ariccia
Il
castello di Ariccia
(Tania Simonetti-Marco Cacciotti) - Sorse in età feudale,
nel sito intermedio fra la città antichissima d’Ariccia e quella di età
romana.
Distrutta
dai saraceni nell’827 e nell’844, sorse come castello nel sec. IX
affidato ai conti del Tuscolo.
Cessato il loro dominio, nel 1166 fu dato in pegno ai Malabranca, che dal
1178 lo ebbero in feudo, come vassalli della Chiesa romana. Nel 1223 fu
ceduto dai Malabranca ad Onofrio III, che voleva darlo ai Savelli. Nel
1234 figura tra le castellanìe della chiesa inalienabili a feudatari, e
fu dato in custodia agli Annibaldi. A questi nel 1252 lo tolse Innocenzo
IV, che affermò su di esso il dominio immediato della Santa Sede. Nel
sec. XIV la castellanìa apparteneva alla Camera Apostolica, affidata
prima alla famiglia nobile dei Conti e poi a quella dei Savelli. Alla fine del
secolo Ariccia era distrutta e ridotta a tenuta. Nel 1404 Bonifacio IX
concesse il suo territorio al monastero di S. Anastasio alle Tre Fontane.
Negli anni successivi vi figurano alternativamente i Colonna e i Savelli,
che nel 1432 l’ acquistarono definitivamente e lo conservarono, salvo la
momentanea
occupazione dei Napoletani nel 1482, fino al 1661, quando lo vendettero ai
Chigi. Il castello originario fu modificato dal Bernini. Lo caratterizza
la lunga facciata chiusa da due torri quadrate.Un palazzo il cui gran
salone d’onore ricorda i fasti musicali della secentesca Accademia
degli Sfaccendati. Questa, istituita nel 1672 intendeva promuovere
“occasione di piacevoli incontri e divago culturale fuori delle abituali
faccende”. Numerosi i pittori impegnati nella decorazione delle stanze:
Michelangelo Pace da Campidoglio (1610/70) dipinse una serie di tele per
il cardinale Flavio Ghigi nel 1665; il Baciccia (1639/1709) per l’alcova
del cardinale dipinse una ‘Diana che sveglia Endimione’
; Mario de’ Fiori (1603/73) realizza le ‘Quattro stagioni
’ in collaborazione con Maratta, Lauri, Brandi e Mei. Sul retro del
palazzo si stende il bosco aricino, sistemato a parco, degno erede
del “bosco delle muse”, di cui parlano gli scrittori latini; lo
caratterizzano antiche piante e alberi esotici, nonché alcune grotte, che
costituirono il rifugio del brigante Gasparone.
Il brigante Gasparone, al secolo Antonio Gasparoni o Gasbarroni,
ebbe il soprannome di Gasperone essendo nato a Sonnino nel 1793. Divenne
un fuorilegge nel 1816 dopo aver ucciso a pugnalate il fratello di una
contadina della quale era innamorato e ben presto costituì una banda.
Agiva nel Lazio meridionale operando con la tecnica della guerriglia. Le
sue imprese divennero leggendarie, perché il brigante
si
comportava da galantuomo, aiutando i poveri, e furono immortalate nelle Memorie
che il suo luogotenente Pietro Masi scrisse durante la lunga prigionia a
Castel Sant’Angelo.
Infatti, nel 1825, il vicario di Sezze mise in contatto Gasparone
attraverso le mogli di due carcerati proponendogli l’amnistia e
l’esilio in America in cambio della resa; Gasparone credette alla
promessa, anche perché si era innamorato della figlia di un ricco
contadino che volle sposare,
una volta tornato nella normale vita civile. Ma dopo la consegna delle
armi Gasparone e i suoi briganti furono rinchiusi a Castel Sant’ Angelo,
da dove uscirono solo nel 1870, quando furono scarcerati in seguito ad una
supplica al re Vittorio Emanuele II. Ad Ariccia s’impadronì del palazzo
e, secondo una leggenda, avrebbe seppellito il suo tesoro in una delle
grotte del bosco aricino.
Un valore straordinario assume il vasto parco, ultimo frammento di
vegetazione originaria dei Colli Albani con ruderi di varie epoche,
fontane, grotte ed un’uccelliera del 1500. Nelle stupende sale del
castello sono state ambientate molte scene del film Il Gattopardo di
Luchino Visconti.
Il comune di Ariccia, dopo l’acquisizione del “castello” palazzo
Chigi avvenuta il 29 dicembre 1988, utilizza il palazzo prevalentemente
per manifestazioni culturali. In particolare è previsto un progetto di
corsi residenziali sul barocco.
(notizie
tratte da: “Guida insolita del Lazio”, di C.Rendina-“Luoghi
fortificati del Lazio”, dell’Istituto Italiano Castelli).
velletri
- comunicato stampa
“Salvalarte”
(Legambiente) - Nonostante l’impegno elettorale e la bella
giornata di sole invitante per gli amanti del mare, domenica 25 maggio
sono stati più di 50 i partecipanti all’appuntamento di Legambiente “SALVALARTE”.
Salvalarte appunto, è la “veterana” tra le iniziative di Legambiente
nel settore beni culturali. Duplice il suo obiettivo: da una parte,
segnalare le emergenze monumentali più a rischio e promuovere una
campagna di sensibilizzazione per attivare i meccanismi per il loro
recupero. Dall’altra, far conoscere, promuovere e valorizzare anche quei
beni culturali così detti “minori”, al di fuori degli itinerari
turistici tradizionali e sconosciuti al “grande pubblico”, ma non per
questo meno importanti. Accompagnati dall’amico Giorgio Manganello,
appassionato studioso di archeologia e coautore fra l’altro della
recente Carta Archeologica di Velletri, sono stati visitati tre siti del
Monte Artemisio. Partendo dal fontanile della Donzelletta si è saliti per
una antica strada pre-romana ove sono ubicate diverse tombe censite due
anni orsono da una associazione locale (O.P.E.). Tali tombe fanno parte di
un vasto complesso monumentale con orientamento verso sud–est. Una
necropoli dunque, della quale sono state riportate alla luce e censite
circa una cinquantina di sepolture. Rimaneggiate e riutilizzate nelle
epoche successive, sono di difficile datazione. Arrivati alla Fonte della
Donzella si è proseguito per Colle del Vescovo. Qui, grazie ad una
collaborazione tra Comune di Velletri, Università “La Sapienza” di
Roma e Sovrintendenza Archeologica del Lazio, è stato avviato un progetto
di indagine sistematica. Tra il 1999 ed il 2000 è stato messo in luce,
sulla sommità del colle, un complesso medievale costruito con scaglie di
tufo e basalto. La visita si è conclusa sul Maschio d’Ariano.
Sicuramente il luogo più importante sia storicamente che
archeologicamente. Dalla Preistoria al periodo Arcaico, gli Equi, i Volsci
ed i Romani … Castelliere, Oppidum, Algidum, Verrugo, Maschio d’Ariano
… Tanti periodi storici, tanti popoli succedutisi e tanta storia che non
si possono certo concentrare in poche righe. Una giornata quella del 25
maggio, sicuramente positiva che ha evidenziato una delle tante emergenze
archeologiche presenti a Velletri. Ci piace qui ricordare ciò che scrive
la dott.ssa Luciana Drago Troccoli: “Alcune centinaia di frammenti
fittili rinvenuti a diverse quote lungo tutta la cresta del complesso
montuoso e sui rilievi adiacenti, dal Monte Spina al Monte Tagliente
costituivano infatti un interessante e promettente indizio di aree
d’abitato e di culto databili per lo più tra un momento avanzato
dell’età del Bronzo e la prima età del Ferro, l’età orientalizzante
e arcaica con presenze più discontinue di età romana e medievale”.
Praticamente tutta la montagna dalla Via dei Laghi alla Via Anagnina !!
Questo è sicuramente un valido motivo per non considerare il Monte
Artemisio soltanto un luogo di produzione di legname, ma anche un luogo
dove storia, arte, cultura, archeologia e natura si uniscono insieme per
dar vita e creare uno dei luoghi più belli e pieni di fascino dei
Castelli Romani. La collaborazione tra il Circolo di Legambiente “La
Spinosa” con Giorgio Manganello dei Gruppi Archeologici d’Italia
continuerà con future iniziative, delle quali informeremo i tanti
appassionati presenti sul territorio.
Dopo dunque la visita agli scavi di Ercolano, Oplontis e Villa Regina e
quella al Maschio d’Ariano, concluderemo in settembre la Campagna
SALVALARTE con la “Passeggiata nella Città Possibile” con il prof.
Marco Nocca. Nell’attesa invitiamo soci ed amici a partecipare
all’ormai consueta Cena Vegetariana presso il B&B “Castelli
Romani” a Colle Ottone. L’appuntamento è fissato per il 21 giugno,
Solstizio d’Estate. |