Note
per una teologia del dialogo (1)
Renato Vernini - renverni@tin.it
Da questo numero Controluce ospiterà un breve corso di Teologia. In
particolare, si tratta di una riflessione di base sulla teologia cattolica
più aperta ad un dialogo con le altre religioni ed i non credenti e che,
per i motivi che vedremo in seguito, chiamiamo teologia politica. Non c’è
alcuna pretesa di completare in dodici numeri tutto il possibile della
riflessione teologica (pretesa che sarebbe ridicola!) ma lo sforzo di
illustrare in ciascun articolo, almeno lo schema di un argomento, in
maniera che il lettore possa seguire, il più agevolmente possibile, il
filo del discorso. Per forza di cose il linguaggio sarà il più possibile
lineare ed eviterà termini tecnici: ce ne scusiamo fin d’ora con i più
preparati, che, d’altra parte, non hanno bisogno certo di questa
introduzione alla teologia.
1.1
L’uomo vuole dare un nome a Dio
Che cosa è la teologia? Possiamo affermare all’inizio della nostra
riflessione che la teologia è la scienza che si vuole occupare di Dio.
Vedremo
alla fine se possiamo dire qualcosa di più. Per ora, in termini piuttosto
grossolani possiamo affermare che la teologia è la scienza che cerca
di scoprire le “qualità” di Dio e le leggi che regolano il suo
rapporto con gli uomini. I filosofi ed i teologi hanno sempre tentato
di applicare concetti umani a Colui che pur ritenevano essere al di
sopra di ogni definizione. L’uomo che crede in Dio ha sempre tentato di
dargli un nome, non solo per conoscerlo meglio, in quanto il rapporto con
Dio è per l’uomo religioso presente al proprio intimo, quanto per
comunicare agli altri la propria esperienza di Dio. Così Mosè di fronte
al roveto ardente interroga Dio stesso sulla sua identità. Mosè pare
volersi giustificare e chiede al Roveto il suo nome proprio per poter
comunicare agli altri uomini l’esperienza che egli ha fatto di Dio: “Mosè
disse a Dio: «Ecco io vado dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri
padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: «Come si chiama?» E io cosa
risponderò loro?»” (Esodo 3,12).
Purtroppo la storia ha dimostrato che quando si da un nome ad un Dio si
finisce per armarsi contro quelli che Gli hanno dato un nome diverso.
1.2
La teologia tenta di comunicare con concetti l’esperienza di Dio
Molta della teologia si risolve nella interpretazione di quella che la
Chiesa considera Rivelazione. Tuttavia i cattolici, a differenza della
scuola protestante, considerano che il dato rivelato sia quello delle
Scritture, ma lette alla luce della tradizione cristiana (cfr. la
Costituzione Conciliare Dei Verbum, http://www2.chiesacattolica.it/bibbia/principali/).
Anche quindi per la teologia che si occupa essenzialmente della Scrittura,
lo sforzo di produrre concetti teologici, anche solo esegetici, è di
primario interesse. Le strade seguite dai teologi nel loro sforzo sono
state diverse: la via della negazione si spinge a descrivere Dio
negando tutto ciò che Dio non può essere. Così, ad esempio, negandone
l’imperfezione si afferma la necessità che Dio sia perfetto. Negandone
la cattiveria si afferma la bontà. La via più diffusa è stata per tanto
tempo quella dell’analogia: la via che conduce ad affermare di
Dio qualcosa che sia inteso in un significato solo appena riconducibile
alle realtà terrene. Così dicendo che Dio è buono lo facciamo
per analogia alla bontà degli uomini, sapendo che la qualità che andiamo
ad affermare di Dio è solo qualcosa che negli uomini si trova appena
accennato, una traccia di quanto vogliamo dire su Dio.
Le teologie tradizionali che hanno lavorato su concetti ed elaborato una
verità esterna al soggetto sono state teologie metodologicamente
inadeguate al dialogo non solo con le altre religioni ma anche con le
altre teologie di diversa scuola. La contrapposizione storica in ambito
cattolico riguarda la filosofia di derivazione aristotelica utilizzata dal
tomismo e dai
domenicani
con la teologia più sensibile al platonismo ed all’insegnamento di S.
Agostino, fertile tra i francescani. La teologia moderna è andata oltre a
quanto aveva ereditato dal passato sopratutto nel metodo. Per la teologia
del XIX secolo la grossa contraddizione risiede nel fatto che la teologia
lavora comunicando concetti, mentre la fede (che è l’esperienza sulla
quale riflette la teologia) attiene ad un tutto che è al di sopra e prima
dell’espressione di un concetto. L’esempio più calzante è sempre
quello degli innamorati: se noi chiedessimo a due innamorati cosa li fa
essere innamorati dell’altro, o anche più semplicemente se chiedessimo
ad una ragazza o ad un ragazzo: “cosa ti piace di chi ami?”,
ricaveremmo nella grande maggioranza dei casi risposte confuse. I nostri
interlocutori, comunque, saprebbero già di esprimersi con parole
inadeguate alla loro esperienza d’amore. Non a caso la scorciatoia
intrapresa dal desiderio contemporaneo di religiosità e che possiamo
indicare genericamente con il nome di new age è un tentativo a
volte molto grossolano di ricondurre l’esperienza religiosa a forme
originarie e non mediate da concetti. La comunicazione delle vie new
age è problematica e spesso assume contorni esoterici ma l’esigenza
dalla quale si muove è più che legittima (Cfr. lo studio del PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA PONTIFICIO CONSIGLIO
PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, GESÙ CRISTO PORTATORE DELL’ACQUA VIVA,
Una riflessione cristiana sul “New Age”, http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/interelg/documents/rc_pc_interelg_doc_20030203_new-age_it.html).
1.3 Nuove prospetttive teologiche
Alcune teologie contemporanee (ma sia chiaro che anche solo nell’ambito
cattolico esistono diverse scuole di teologia contemporanea) lavorano
prendendo atto sia della necessità di utilizzare un linguaggio e dei
concetti anche per parlare di Dio e dell’esperienza religiosa, sia del
fatto che la “religione” attenga ad un qualcosa di talmente intimo e
coinvolgente che non può essere ridotto ad un “discorso”. La sintesi,
il punto di incontro che supera questa contraddizione, è che la teologia
vuole parlare di Dio e dell’uomo in rapporto con Dio, esprimendosi in
concetti ma facendo appello alla profondità di una esperienza che
riguarda nel suo intimo ciascun uomo impegnato con questa esperienza di
Dio. Sostanzialmente la teologia si è resa conto che non è possibile
parlare di Dio senza partire dal rapporto che Dio ha con gli uomini, con
ciascun uomo. La svolta antropologica parte da questo dato di fatto:
partire dall’uomo e dal suo rapporto con Dio facendo riferimento,
attraverso i concetti teologici, all’intimità di questo rapporto ed
appellandosi a questa intimità per comunicare i concetti. Non è
possibile partire dal discorso su Dio senza prendere le mosse dall’unico
dato che ci è possibile prendere in esame, il rapporto tra questo Dio e
gli uomini, partendo dall’esperienza che gli uomini come collettività e
come singoli hanno di questo rapporto. Questa teologia, legittimamente
sviluppata nell’ambito delle diverse confessioni religiose, è per sua
natura una teologia ecumenica, una teologia in grado di dialogare con le
altre religioni.
Un approccio di questo tipo permette un dialogo tra religioni diverse e
tra uomini diversi molto efficace. Una teologia attenta al rapporto tra
l’uomo e Dio parla innanzi tutto la lingua degli uomini ed è attenta
alla comprensione che gli uomini hanno di loro stessi in una determinata
epoca. Il gesuita Karl Rahner così bene esprime il metodo di questa nuova
telologia :
“la teologia è genuina e predicabile solo nella misura in cui riesce
a entrare in contatto con tutta l’autointerpretazione profana che
l’uomo possiede in una determinata epoca, a entrare in dialogo con essa,
ad assimilarla e a lasciarsene fecondare per quanto riguarda il
linguaggio, ma ancor più per quanto riguarda la cosa stessa” (K.
Rahner, Corso Fondamentale sulla Fede, Ed. Paoline, pag. 25) |