Foreste
geneticamente modificate
(Silvia Cutuli) - “Per fare un albero ci vuole un seme”,
recitava una filastrocca della nostra infanzia. Oggi resta il ricordo, ed
il pensiero
che
potrebbe non essere più così. Anzi, non lo è più. Alle porte di
Victoria, nella regione canadese della Columbia Britannica, i tecnici
della CellFor hanno dato vita alla biosilvicoltura, ossia bioingegneria
applicata alla silvicoltura.
“Piantare questi alberi è molto diverso da piantare degli alberi
qualunque”, afferma Christopher Worthy, presidente della CellFor. Nei
suoi laboratori vengono prodotti embrioni clonati di alberi, nello
specifico di abeti Douglas. Questa specie, che raggiunge i settanta metri
di altezza e si estende lungo la costa nordoccidentale del Pacifico, è
apprezzata dall’industria del legname da costruzione, per il fusto
dritto, forte e senza nodi.
Il lavoro nei laboratori della CellFor, si svolge come in una sorta di
catena di montaggio biotecnologica: gli embrioni di alberi sono pressati
in barrette o sparsi sulle piastre di Petri come piccoli puntini. Il
procedimento usa bagni chimici che costringono un solo seme, embrione di
albero, a produrre milioni di copie di sé stesso. La società immagazzina
le copie, utilizzando un metodo di ibernazione, e le mette nel terreno,
quando ha bisogno di produrre piantine da vendere ai commercianti di
legname. “Possiamo fare milioni di copie di tutto quello che si può
produrre in laboratorio”, dice El-Kassaby, direttore del reparto
genetica forestale della CellFor.
Secondo i ricercatori i nuovi organismi clonati, porterebbero grandi
vantaggi all’industria e all’ambiente. Sono convinti che entro pochi
anni verranno modificati i genomi degli alberi, creandone di nuovi tipi,
caratterizzati da tronchi bassi e larghi per ricavare più legno, quasi
senza rami, per avere meno nodi e piantarne il maggior numero possibile
per ettaro.
“Potremmo avere macchie incredibilmente fitte di alberi alti cinque
metri e larghi due con un paio di grossi rami in cima”, è convinto Toby
Bradshaw, genetista delle piante dell’università di Washington a
Seattle. “Usando la biotecnologia, che permette di ristrutturare
completamente l’albero, i risultati possibili per la produttività delle
piantagioni, sono inimmaginabili”, sostiene David G. Victor, direttore
del programma per l’energia e lo sviluppo sostenibile dell’università
di Stanford.
Certo, ci vorranno anni prima che gli scienziati riescano ad ottenere
informazioni sui geni, che controllano cose come la formazione dei rami o
la crescita del legno. Il primo genoma di un albero decifrato, dovrebbe
essere quello del pioppo nero americano, si attende per la fine del 2003.
Nel frattempo anche la silvicoltura fa progressi: i ricercatori
dell’università statale della Carolina del Nord e dell’università
tecnologica del Michigan, hanno individuato alcune mutazioni naturali di
geni che controllano la produzione di lignina in alcune specie.
Altri ambiziosi progetti, coinvolgono gli alberi “in provetta”: “Gli
alberi geneticamente modificati potrebbero produrre benzina, alcol e in
teoria qualunque altro prodotto chimico grazie alla luce del sole”,
sostiene Freeman Dyson, professore di fisica all’Università di
Princeton, nel New Yersey. Ancora, si pensa di migliorare la qualità del
legno: “Gli alberi sono laboratori chimici. Riescono a tenere lontani
gli insetti nocivi per anni”, suggerisce Steven Strauss, professore di
scienza delle foreste dell’università dell’Oregon.
Le motivazioni dei fautori della biosilvicoltura, vanno oltre il puro
vantaggio economico: a lungo andare sostengono, sarà l’ambiente ad
avvantaggiarsi del lavoro della CellFor.
Alcuni ricercatori pensano infatti, di poter attenuare il
riscaldamento globale, sia rallentando il ritmo con cui si attinge alle
foreste naturali, sia immagazzinando grandi quantità di carbonio, negli
alberi a crescita rapida.
L’ingegneria genetica aprirebbe dunque enormi possibilità, alcune delle
quali sembrerebbero a primo impatto, solo ipotesi inverosimili. Nella
realtà invece, la società produttrice di legname Potlatch, ha piantato
ottomila ettari di pioppi ibridi clonati, in appezzamenti dell’arido
deserto intorno alla città di Boardman, dove cadono non più di 203
millimetri di pioggia all’anno. “In piena estate crescono più di tre
centimetri al giorno”, dice il responsabile del progetto Greg Uhlorn,
ammirando gli alberi di sei
anni che sono alti anche venticinque metri. La Potlatch ha ottenuto questi
risultati con un impianto di irrigazione a base di acqua e fertilizzante,
che corre per più di ventimila chilometri.
Gli ingenti costi dell’irrigazione, aprono il campo alle critiche: anche
se i responsabili della Potlatch sono convinti che gli alberi modificati
trasformeranno la silvicoltura, ammettono “che per molte società sarà
duro assorbire gli inevitabili costi iniziali”.
A ciò si aggiungano gli ostacoli politici e degli ambientalisti, che
mettono a dura prova le “foreste geneticamente modificate”. Sotto
accusa innanzitutto l’”inquinamento genetico”, come è stato
definito il rischio che le piante modificate si diffondano dalle
piantagioni alle foreste naturali: “L’uso della biotecnologia
nell’ambiente naturale -afferma la biologa Mae-Wan Ho della Open
University in Gran Bretagna- è per sua natura insostenibile e
estremamente pericoloso per la biodiversità”.
I ricercatori stanno tentando di ridurre al minimo, la possibilità che un
gene sfugga al controllo, ma le misure adottate non garantiscono che la
biosilvicoltura non produca alcun danno all’ambiente. La tecnologia
sembra però inarrestabile: “seme senza riproduzione sessuale”, è la
nuova scoperta di Nam Ha Chua, consulente della CellFor. La filastrocca è
davvero tutta da riscrivere.
In rete: www.biodiv.org Sito della Convenzione sulla biodiversità
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