Tombaroli
(Andrea
Pancotti) - Da quando l’uomo ha cominciato a seppellire i suoi
cari in tombe fastose dotate di corredi ricchi ed abbondanti,
hanno
fatto comparsa sulla terra i tombaroli. Già ne abbiamo traccia durante
l’antico regno degli Egizi (esattamente la IV dinastia), dove per
proteggere la mummia del faraone dai predoni del deserto non solo venivano
inserite trappole ed ostacoli invalicabili all’interno delle piramidi,
ma venivano anche allestite vere e proprie truppe di monaci difensori
all’interno del recinto sacro (e molte volte erano loro gli stessi
predatori). Inoltre, con il passare dei secoli, saccheggiare le tombe dei
grandi faraoni non solo diventò un mestiere ma anche un’arte, si arrivò
persino a scrivere testi che aiutavano il “curioso” a orientarsi nelle
grandi tombe ed a scegliere gli oggetti più raffinati (il cosiddetto
“libro delle perle nascoste”). Anche a Roma abbiamo esempi tangibili
della presenza di tombaroli “pionieri”, infatti non sono rari agli
archeologi ritrovamenti di tombe etrusche saccheggiate in epoche
precedenti: i romani in questo erano maestri, e le impronte del loro
passaggio sono tutt’oggi chiare e riconoscibili, in quanto si
accontentavano solo degli oggetti in metallo, unguentari, e vasi corinzi,
buttando a terra tutta la ceramica comune ed il bucchero. Nell’anno 44
avanti Cristo, Giulio Cesare dedusse una colonia nel posto dove sorgeva
Corinto (già distrutta dai Romani nel 146); i primi coloni cominciarono a
costruire case ed officine nei propri appezzamenti di terreno e
cominciarono così a rinvenire tombe contenenti centinaia di vasi corinzi
e bronzi eccellenti molto graditi nei palazzi imperiali (aes corinthium):
il fenomeno fu talmente apprezzato che a Roma vennero persino aperte
botteghe e negozi che vendevano (a caro prezzo) oggetti provenienti dalle
tombe di Corinto, i cosiddetti “necrocorinzi”. Il saccheggio delle
tombe etrusche continuò per parecchi anni, ed ebbe il suo apice
commerciale alla fine della seconda guerra mondiale, quando la povertà
spinse migliaia di contadini del centro e sud Italia a vendere reperti
impareggiabili a collezionisti americani e svizzeri per un tozzo di pane.
Oggi tra i moderni agricoltori con problemi finanziari il confine tra
lecito ed illecito è molto sottile, è molto facile imbattersi in tombe e
camere funerarie durante l’aratura, così per curiosità o per casualità
ci si ritrova con reperti preziosi tra le mani.
Il lavoro del tombarolo si articola solitamente in più fasi così
suddivise:
- Ricognizione
Per procedere al rinvenimento di una tomba, il tombarolo deve prima
scoprire una necropoli possibilmente intatta, cosa molto difficile in
quanto le necropoli dei popoli italici sono visibili anche ad occhi
inesperti grazie alla presenza del “tumulo funerario”, una massa di
terra quasi sempre circondata da pietre, caratterizzata da un diametro
notevole ed alta a volte più di due metri, posizionata sopra la
sepoltura. La prima delle mosse di ricognizione è quella di localizzare
un appezzamento di terreno idoneo a contenere una necropoli: un terreno
costellato di tumuli di terra grandi e piccoli, o pietre posizionate sulla
terra verticalmente, è il luogo adatto. Anche la presenza di pareti
rocciose o rovine è un buon segnale in quanto esistono le cosiddette
necropoli rupestri, molte volte scavate nel tufo. Un abile tombarolo per
localizzare una sepoltura si basa sul colore della terra e dell’erba che
denota macchie di colore diverso simili ad “isole” circolari sopra una
cavità, o sulla crescita smisurata di alcune specie di piante isolate
(dovuta alla consistente umidità del sottosuolo): l’erba medica
coltivata nei campi è un ottimo segnale in quanto forma veri e propri
negativi della tomba sepolta. L’attrezzo saggiatore del tombarolo medio
rimane sempre il cosiddetto spillone: una stecca di ferro appuntita lunga
circa 1 metro e mezzo che serve a sondare it terreno. Come lo spillone
trova il coperchio di una tomba, con un abile lavoro di leggera
percussione i tombaroli forano il coperchio e con delicatezza saggiano gli
oggetti contenuti. Se al ritorno alla luce la punta dello spillone è
rossa, sanno dì trovarsi di fronte a vasi comuni color ocra; se la punta
dello spillone riporta del colore nero vuol dire che sono in presenza di
vasi a vernice nera, vasi di valore, i più pregiati; il bianco invece è
del calcare. La punta dello spillone dice al tombarolo se la tomba è
stata già visitata in passato; se è di un nobile; se frutterà poco o
molto. Identificata la tomba, il tombarolo lascia sul posto piccoli cumuli
dì pietra che ne segnano il perimetro. A sera, quando il sole non
disturba più, tornerà in compagnia per lo scavo vero e proprio.
- Lo scavo
Una volta individuata la tomba da scavare durante il giorno, il tombarolo
torna la notte con una vera e propria squadra di scavo ben organizzata.
Scavare una tomba richiede 2 notti; la prima notte si procede allo scavo
di una trincea e si apre un’apertura sulla tomba per far uscire l’aria
nociva ed i gas emanati dal tufo per 2600 anni, così facendo si impedisce
di rompere vasi ed oggetti che con l’umidità diventano fragilissimi. La
tomba viene lasciata aperta per 24 ore così da raggiungere la
ventilazione ottimale.
La seconda notte i tombaroli ritornano sul sito da scavare, non hanno con
loro luci o accendini, così facendo abituano i loro occhi all’oscurità.
Una tomba contiene dì solito 30-40 vasi e i tombaroli hanno dalle 4 alle
8 ore di oscurità per recuperare la maggior parte di reperti; molte volte
sono costretti a spezzare i vasi per poterli trasportare più facilmente.
Per la fretta di accedere direttamente alla camera mortuaria i tombaroli
percorrono velocemente il corridoio d’ingresso (dromos) distruggendo
inconsapevolmente molti oggetti. La squadra è formata da un minimo di 2
ad un massimo di 5 uomini di cui la maggior parte spala la terra ed uno
rimane fuori a fare da sentinella per la probabile presenza di pattuglie
di carabinieri in perlustrazione; il cosiddetto “pa1o” viene dotato di
un binocolo con visione notturna e bottiglie di whisky e caffè per
tenersi sveglio. Le fosse e le trincee scavate (tranne rare eccezioni) non
vengono mai ricoperte per ragioni pratiche; it tombarolo avvolge poi i
reperti in giornali e buste di plastica e li nasconde dentro alberi cavi o
sotto i cespugli: è essenziale infatti non farsi trovare con reperti
archeologici nascosti in macchina o in casa. Da qualche anno i tombaroli
si sono modernizzati: dopo aver “ripulitò” una tomba, è possibile
che a causa dell’oscurità sfuggano piccoli oggetti metallici come
orecchini, anelli, fibule, vaghi di collana ecc. Così setacciano palmo a
palmo la terra scavata con un attrezzo chiamato metal detector:
un’antenna cerca metalli di forma circolare collegata ad un’asta
dotata di un computer in grado di fornire dati approssimativi sulla lega
del metallo; facendo muovere l’antenna con un movimento a zig-zag
parallelo al terreno, si viene a creare una sorta di campo
elettromagnetico che avvolge letteralmente un oggetto metallico nel
sottosuolo e spedisce un segnale di rimbalzo all’antenna che a sua volta
lo interpreta, secondo i parametri di cui è dotata, come un possibile
oggetto metallico di una certa lega. Le contromisure che si possono
adottare in questi casi sono molto semplici, basta spargere limatura di
ferro nell’area dello scavo per far andare in tilt questi apparecchi. Un’altra tecnica di scavo del
tombarolo, consiste nel ricattare (avvelenando i pozzi o tagliando i
tronchi delle viti) e fare accordi con i contadini che possiedono campi
coltivabili sulle necropoli: pagando l’aratura all’agricoltore, con la
scusa di arare i campi vanno giù con l’aratro raccogliendo poi quel che
viene dietro il vomere.
- Falsificazione
Arrivati a questo punto, è bene mettere in chiaro che il tombarolo medio
per arrotondare e per avere sempre l’offerta giusta nel mercato
internazionale arriva a falsificare i vasi, le monete il vetro e le
statue. Da criminale diventa artista producendo opere d’arte vere e
proprie e copie perfette di forme vascolari basandosi sui suoi
ritrovamenti più fortunati. Le tecniche d’invecchiamento dei vasi non
si basano solo sul sotterramento per qualche tempo della copia riprodotta
tanto da sporcarla con il fango e la terra ma consistono in una vera e
propria riproduzione della patina giallastra, dei segni delle radici e
delle concrezioni calcaree: l’opera ormai terminata viene sotterrata
sotto il letame e si colora di giallastro stando a contatto con acido
urico; procedimenti simili vengono attuati anche per invecchiare statue di
marmo o terracotta e monete. Per quanto riguarda la riproduzione del
bucchero, i tombaroli più ingenui dipingono di nero la superficie del
vaso mentre quelli più astuti usano due metodi: o impastano direttamente
il carbone con l’argilla così da ottenere un vaso d’impasto nero a
tutti gli effetti oppure limano decine di frammenti di vasi di bucchero
diversi tra loro così da ottenere una brocchetta apparentemente intera ma
in realtà frammentata; questa tecnica è tuttavia facilmente
smascherabile in quanto basta controllare nell’interno l’andatura
delle linee del tornio. La falsificazione degli unguentari di vetro è
invece difficilissima, e quasi impossibile quella della pasta vitrea:
questa infatti viene prodotta esclusivamente a murano sotto richiesta ed
è venduta a blocchetti di dimensioni variabili. Il vetro antico è
riconoscibile dalle sue classiche bollicine all’interno e dalle numerose
smagliature esterne dovute alla lavorazione originale, quindi per
falsificare una boccetta o un unguentario bisogna ricorrere direttamente
alle tecniche di lavorazione antiche, cosa molto dispendiosa. Anche le
statue presentano difficoltà di falsificazione ma non riguardo alla
figurazione della statua ma, riguardo all’invecchiamento, anche il marmo
come altre pietre è infatti sottoposto alla corrosione del tempo e ad
alcuni cancri che trapano la superficie sgretolando la statua lentamente.
Per quanto riguarda le monete, la produzione di un conio falso richiede il
lavoro di un esperto artigiano e una cifra abbastanza elevata; la prima
cosa che colpisce in una moneta falsa è la sottigliezza del tondello e la
limatura del bordo, ma la vera sfida che si presenta al falsario è la
riproduzione della patina di antichità della moneta di bronzo: anche
usando agenti chimici, acidi, zolfo e coloranti naturali o artificiali un
vero esperto riconosce subito la differenza tra una patina vera da una
fasulla.
Un reperto archeologico in bronzo, di notevole importanza artistica e
culturale, costerà sempre di più di un reperto identico costituito però
da oro o d’argento: questi ultimi infatti, anche se metalli nobili non
formano strati di patina per verificare l’effettiva antichità
dell’oggetto; sono quindi più falsificabili.
Le tecniche che usano i tombaroli per fondere l’attività di scavo a
quella di falsificazione sono molteplici: una dì queste è sotterrare un
falso per poi disseppellirlo in presenza del cliente, così da far
ritenere fortuito il “casuale” ritrovamento; ancor peggio ci sono casi
in cui l’equipe di scavo riproduce dentro una tomba già ripulita
precedentemente tutto il corredo antico, ricreando persino la muffa e le
ragnatele: il risultato è che il ricco cliente in visita alla necropoli,
estasiato dal ritrovamento, compra tutto il corredo. Alle volte il
tombarolo, trovato un vaso dipinto intero ed in perfetto stato, 1o spezza
in due parti e riproduce perfettamente all’originale una delle parti
spezzate; una volta venduto il reperto (per metà falso), dopo qualche
tempo sì fa risentire al cliente dicendo di aver trovato l’altra metà
del vaso che gli ha venduto, ed è disposto a venderlo per il doppio della
cifra...
Il commercio dei nostri mirabolanti reperti viene purtroppo conteso dai
paesi dell’Europa del nord e dagli Stai Uniti: stipati in containers e
coperti da pannelli di plastica rivestiti di stucco vengono, infatti,
trasportati da tir e da carghi transoceanici nelle più diverse
destinazioni a far parte di collezioni che sinceramente ritengo forme di
attaccamento morboso ed immaturo a culture ben più superiori a quelle di
appartenenza del cliente o collezionista che sia... La cosiddetta sindrome
di inferiorità, che mai riuscirà a colmare il suo vuoto dovuto
all’inconscia invidia.
Tomba delle leonesse - Tarquinia |