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Sommario anno XII numero 7 - luglio 2003

 LE GRANDI IDEE DELLA SCIENZA

Le ipotesi non euclidee     (1a puntata)
(Luca Nicotra) - Fino all’inizio del secolo XIX, tutta la matematica appariva una solida costruzione “ad una via”, vale a dire si riteneva che Figura 1 – Euclide in un quadro di Giovanni Santitutte le sue branche, geometria, aritmetica, algebra, analisi, eccetera, esprimessero un unico e necessario modo di conoscenza. Da qui il famoso aforisma “La matematica non è un’opinione: quattro più quattro fa otto!” Insomma, la geometria non poteva essere che una sola, quella di Euclide; lo stesso valeva per l’aritmetica, per l’algebra, per l’analisi e per tutte le altre branche della matematica. Ma nella prima metà del secolo XIX, secolo d’oro della matematica, quest’incrollabile opinione, universalmente diffusa, subì un improvviso e inaspettato attacco su più fronti: Nicolaj Ivanovic Lobacevskij, Janos Bolyai, Karl Friedrich Gauss, Bernhard Riemann ed Eugenio Beltrami dimostrarono l’esistenza, altrettanto valida, di altre geometrie diverse da quella euclidea, mentre Benjamin Peirce gettò le basi per la costruzione di ben 162 algebre! Altre geometrie si accesero nel firmamento matematico, le geometrie non archimedee, nelle quali non è accettato il postulato di Archimede-Eudosso. Il postulato del continuo, inoltre, divise la matematica in due: la matematica cantoriana (in onore del grande matematico tedesco Georg Cantor) in cui il postulato è accettato e quella non cantoriana in cui non è accettato.
Dal secolo scorso, i matematici sanno che, almeno teoricamente, è possibile costruire infinite matematiche, ciascuna delle quali si configura come un sistema ipotetico-deduttivo, vale a dire come un insieme di proposizioni primitive, dette assiomi, aventi il ruolo di semplici ipotesi, da cui sono dedotte, per via logica, altre proposizioni. Ma un nuovo tarlo sembra minare, questa volta, l’aspetto più granitico della matematica, il suo rigore logico. Nel 1937 il matematico e logico austriaco Kurt Godel dimostra che in ogni sistema ipotetico-deduttivo o assiomatico esiste almeno un teorema che non può essere dimostrato né vero né falso: è il principio dell’indecidibilità.
Oggi, dunque, non è più possibile ripetere, con la sicurezza di una volta e senza alcune doverose precisazioni, che la matematica non è un’opinione …..

Prima parte                  Struttura logica della geometria
1.Introduzione
Per circa due millenni, l’unica e indiscussa forma di conoscenza geometrica concepita dall’uomo è stata quella codificata dal grande matematico greco Euclide nei suoi Figura 2 – Karl Friedrich GaussElementi. L’opera euclidea, erroneamente, è stata ritenuta per millenni un esempio insuperabile di rigore logico. Tuttavia, l’ultimo dei postulati euclidei, il quinto, non avendo lo stesso carattere di evidenza fisica degli altri, ha sempre lasciato il dubbio che in realtà fosse dimostrabile e quindi non fosse un vero postulato. Questo era l’unico “neo”, cioè difetto, che la posterità, fino agli inizi del secolo XX, aveva riscontrato nell’opera di Euclide. Così, nel tentativo di dimostrare il quinto postulato, e quindi emendare definitivamente l’opera del maestro, nel 1733 il padre gesuita italiano Giovanni Gerolamo Saccheri scrisse un’opera dal titolo “Euclides ab omni naevo vindicatus” (“Euclide liberato da ogni difetto”). Con suo grande disappunto, invece, il gesuita, seguendo con rigore il ragionamento logico, arrivò alla conclusione che anche negazioni del quinto postulato erano accettabili, il che significava che erano logicamente valide anche geometrie fondate su di esse e quindi diverse da quella degli Elementi di Euclide. Per tale motivo, l’opera del Saccheri, oggi, è considerata l’atto di nascita delle cosiddette geometrie non euclidee.
Nelle successive puntate, ripercorreremo insieme l’affascinante itinerario storico e logico che ha condotto l’uomo non soltanto a varcare le colonne d’Ercole dell’antica geometria euclidea, concependo nuove forme di conoscenza geometrica, ma anche, e soprattutto, a mutare il suo concetto di verità matematica, con conseguenze filosofiche di grandissima portata nel pensiero scientifico contemporaneo. In tale viaggio immaginario, che ci condurrà dagli albori del pensiero geometrico fino ad oggi, emerge anche come il caso abbia spesso giocato un ruolo primario in scoperte fondamentali, che hanno costituito vere e proprie pietre miliari nella storia della scienza.

2.Gli Elementi di Euclide
Euclide (330?-275? A. C.),
di cui non si conosce il luogo di nascita, ma che insegnò sicuramente nel famoso Museo di Alessandria Figura 3 - Nicolaj Ivanovic Lobacevskijd’Egitto, nei suoi Elementi intese raccogliere tutte le nozioni di geometria e aritmetica fino ad allora note, realizzandone una sistemazione razionale, cioè regolata dalle operazioni logiche del ragionamento deduttivo, fornendo in pari tempo quello che sarà considerato, a lungo, il primo vero trattato razionale di matematica elementare. In realtà, prima di Euclide, operarono altri trattatisti fra i matematici greci: Ippocrate di Chio, contemporaneo di Socrate, Democrito, Leone, contemporaneo di Platone, Tedio, contemporaneo di Aristotile. Ma l’opera di Euclide oscurò a tal punto quella dei suoi predecessori, da farne perdere successivamente ogni traccia, sicché i suoi Elementi rimasero il primo trattato a noi giunto e l’unico fino al secolo XVIII, allorquando innovazioni profonde nella trattatistica matematica furono apportate da Alexis Claude Clairaut, Adrien Marie Legendre e dai successivi trattatisti, fino a quelli dei nostri tempi. Malgrado ciò, gli Elementi di Euclide sono rimasti il testo di geometria elementare adottato nelle scuole di tutto il mondo, fino agli inizi del secolo XX, quando l’opera critica delle scuole formalista e logicista dei matematici inglesi, tedeschi, francesi e italiani portò alla definitiva confutazione del valore logico dell’opera euclidea, con la sua conseguente messa al bando. Fra le tante critiche alla struttura logica degli Elementi, basti ricordare il severo giudizio di Eric Temple Bell: “Se ne valesse la pena, si potrebbe sottoporre l’intera struttura logica della geometria degli Elementi a un’analisi, che si concluderebbe con un elenco di dimostrazioni difettose e di premesse occulte, cioè con una condanna senza appello.” Le premesse occulte cui allude E.T. Bell sono alcuni postulati di cui Euclide si servì nelle sue dimostrazioni, senza peraltro averli prima esplicitamente menzionati. Il logico e matematico Bertrand Russell, invece, ritenne che valesse la pena analizzare, dal punto di vista logico, le prime ventisei proposizioni del 1° libro degli Elementi di Euclide, con il risultato, sospettato, di porre in luce “i non pochi errori presenti” in esse (B. Russell “I principi della matematica”, cap. 47°)
Tutto ciò, tuttavia, non oscura l’importanza dell’opera del grande alessandrino, bensì ne ridimensiona, storicamente, il valore scientifico. Ancor oggi, destano particolare ammirazione, nei matematici, i libri quinto e decimo degli Elementi euclidei, dedicati rispettivamente alla teoria dei rapporti e agli incommensurabili. Inoltre, come vedremo più avanti, la critica moderna riconosce ad Euclide la geniale capacità di aver intuito, malgrado la mancanza di evidenza fisica, l’indimostrabilità del famoso quinto postulato e quindi il suo carattere di postulato. Infine, agli Elementi rimane il sommo merito di aver costituito il primo grande sforzo di organizzare in Figura 4 – Eugenio Feltramimaniera razionale in un unico corpo, sia pure con tutte le sue imperfezioni logiche, tutte quelle nozioni geometriche e aritmetiche che, in tempi ancor più antichi, erano nate da esigenze pratiche di “agrimensura” o del “far di conto”, innalzandole, in tal modo, al rango di scienza e quindi di puro pensiero. A tal riguardo, è significativo ricordare l’atteggiamento di Euclide del tutto ostile verso gli aspetti utilitaristici della matematica. Si narra che, allorquando un suo allievo gli chiese quale utilità avesse la geometria, Euclide, sdegnato, ordinò al suo servo di dare a quel giovane una moneta, “perché ha bisogno di trarre guadagno da ciò che impara”. Un atteggiamento, questo, tipico della cultura greca, ben in contrasto con la mentalità contemporanea! Gli Elementi di Euclide sono stati il libro più diffuso al mondo, dopo la Bibbia e le opere di Lenin. Le sue edizioni ammontano a migliaia. Fu copiato e ricopiato manualmente fin dai tempi dell’antichità, tradotto dagli arabi, e poi diffuso in tutta Europa nelle varie lingue nazionali nel secolo XVI. La prima edizione stampata uscì a Venezia nel 1482 per opera del Campano. In tutti questi “passaggi”, naturalmente, sono stati introdotti errori
, aggiunte e tagli, per cui si è resa necessaria un’analisi filologica del testo che ha portato alle cosiddette edizioni critiche dell’opera euclidea. In Italia, un’autorevolissima edizione critica degli Elementi di Euclide è uscita nel 1974 nelle edizioni UTET per opera di Attilio Frajese e Lamberto Maccioni, il primo storico della matematica e allievo del grande matematico Federigo Enriques, il secondo valente grecista, per l’occasione diventato anche matematico. Una precedente monumentale edizione degli Elementi, in quattro volumi, si deve proprio all’Enriques, e ai suoi collaboratori, negli ani 1924-1935. In quella edizione furono prese in considerazione particolarmente le “varianti” all’opera di Euclide.
Orbene, vediamo più in dettaglio in cosa consiste la sistemazione razionale degli Elementi e quindi della geometria greca, che, come precedentemente accennato, si basa sul ragionamento deduttivo.
Com’è noto, questo consiste nel ricavare o far seguire o dedurre alcunché da qualcos’altro, per mezzo dei principi della logica classica, codificati da Aristotile. Nel nostro caso le “cose” da dedurre da altre sono di due tipi: le definizioni e le proprietà degli enti geometrici.

3.Del “definire”
Se riflettiamo sul significato della parola “definire”, concorderemo tutti che definire una cosa significa, in parole povere, descrivere quella cosa per mezzo di altre più semplici
di cui essa può pensarsi costituita. Per il momento accontentiamoci di usare la parola “cosa”, che nella lingua italiana ha un significato molto vago e generico. In altre parole, definire una cosa è un po’ come scomporla in altre, con lo scopo di ricondurne la conoscenza a queste, a noi già note. Ma le cose, in cui abbiamo scomposta la cosa da definire, sono a noi note perché ciascuna di esse, a sua volta, è stata già scomposta in altre cose, dovremmo dire, ancora una volta, già note. Definire una cosa è, dunque, un procedimento iterativo che assomiglia ad una reazione a catena. E’ chiaro, a questo punto, che questo mettere in relazione una cosa con l’altra, in cui consiste il definire, o se volete, in termini più espressivi, questo giocare a “scarica barile”, non può prolungarsi indefinitamente, bensì deve esaurirsi e terminare con una cosa che sta all’inizio e che sia “considerata nota” senza doverla mettere in relazione con altre: essa è, dunque, per sua stessa natura “indefinibile”.
4.La geometria approssimata degli enti sensibili
Nei tempi più antichi, vale a dire nelle civiltà preelleniche e in quella greca, all’epoca della Scuola Figura 5 - La prima pagina della prima edizione stampata degli Elementi di Euclide, uscita nel 1482 a VeneziaPitagorica fino alla scoperta delle grandezze incommensurabili, che secondo le stime oggi più accreditate sarebbe avvenuta intorno al 410 a.C., le cose da definire, in geometria, erano oggetti materiali. Infatti, la geometria, allora, concepiva il punto come corpuscolo materiale di ridottissime dimensioni, ma pur sempre finite: la “monade pitagorica”. Le rette, i piani e tutte le altre figure erano pensate formate da punti e quindi anch’esse erano materializzate. Il punto era, in tale geometria, ciò che l’atomo era nella concezione della materia: il costituente più piccolo e indivisibile.  La concezione degli enti geometrici era, dunque, atomistica o granulare o, in linguaggio più moderno, “quantistica”, essendo il “quanto” costituito dal punto.
In tal caso, è facile far conoscere a tutti il principio della catena di collegamenti in cui consiste il definire: basta prendere in mano l’oggetto da noi individuato come “principio”, mostrarlo a tutti e pronunciarne il nome; in tal modo, d’ora in avanti, sarebbe sufficiente citare questo nome per evocarne l’immagine. In altre parole, la conoscenza dell’oggetto-principio è fissata direttamente tramite i sensi.
In generale sarà necessario scegliere più oggetti che assumono le stesse funzioni di principio della catena di definizioni, per potere descrivere, e quindi definire, tutti gli oggetti di un certo insieme. Gli oggetti all’inizio della catena di definizioni, per l’ufficio da loro svolto, sono detti “indefinibili”o “primitivi”.              (Fine prima puntata)

 1 Secondo alcuni storici della matematica, Euclide non fu l’unico autore degli Elementi, bensì, ad Alessandria d’Egitto, sarebbe stato a capo di una scuola di matematici che contribuirono tutti alla stesura degli Elementi e scrissero, anche dopo la sua morte, altre opere utilizzando il nome del Maestro. Secondo altri, invece, ispirandosi all’esempio contemporaneo di Bourbakj, ritengono che Euclide non sia mai esistito, e che tutte le opere a lui attribuite furono scritte da un gruppo di matematici che le pubblicarono sotto il nome simbolico di Euclide, peraltro molto comune nell’antichità, in onore del filosofo Euclide di Megara, vissuto circa un secolo prima. Un’approfondita analisi delle ipotesi sull’esistenza di Euclide è riportata da J. Itard in  Les livres arithmétique d’Euclide, Paris, 1962.
 2 Gli Elementi erano composti da tredici libri o capitoli: i primi sei dedicati alla geometria piana, il 7°, 8° e 9° all’aritmetica, il 10° agli incommensurabili, e infine gli ultimi tre alla geometria solida. I libri tuttora più apprezzati sono il quinto, dedicato alla teoria dei rapporti, e il decimo, che tratta delle grandezze incommensurabili.
 3 Formalisti, logicisti e intuizionisti costituiscono le tre “scuole” in cui si possono attualmente identificare gli indirizzi di pensiero in matematica.  Tutte e tre le scuole concepiscono le varie branche della matematica come sistemi ipotetico-deduttivi, vale a dire come sistemi di proposizioni deducibili da un insieme di proposizioni primitive dette assiomi. La differenza fra i tre indirizzi sta nel diverso valore dato agli assiomi, vale a dire ai fondamenti delle matematiche. Gli intuizionisti ritengono che gli assiomi trovino la loro giustificazione necessaria nella realtà fisica; i logicisti, invece, sostengono che la validità dei fondamenti delle matematiche vada ricercata nella logica, alla quale, quindi, riducono le matematiche stesse; i formalisti, infine, risolvono ogni diatriba sulla validità dei fondamenti, sostenendo che è inutile ricercare all’esterno della matematica la validità degli assiomi: questi non sono né veri né falsi, ma sono semplici ipotesi che, per essere accettate, devono soddisfare soltanto il vincolo della non-contradditorietà reciproca e hanno unicamente la funzione di produrre, per deduzione logica, un certo insieme di proposizioni. In altri termini, per gli intuizionisti  gli assiomi sono veri se conformi alla realtà fisica che può essere elaborata dalla mente umana attraverso stimoli sensoriali, e quindi intuita; per i logicisti, invece, gli assiomi sono veri se riconducibili alle idee della logica; per i formalisti, infine, gli assiomi non sono né veri né falsi, ma soltanto necessari per costruire su di essi il sistema ipotetico-deduttivo, e di conseguenza sono concepibili infinite matematiche.
 4 Per esempio, si è confuso l’Euclide di Alessandria d’Egitto, autore degli Elementi, e molto probabilmente allievo dell’Accademia di Platone, con l’Euclide di Megara, filosofo e logico, seguace di Socrate; per cui, spesso, le raffigurazioni di Euclide alessandrino sono in realtà quelle di Euclide megarense. Per esempio, nel frontespizio dell’edizione degli Elementi tradotta da Nicolò Tartaglia nel 1585, erroneamente, è indicato l’autore come Euclide megarense, anziché come Euclide alessandrino.
 5 Una volta per tutte, sarà opportuno chiarire il significato dei termini semplice e complesso che, del tutto erroneamente, spesso, nel linguaggio comune, sono utilizzati come sinonimi di facile e difficile. Semplice deriva dal latino “simplex” che etimologicamente significa “piegato una volta”, mentre complesso deriva dal latino “complexus” che significa “abbracciato”. L’origine etimologica indica chiaramente il significato intrinseco dei due termini: semplice significa costituito da un solo elemento, mentre complesso significa costituito da più elementi. A tale accezione faremo riferimento nel seguito. Quanto ai termini facile e difficile, essi non hanno alcun riferimento oggettivo alla composizione quantitativa di una cosa, bensì hanno una connotazione puramente soggettiva e psicologica e riguardano la capacità di comprensione, cioè la “resistenza” mentale che ciascuno di noi incontra nella conoscenza e che è diversa da individuo a individuo. In un certo contesto, ovvero accettate determinate regole, una cosa è oggettivamente “semplice”, cioè non scomponibile in altre, per tutti, ma sarà di facile comprensione  per alcuni  e di difficile comprensione per altri. E mentre è oggettivamente classificabile il grado di complessità di una cosa, perché dato dal numero di elementi di cui è costituita, non è affatto altrettanto determinabile il corrispondente grado di apprendimento, perché legato alle doti naturali e alla “storia” culturale ed emotiva dei singoli individui. Inoltre, non è vero che si può stabilire una correlazione fra grado di complessità e difficoltà di comprensione. In altre parole non è vero che ciò che è semplice risulta facile da apprendere e ciò che è complesso è tanto più difficile quanto più è complesso. Spesso, è vero il contrario. Bertrand Russell, a tal proposito, usa un’analogia molto efficace: le cose più difficili da capire, in matematica, sono quelle che stanno all’inizio (cioè i fondamenti) e alla fine (quella naturalmente attuale) dell’intero edificio matematico, così come le cose più difficili da vedere per l’uomo sono quelle molto piccole, per le quali si avvale, infatti, del microscopio, e quelle molto lontane, per le quali è costretto a ricorrere al telescopio. Dunque, una cosa semplice può essere sia facile sia difficile da comprendere, e altrettanto una cosa complessa.

LE GRANDI IDEE DELLA SCIENZA

Sommario anno XII numero 7 - luglio 2003