Le
ipotesi non euclidee (1a
puntata)
(Luca Nicotra) - Fino all’inizio del secolo XIX,
tutta la matematica appariva una solida costruzione “ad una via”, vale
a dire si riteneva che tutte
le sue branche, geometria, aritmetica, algebra, analisi, eccetera,
esprimessero un unico e necessario modo di conoscenza. Da qui il famoso
aforisma “La matematica non è un’opinione: quattro più quattro fa
otto!” Insomma, la geometria non poteva essere che una sola, quella di
Euclide; lo stesso valeva per l’aritmetica, per l’algebra, per
l’analisi e per tutte le altre branche della matematica. Ma nella prima
metà del secolo XIX, secolo d’oro della matematica,
quest’incrollabile opinione, universalmente diffusa, subì un improvviso
e inaspettato attacco su più fronti: Nicolaj Ivanovic Lobacevskij, Janos
Bolyai, Karl Friedrich Gauss, Bernhard Riemann ed Eugenio Beltrami
dimostrarono l’esistenza, altrettanto valida, di altre geometrie diverse
da quella euclidea, mentre Benjamin Peirce gettò le basi per la
costruzione di ben 162 algebre! Altre geometrie si accesero nel firmamento
matematico, le geometrie non archimedee, nelle quali non è accettato il
postulato di Archimede-Eudosso. Il postulato del continuo, inoltre, divise
la matematica in due: la matematica cantoriana (in onore del grande
matematico tedesco Georg Cantor) in cui il postulato è accettato e quella
non cantoriana in cui non è accettato.
Dal secolo scorso, i matematici sanno che, almeno teoricamente, è
possibile costruire infinite matematiche, ciascuna delle quali si
configura come un sistema ipotetico-deduttivo, vale a dire come un insieme
di proposizioni primitive, dette assiomi, aventi il ruolo di semplici
ipotesi, da cui sono dedotte, per via logica, altre proposizioni. Ma un
nuovo tarlo sembra minare, questa volta, l’aspetto più granitico della
matematica, il suo rigore logico. Nel 1937 il matematico e logico
austriaco Kurt Godel dimostra che in ogni sistema ipotetico-deduttivo o
assiomatico esiste almeno un teorema che non può essere dimostrato né
vero né falso: è il principio dell’indecidibilità.
Oggi, dunque, non è più possibile ripetere, con la sicurezza di una
volta e senza alcune doverose precisazioni, che la matematica non è
un’opinione …..
Prima parte
Struttura logica della geometria
1.Introduzione
Per circa due millenni, l’unica e indiscussa forma di conoscenza
geometrica concepita dall’uomo è stata quella codificata dal grande
matematico greco Euclide nei suoi Elementi.
L’opera euclidea, erroneamente, è stata ritenuta per millenni un
esempio insuperabile di rigore logico. Tuttavia, l’ultimo dei postulati
euclidei, il quinto, non avendo lo stesso carattere di evidenza fisica
degli altri, ha sempre lasciato il dubbio che in realtà fosse
dimostrabile e quindi non fosse un vero postulato. Questo era l’unico
“neo”, cioè difetto, che la posterità, fino agli inizi del secolo XX,
aveva riscontrato nell’opera di Euclide. Così, nel tentativo di
dimostrare il quinto postulato, e quindi emendare definitivamente
l’opera del maestro, nel 1733 il padre gesuita italiano Giovanni
Gerolamo Saccheri scrisse un’opera dal titolo “Euclides ab omni
naevo vindicatus” (“Euclide liberato da ogni difetto”). Con suo
grande disappunto, invece, il gesuita, seguendo con rigore il ragionamento
logico, arrivò alla conclusione che anche negazioni del quinto postulato
erano accettabili, il che significava che erano logicamente valide anche
geometrie fondate su di esse e quindi diverse da quella degli Elementi
di Euclide. Per tale motivo, l’opera del Saccheri, oggi, è considerata
l’atto di nascita delle cosiddette geometrie non euclidee.
Nelle successive puntate, ripercorreremo insieme l’affascinante
itinerario storico e logico che ha condotto l’uomo non soltanto a
varcare le colonne d’Ercole dell’antica geometria euclidea, concependo
nuove forme di conoscenza geometrica, ma anche, e soprattutto, a mutare il
suo concetto di verità matematica, con conseguenze filosofiche di
grandissima portata nel pensiero scientifico contemporaneo. In tale
viaggio immaginario, che ci condurrà dagli albori del pensiero geometrico
fino ad oggi, emerge anche come il caso abbia spesso giocato un ruolo
primario in scoperte fondamentali, che hanno costituito vere e proprie
pietre miliari nella storia della scienza.
2.Gli Elementi di Euclide
Euclide (330?-275? A. C.),1 di
cui non si conosce il luogo di nascita, ma che insegnò sicuramente nel
famoso Museo di Alessandria d’Egitto,
nei suoi Elementi intese raccogliere tutte le nozioni di geometria
e aritmetica fino ad allora note, realizzandone una sistemazione
razionale, cioè regolata dalle operazioni logiche del ragionamento
deduttivo, fornendo in pari tempo quello che sarà considerato, a lungo,
il primo vero trattato razionale di matematica elementare2 . In realtà, prima di Euclide, operarono altri trattatisti
fra i matematici greci: Ippocrate di Chio, contemporaneo di Socrate,
Democrito, Leone, contemporaneo di Platone, Tedio, contemporaneo di
Aristotile. Ma l’opera di Euclide oscurò a tal punto quella dei suoi
predecessori, da farne perdere successivamente ogni traccia, sicché i
suoi Elementi rimasero il primo trattato a noi giunto e l’unico
fino al secolo XVIII, allorquando innovazioni profonde nella trattatistica
matematica furono apportate da Alexis Claude Clairaut, Adrien Marie
Legendre e dai successivi trattatisti, fino a quelli dei nostri tempi.
Malgrado ciò, gli Elementi di Euclide sono rimasti il testo di
geometria elementare adottato nelle scuole di tutto il mondo, fino agli
inizi del secolo XX, quando l’opera critica delle scuole formalista e
logicista3 dei matematici inglesi,
tedeschi, francesi e italiani portò alla definitiva confutazione del
valore logico dell’opera euclidea, con la sua conseguente messa al
bando. Fra le tante critiche alla struttura logica degli Elementi,
basti ricordare il severo giudizio di Eric Temple Bell: “Se ne
valesse la pena, si potrebbe sottoporre l’intera struttura logica della
geometria degli Elementi a un’analisi, che si concluderebbe con
un elenco di dimostrazioni difettose e di premesse occulte, cioè con una
condanna senza appello.” Le premesse occulte cui allude E.T. Bell
sono alcuni postulati di cui Euclide si servì nelle sue dimostrazioni,
senza peraltro averli prima esplicitamente menzionati. Il logico e
matematico Bertrand Russell, invece, ritenne che valesse la pena
analizzare, dal punto di vista logico, le prime ventisei proposizioni del
1° libro degli Elementi di Euclide, con il risultato, sospettato,
di porre in luce “i non pochi errori presenti” in esse (B.
Russell “I principi della matematica”, cap. 47°)
Tutto ciò, tuttavia, non oscura l’importanza dell’opera del grande
alessandrino, bensì ne ridimensiona, storicamente, il valore scientifico.
Ancor oggi, destano particolare ammirazione, nei matematici, i libri
quinto e decimo degli Elementi euclidei, dedicati rispettivamente
alla teoria dei rapporti e agli incommensurabili. Inoltre, come vedremo più
avanti, la critica moderna riconosce ad Euclide la geniale capacità di
aver intuito, malgrado la mancanza di evidenza fisica, l’indimostrabilità
del famoso quinto postulato e quindi il suo carattere di postulato.
Infine, agli Elementi rimane il sommo merito di aver costituito il
primo grande sforzo di organizzare in maniera
razionale in un unico corpo, sia pure con tutte le sue imperfezioni
logiche, tutte quelle nozioni geometriche e aritmetiche che, in tempi
ancor più antichi, erano nate da esigenze pratiche di “agrimensura” o
del “far di conto”, innalzandole, in tal modo, al rango di scienza e
quindi di puro pensiero. A tal riguardo, è significativo ricordare
l’atteggiamento di Euclide del tutto ostile verso gli aspetti
utilitaristici della matematica. Si narra che, allorquando un suo allievo
gli chiese quale utilità avesse la geometria, Euclide, sdegnato, ordinò
al suo servo di dare a quel giovane una moneta, “perché ha bisogno
di trarre guadagno da ciò che impara”. Un atteggiamento, questo,
tipico della cultura greca, ben in contrasto con la mentalità
contemporanea! Gli Elementi di Euclide sono stati il libro più
diffuso al mondo, dopo la Bibbia e le opere di Lenin. Le sue edizioni
ammontano a migliaia. Fu copiato e ricopiato manualmente fin dai tempi
dell’antichità, tradotto dagli arabi, e poi diffuso in tutta Europa
nelle varie lingue nazionali nel secolo XVI. La prima edizione stampata
uscì a Venezia nel 1482 per opera del Campano. In tutti questi
“passaggi”, naturalmente, sono stati introdotti errori4 , aggiunte e tagli, per cui si è resa necessaria
un’analisi filologica del testo che ha portato alle cosiddette edizioni
critiche dell’opera euclidea. In Italia, un’autorevolissima edizione
critica degli Elementi di Euclide è uscita nel 1974 nelle edizioni
UTET per opera di Attilio Frajese e Lamberto Maccioni, il primo storico
della matematica e allievo del grande matematico Federigo Enriques, il
secondo valente grecista, per l’occasione diventato anche matematico.
Una precedente monumentale edizione degli Elementi, in quattro
volumi, si deve proprio all’Enriques, e ai suoi collaboratori, negli ani
1924-1935. In quella edizione furono prese in considerazione
particolarmente le “varianti” all’opera di Euclide.
Orbene, vediamo più in dettaglio in cosa consiste la sistemazione
razionale degli Elementi e quindi della geometria greca, che, come
precedentemente accennato, si basa sul ragionamento deduttivo.
Com’è noto, questo consiste nel ricavare o far seguire o dedurre
alcunché da qualcos’altro, per mezzo dei principi della logica
classica, codificati da Aristotile. Nel nostro caso le “cose” da
dedurre da altre sono di due tipi: le definizioni e le proprietà degli
enti geometrici.
3.Del “definire”
Se riflettiamo sul significato della parola “definire”, concorderemo
tutti che definire una cosa significa, in parole povere, descrivere quella
cosa per mezzo di altre più semplici5
di cui essa può pensarsi costituita. Per il momento accontentiamoci di
usare la parola “cosa”, che nella lingua italiana ha un significato
molto vago e generico. In altre parole, definire una cosa è un po’ come
scomporla in altre, con lo scopo di ricondurne la conoscenza a queste, a
noi già note. Ma le cose, in cui abbiamo scomposta la cosa da definire,
sono a noi note perché ciascuna di esse, a sua volta, è stata già
scomposta in altre cose, dovremmo dire, ancora una volta, già note.
Definire una cosa è, dunque, un procedimento iterativo che assomiglia ad
una reazione a catena. E’ chiaro, a questo punto, che questo mettere in
relazione una cosa con l’altra, in cui consiste il definire, o se
volete, in termini più espressivi, questo giocare a “scarica barile”,
non può prolungarsi indefinitamente, bensì deve esaurirsi e terminare
con una cosa che sta all’inizio e che sia “considerata nota” senza
doverla mettere in relazione con altre: essa è, dunque, per sua stessa
natura “indefinibile”.
4.La geometria approssimata degli enti sensibili
Nei tempi più antichi, vale a dire nelle civiltà preelleniche e in
quella greca, all’epoca della Scuola Pitagorica
fino alla scoperta delle grandezze incommensurabili, che secondo le stime
oggi più accreditate sarebbe avvenuta intorno al 410 a.C., le cose da
definire, in geometria, erano oggetti materiali. Infatti, la geometria,
allora, concepiva il punto come corpuscolo materiale di ridottissime
dimensioni, ma pur sempre finite: la “monade pitagorica”. Le rette, i
piani e tutte le altre figure erano pensate formate da punti e quindi
anch’esse erano materializzate. Il punto era, in tale geometria, ciò
che l’atomo era nella concezione della materia: il costituente più
piccolo e indivisibile. La
concezione degli enti geometrici era, dunque, atomistica o granulare o, in
linguaggio più moderno, “quantistica”, essendo il “quanto”
costituito dal punto.
In tal caso, è facile far conoscere a tutti il principio della catena di
collegamenti in cui consiste il definire: basta prendere in mano
l’oggetto da noi individuato come “principio”, mostrarlo a tutti e
pronunciarne il nome; in tal modo, d’ora in avanti, sarebbe sufficiente
citare questo nome per evocarne l’immagine. In altre parole, la
conoscenza dell’oggetto-principio è fissata direttamente tramite i
sensi.
In generale sarà necessario scegliere più oggetti che assumono le stesse
funzioni di principio della catena di definizioni, per potere descrivere,
e quindi definire, tutti gli oggetti di un certo insieme. Gli oggetti
all’inizio della catena di definizioni, per l’ufficio da loro svolto,
sono detti “indefinibili”o “primitivi”.
(Fine prima puntata)
1 Secondo alcuni storici della matematica, Euclide non fu
l’unico autore degli Elementi, bensì, ad Alessandria d’Egitto,
sarebbe stato a capo di una scuola di matematici che contribuirono tutti
alla stesura degli Elementi e scrissero, anche dopo la sua morte,
altre opere utilizzando il nome del Maestro. Secondo altri, invece,
ispirandosi all’esempio contemporaneo di Bourbakj, ritengono che Euclide
non sia mai esistito, e che tutte le opere a lui attribuite furono scritte
da un gruppo di matematici che le pubblicarono sotto il nome simbolico di
Euclide, peraltro molto comune nell’antichità, in onore del filosofo
Euclide di Megara, vissuto circa un secolo prima. Un’approfondita
analisi delle ipotesi sull’esistenza di Euclide è riportata da J. Itard
in Les livres arithmétique
d’Euclide, Paris, 1962.
2 Gli Elementi erano composti da tredici libri o capitoli: i
primi sei dedicati alla geometria piana, il 7°, 8° e 9°
all’aritmetica, il 10° agli incommensurabili, e infine gli ultimi tre
alla geometria solida. I libri tuttora più apprezzati sono il quinto,
dedicato alla teoria dei rapporti, e il decimo, che tratta delle grandezze
incommensurabili.
3 Formalisti, logicisti e intuizionisti costituiscono le tre
“scuole” in cui si possono attualmente identificare gli indirizzi di
pensiero in matematica. Tutte
e tre le scuole concepiscono le varie branche della matematica come
sistemi ipotetico-deduttivi, vale a dire come sistemi di proposizioni
deducibili da un insieme di proposizioni primitive dette assiomi. La
differenza fra i tre indirizzi sta nel diverso valore dato agli assiomi,
vale a dire ai fondamenti delle matematiche. Gli intuizionisti ritengono
che gli assiomi trovino la loro giustificazione necessaria nella realtà
fisica; i logicisti, invece, sostengono che la validità dei fondamenti
delle matematiche vada ricercata nella logica, alla quale, quindi,
riducono le matematiche stesse; i formalisti, infine, risolvono ogni
diatriba sulla validità dei fondamenti, sostenendo che è inutile
ricercare all’esterno della matematica la validità degli assiomi:
questi non sono né veri né falsi, ma sono semplici ipotesi che, per
essere accettate, devono soddisfare soltanto il vincolo della
non-contradditorietà reciproca e hanno unicamente la funzione di
produrre, per deduzione logica, un certo insieme di proposizioni. In altri
termini, per gli intuizionisti gli
assiomi sono veri se conformi alla realtà fisica che può essere
elaborata dalla mente umana attraverso stimoli sensoriali, e quindi
intuita; per i logicisti, invece, gli assiomi sono veri se riconducibili
alle idee della logica; per i formalisti, infine, gli assiomi non sono né
veri né falsi, ma soltanto necessari per costruire su di essi il sistema
ipotetico-deduttivo, e di conseguenza sono concepibili infinite
matematiche.
4 Per esempio, si è confuso l’Euclide di Alessandria
d’Egitto, autore degli Elementi, e molto probabilmente allievo
dell’Accademia di Platone, con l’Euclide di Megara, filosofo e logico,
seguace di Socrate; per cui, spesso, le raffigurazioni di Euclide
alessandrino sono in realtà quelle di Euclide megarense. Per esempio, nel
frontespizio dell’edizione degli Elementi tradotta da Nicolò
Tartaglia nel 1585, erroneamente, è indicato l’autore come Euclide
megarense, anziché come Euclide alessandrino.
5 Una volta per tutte, sarà opportuno chiarire il
significato dei termini semplice e complesso che, del tutto erroneamente,
spesso, nel linguaggio comune, sono utilizzati come sinonimi di facile e
difficile. Semplice deriva dal latino “simplex” che etimologicamente
significa “piegato una volta”, mentre complesso deriva dal latino
“complexus” che significa “abbracciato”. L’origine etimologica
indica chiaramente il significato intrinseco dei due termini: semplice
significa costituito da un solo elemento, mentre complesso significa
costituito da più elementi. A tale accezione faremo riferimento nel
seguito. Quanto ai termini facile e difficile, essi non hanno alcun
riferimento oggettivo alla composizione quantitativa di una cosa, bensì
hanno una connotazione puramente soggettiva e psicologica e riguardano la
capacità di comprensione, cioè la “resistenza” mentale che ciascuno
di noi incontra nella conoscenza e che è diversa da individuo a
individuo. In un certo contesto, ovvero accettate determinate regole, una
cosa è oggettivamente “semplice”, cioè non scomponibile in altre,
per tutti, ma sarà di facile comprensione
per alcuni e di
difficile comprensione per altri. E mentre è oggettivamente
classificabile il grado di complessità di una cosa, perché dato dal
numero di elementi di cui è costituita, non è affatto altrettanto
determinabile il corrispondente grado di apprendimento, perché legato
alle doti naturali e alla “storia” culturale ed emotiva dei singoli
individui. Inoltre, non è vero che si può stabilire una correlazione fra
grado di complessità e difficoltà di comprensione. In altre parole non
è vero che ciò che è semplice risulta facile da apprendere e ciò che
è complesso è tanto più difficile quanto più è complesso. Spesso, è
vero il contrario. Bertrand Russell, a tal proposito, usa un’analogia
molto efficace: le cose più difficili da capire, in matematica, sono
quelle che stanno all’inizio (cioè i fondamenti) e alla fine (quella
naturalmente attuale) dell’intero edificio matematico, così come le
cose più difficili da vedere per l’uomo sono quelle molto piccole, per
le quali si avvale, infatti, del microscopio, e quelle molto lontane, per
le quali è costretto a ricorrere al telescopio. Dunque, una cosa semplice
può essere sia facile sia difficile da comprendere, e altrettanto una
cosa complessa. |