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Sommario anno XII numero 6 - giugno 2003

 AMBIENTE
Foreste geneticamente modificate
(Silvia Cutuli) - “Per fare un albero ci vuole un seme”, recitava una filastrocca della nostra infanzia. Oggi resta il ricordo, ed il pensiero che potrebbe non essere più così. Anzi, non lo è più. Alle porte di Victoria, nella regione canadese della Columbia Britannica, i tecnici della CellFor hanno dato vita alla biosilvicoltura, ossia bioingegneria applicata alla silvicoltura.
“Piantare questi alberi è molto diverso da piantare degli alberi qualunque”, afferma Christopher Worthy, presidente della CellFor. Nei suoi laboratori vengono prodotti embrioni clonati di alberi, nello specifico di abeti Douglas. Questa specie, che raggiunge i settanta metri di altezza e si estende lungo la costa nordoccidentale del Pacifico, è apprezzata dall’industria del legname da costruzione, per il fusto dritto, forte e senza nodi.
Il lavoro nei laboratori della CellFor, si svolge come in una sorta di catena di montaggio biotecnologica: gli embrioni di alberi sono pressati in barrette o sparsi sulle piastre di Petri come piccoli puntini. Il procedimento usa bagni chimici che costringono un solo seme, embrione di albero, a produrre milioni di copie di sé stesso. La società immagazzina le copie, utilizzando un metodo di ibernazione, e le mette nel terreno, quando ha bisogno di produrre piantine da vendere ai commercianti di legname. “Possiamo fare milioni di copie di tutto quello che si può produrre in laboratorio”, dice El-Kassaby, direttore del reparto genetica forestale della CellFor.
Secondo i ricercatori i nuovi organismi clonati, porterebbero grandi vantaggi all’industria e all’ambiente. Sono convinti che entro pochi anni verranno modificati i genomi degli alberi, creandone di nuovi tipi, caratterizzati da tronchi bassi e larghi per ricavare più legno, quasi senza rami, per avere meno nodi e piantarne il maggior numero possibile per ettaro.
“Potremmo avere macchie incredibilmente fitte di alberi alti cinque metri e larghi due con un paio di grossi rami in cima”, è convinto Toby Bradshaw, genetista delle piante dell’università di Washington a Seattle. “Usando la biotecnologia, che permette di ristrutturare completamente l’albero, i risultati possibili per la produttività delle piantagioni, sono inimmaginabili”, sostiene David G. Victor, direttore del programma per l’energia e lo sviluppo sostenibile dell’università di Stanford.
Certo, ci vorranno anni prima che gli scienziati riescano ad ottenere informazioni sui geni, che controllano cose come la formazione dei rami o la crescita del legno. Il primo genoma di un albero decifrato, dovrebbe essere quello del pioppo nero americano, si attende per la fine del 2003. Nel frattempo anche la silvicoltura fa progressi: i ricercatori dell’università statale della Carolina del Nord e dell’università tecnologica del Michigan, hanno individuato alcune mutazioni naturali di geni che controllano la produzione di lignina in alcune specie.
Altri ambiziosi progetti, coinvolgono gli alberi “in provetta”: “Gli alberi geneticamente modificati potrebbero produrre benzina, alcol e in teoria qualunque altro prodotto chimico grazie alla luce del sole”, sostiene Freeman Dyson, professore di fisica all’Università di Princeton, nel New Yersey. Ancora, si pensa di migliorare la qualità del legno: “Gli alberi sono laboratori chimici. Riescono a tenere lontani gli insetti nocivi per anni”, suggerisce Steven Strauss, professore di scienza delle foreste dell’università dell’Oregon.
Le motivazioni dei fautori della biosilvicoltura, vanno oltre il puro vantaggio economico: a lungo andare sostengono, sarà l’ambiente ad avvantaggiarsi del lavoro della CellFor.  Alcuni ricercatori pensano infatti, di poter attenuare il riscaldamento globale, sia rallentando il ritmo con cui si attinge alle foreste naturali, sia immagazzinando grandi quantità di carbonio, negli alberi a crescita rapida.
L’ingegneria genetica aprirebbe dunque enormi possibilità, alcune delle quali sembrerebbero a primo impatto, solo ipotesi inverosimili. Nella realtà invece, la società produttrice di legname Potlatch, ha piantato ottomila ettari di pioppi ibridi clonati, in appezzamenti dell’arido deserto intorno alla città di Boardman, dove cadono non più di 203 millimetri di pioggia all’anno. “In piena estate crescono più di tre centimetri al giorno”, dice il responsabile del progetto Greg Uhlorn, ammirando gli  alberi di sei anni che sono alti anche venticinque metri. La Potlatch ha ottenuto questi risultati con un impianto di irrigazione a base di acqua e fertilizzante, che corre per più di ventimila chilometri.
Gli ingenti costi dell’irrigazione, aprono il campo alle critiche: anche se i responsabili della Potlatch sono convinti che gli alberi modificati trasformeranno la silvicoltura, ammettono “che per molte società sarà duro assorbire gli inevitabili costi iniziali”.
A ciò si aggiungano gli ostacoli politici e degli ambientalisti, che mettono a dura prova le “foreste geneticamente modificate”. Sotto accusa innanzitutto l’”inquinamento genetico”, come è stato definito il rischio che le piante modificate si diffondano dalle piantagioni alle foreste naturali: “L’uso della biotecnologia nell’ambiente naturale -afferma la biologa Mae-Wan Ho della Open University in Gran Bretagna- è per sua natura insostenibile e estremamente pericoloso per la biodiversità”.
I ricercatori stanno tentando di ridurre al minimo, la possibilità che un gene sfugga al controllo, ma le misure adottate non garantiscono che la biosilvicoltura non produca alcun danno all’ambiente. La tecnologia sembra però inarrestabile: “seme senza riproduzione sessuale”, è la nuova scoperta di Nam Ha Chua, consulente della CellFor. La filastrocca è davvero tutta da riscrivere.
In rete: www.biodiv.org Sito della Convenzione sulla biodiversità
 AMBIENTE

Sommario anno XII numero 6 - giugno 2003