Note
per una teologia del dialogo
(2 - Il centro della fede cristiana: Gesù che libera)
Renato Vernini - renverni@tin.it
Dallo scorso numero di maggio “Notizie in...Controluce”ospita
un breve corso di Teologia. In particolare si tratta di una riflessione di
base sulla teologia cattolica
più aperta ad un dialogo con le altre religioni ed i non credenti e che,
per i motivi che vedremo, chiamiamo teologia politica.
Non c’è alcuna pretesa di completare in dodici numeri tutto il
possibile della riflessione teologica (pretesa che sarebbe ridicola!) ma
lo sforzo di illustrare in ciascun articolo almeno lo schema di un
argomento, in maniera che il lettore possa seguire, il più agevolmente
possibile, il filo del discorso. Per forza di cose il linguaggio sarà il
più possibile lineare ed eviterà termini tecnici: ce ne scusiamo fin
d’ora con i più preparati, che, d’altra parte, non hanno bisogno
certo di questa introduzione alla teologia.
2.1 Gesù figura dell’archeologia teologica?
Qualche
anno fa, copiando da non ricordo chi, durante un incontro di catechismo
con ragazzini delle elementari chiesi di scrivere loro sul retro di un
francobollo in cosa credessero. Alcuni fecero gli spiritosi, altri
scrissero cose interessanti come “gli uomini”, “la pace” , la
maggioranza fu concorde: Gesù Cristo. Basterebbe questo a dire che Gesù
di Nazareth detto il Cristo non può essere considerato un reperto
storico-archeologico da studiare in relazione al contesto storico e
sociale nel quale si è consumata la sua esperienza storica. Il Gesù
Cristo scritto oggi dietro ad un francobollo è qualcosa di vivo
nell’anima di un ragazzino del III millennio che lo vive in maniera
molto diversa da quanto poteva fare un suo coetaneo mille, cento, o dieci
anni prima. L’esperienza storica di Gesù non si è conclusa con
l’ascensione perché gli uomini oggi, dichiarano ancora di avere a che
fare con lui. Gesù quindi è da comprendere anche alla luce di quanto
oggi si dice di lui e di quanto oggi Egli significhi per gli uomini.
Trincerarsi su posizioni antiche significa per la teologia non
riuscire a dialogare non solo con le teologie altre da quella cristiana,
ma anche con gli uomini di oggi non esplicitamente religiosi.
Purtroppo la teologia, salvo rare encomiabili eccezioni, sembra ignorare
questo fatto. I titoli o i
nomi attribuiti a Gesù rientrano nello sforzo compiuto dai cristiani di
ogni epoca di “confrontare, nella fede, la vita nella sua globalità
col mistero di Cristo, inserirlo dentro l’esistenza umana...”1
manca,
però, attualmente, uno sforzo originale analogo a quello compiuto nel
passato dai nostri predecessori nella fede. Questo significa che la
teologia cristiana, non solo cattolica, dialoga ancora più difficilmente
con chi non è cristiano (ma anche con gli uomini di fede che si
interrogano più a fondo) perché non si misura adeguatamente con
il tentativo di rendere comprensibile Cristo per i contemporanei.
Per molti uomini Cristo è vivo, mentre per la teologia resta quello di
duemila anni fa! Questo rende per tanti altri uomini, Gesù un reperto
archeologico con il quale è difficile confrontarsi.
2.2. L’uomo che vive la sua storia è il ponte tra noi e Cristo.
Come uscire da tanto immobilismo? La proposta avanzata da alcuni teologi
progressisti (Boff, che in questo segue la strada di Rahner) è quella di
considerare l’uomo stesso come ponte tra l’uomo della fede e Cristo
stesso. Boff segna bene la strada: l’uomo/ponte non è un uomo astratto
ma l’uomo che vive la sua storia, i suoi problemi, le sue emozioni, le
sue speranze. Nella maggior parte dei casi questo uomo non è un uomo
liberato. La fede in Cristo
non deve rimanere confinata nelle formule, sempre valide, ma frutto di una
comprensione della realtà che avevano i nostri avi.. Quello che più
conta per giungere ad una conoscenza di Gesù è saper compiere il viaggio
dentro la profonda realtà dell’essere dell’uomo che in Gesù
ricevette una pienezza divina. Ecco, quindi, che l’umanità, intesa nel
suo senso più profondo, diventa il tramite tra noi e Cristo. Egli è
mediatore tra Dio e gli uomini, non come terza realtà, ma come totalmente
Dio e pienamente uomo. Egli realizza il desiderio dell’uomo di
sperimentare il non
sperimentabile in una manifestazione storica e concreta.
Bisogna recepire e rovesciare la critica alla religione mossa da Feuerbach:
Dio è veramente la proiezione delle aspirazioni umane, ma in Cristo,
queste aspirazioni hanno raggiunto una piena realizzazione, una
realizzazione divina nella realtà umana. L’incarnazione, quindi, va
vista come la realizzazione completa e definitiva di ogni realizzazione
umana, liberata, finalmente, da ogni costrizione sociale. Cristo è
l’alfa e l’omega, la via e la meta della storia. Una moderna
cristologia deve esprimere, in ogni tempo, l’incontro delle aspirazioni
umane con la realtà di Gesù2 .
Se facciamo questo non possiamo non dialogare anche con chi non conosca e
riconosca Gesù, il Cristo.
2.3. Prima seguimi, poi capirai chi sono!
Cristo invita il suo interlocutore a seguirlo,
prima che ad una riflessione teologica. L’incontro con Cristo
deve essere un incontro che mette in crisi, che interroga, che cambia.
Domandare, oggi, a Cristo “chi sei?” significa
“confrontare la nostra esistenza con la sua e sentirsi sfidati dalla sua
persona, dal suo messaggio e dal significato che si sprigiona dal
suo comportamento”3 .
Indagare,
Cristo, quindi, significa intraprendere quel cammino che conduce ogni uomo
a perfezionarsi. Egli è il
criterio, la nostra misura, il nostro
obiettivo: fare teologia (cristologia) significa, “portare avanti la
sua rivoluzione in direzione del Regno”4 .
Nel portare avanti questa nuova teologia siamo a pieno titolo inseriti
nella tradizione cattolica, in quanto ci sforziamo di continuare l’opera
intrapresa da ciascun fedele che nel suo tempo abbia tentato di
comprendere, con i propri poveri strumenti intellettuali e spirituali, il
Mistero di Cristo.
In dialogo privilegiato da sempre con i più deboli, Cristo ci chiede di
seguirlo nella suo opera contro ogni forma di oppressione5 .
Sia chiaro non dobbiamo pensare solo alle esplicite oppressioni materiali,
politiche, militari, economiche che pure in certe zone del mondo sono
preponderanti. Spesso per l’uomo, specialmente quello occidentale, la
liberazione deve avvenire nel senso di una umanizzazione radicale della
propria vita spirituale, nella direzione di una divinizzazione. È
possibile seguire Cristo non pensando di liberarci e liberare ad esempio
dalla schiavitù delle televisione/spazzatura? No. Non solo non è
possibile questo, ma non è possibile che la teologia non analizzi queste
forme di oppressione e non indichi la strada per una emancipazione
divinizzante da tutto questo.
Note:
1 Boff, Gesù Cristo liberatore, Cittadella ed.,
Assisi 1990, pp. 220-221
2 Cfr. Idem, pag. 227.
3 Cfr. Idem, pag. 239.
4 Idem, pag. 240
5 “Credo in Gesù Cristo,...che ci
fa temere ogni giorno che la sua morte sia stata invano quando lo
seppelliamo nelle nostre chiese e tradiamo la sua rivoluzione, timorosi e
obbedienti di fronte ai potenti ;” Ibidem
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