretare una regola con un’altra significa usare un proprio modo di seguire una regola. Non si può seguire una regola privatim, perché non sarebbe conforme a ciò che conviene alla comunità, alla loro forma di vita e saremo per questo isolati. Infatti credere di seguire la regola non è seguire la regola. Procedure e materiali di tali discussioni sembrano rifarsi a vedute tipiche del comportamentismo e del pragmatismo, in particolare quello di William James, noto scienziato e autore di Principi di psicologia (1890). La tesi principale di Wittgenstein sostiene la pubblicità dei criteri di evidenza, controllabilità, di nozioni quali “coscienza”, “interno”, “vissuto”, trasparenza delle connessioni corporee. È rimasta celebre la frase di Wittgenstein nelle Ricerche: “Il corpo umano è la migliore immagine dell’anima umana”. Se ogni concetto instaura un codice di senso compiuto, la differenza tra l’uno e l’altro concetto equivale non a difformità tra fatti di uno stesso mondo, ma ad uno scarto di evidenza tra due mondi, tra due forme autosufficienti e incommensurabili. Siamo di fronte a uno stile epistemologico inedito, ispirato soprattutto alla morfologia di Goethe, ma anche ad alcuni suoi riadattamenti novecenteschi (Spenler, Huizinga); uno stile a sua volta precursore di una linea anticonformista nella filosofia della scienza (Kuhn, Feyerabend). Vi emergono le discontinuità, le analogie, le continuità tra le forme di vita: vi restano nella penombra le omogeneità, le generalità, la necessita dei nessi. È un indirizzo in apparenza convergente con quello della Gestalt, la cui tesi principale, la precedenza delle configurazioni percettive su qualsiasi vissuto e intenzione, viene però respinta come un pregiudizio realistico.
 BREVIARIO DI NEUROSCIENZE

Sommario anno XII numero 4 - aprile 2003